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Vent’anni dalla morte di Massimo Troisi, il filosofo della semplicità. Intervista a Davide Certosino

cover1Vent’anni fa, il 4 giugno 1994, se ne andava Massimo Troisi. Prematuramente, nel sonno, con quel suo cuore malandato che si ferma solamente dodici ore dopo aver terminato le riprese de Il Postino. Il suo ultimo film, poetico e immenso, proprio come lui. Nato il 19 febbraio del 1953 a San Giorgio a Cremano, alle porte di Napoli, già adolescente si avvicinò al teatro e, insieme a Lello Arena e ad Enzo Decaro portò alla ribalta, a metà anni settanta, la nuova comicità napoletana con il gruppo La Smorfia. In Ricomincio da Tre (1981) debutta al cinema come attore, sceneggiatore e regista. Per ricordarlo abbiamo intervistato il giornalista Davide Certosino, autore del libro La Filosofia di Massimo Troisi (edito nel 2013 da Tullio Pironti).

 

Qual era, come recita il titolo del suo libro, la filosofia di Massimo Troisi?

E’ la filosofia della semplicità. Grazie a Massimo ho capito che la semplicità è la cosa più difficile che esista. Le sue risposte hanno portato alla ribalta un modo di essere che è sepolto sotto strati e strati di sovrastrutture, che è stato plasmato e rielaborato da artifizi che hanno minato il senso più vero e bello delle idee e delle cose. Il suo modo di interagire impone una riconsiderazione di tutte le convinzioni che albergano nella testa del suo interlocutore. Massimo non si è vergognato di vivere e lavorare mettendo in piazza le paure più intime, senza mai rinunciare a smontare, con la semplicità, le presunte gerarchie sociali. E per gerarchie sociali intendo il Presidente della Repubblica e perfino Dio…

Insieme a Marcello Mastroianni sul set di "Che Ora è"

Insieme a Marcello Mastroianni sul set di “Che Ora è”

20 anni dalla morte di Massimo Troisi: qual è l’insegnamento più grande che ci ha lasciato? Come ha scritto il critico Giulio Baffi nella prefazione del libro, oggi ricordiamo ancora le sue “frasi geniali che fissarono le ansie, i sogni, le illusioni, le delusioni, i sentimenti di una generazione”…

C’è questa battuta che Troisi dice in Che ora è di Ettore Scola: “Il fatto è che noi oggi abbiamo bisogno sempre di più, perché quello che abbiamo conta sempre di meno“. Una frase in qualche modo anticipatrice degli effetti dell’era della tecnica, e che si addice molto al pensiero di Massimo: la bellezza è già qui, in ciò che si ha, ed è di quella che dobbiamo essere fieri. Grazie a quella possiamo essere persone migliori, e le persone migliori costruiscono mondi migliori.

Genio comico e poetico: da spettatore, cosa ne pensi del Troisi attore e del Troisi regista?

Troisi unisce la dote naturale di far ridere a straordinari tempi comici, ma è anche un grande autore. I finali dei suoi film sono delle perle, basti pensare alla digressione sul nome da dare al bambino (Massimiliano no, troppo lungo, viene scostumato) o alla disarmante risposta alla De Sio (“Se devo essere sincera“, “No, perché, puoi dire pure una bugia“). L’attore Massimo è Massimo stesso, con le sue pause, i suoi “cioè”. Se Massimo recita come da copione oppure improvvisando, la differenza non si percepisce. Consiglio a tutti di comprare il blu ray con 41 minuti di scene tagliate di Non ci resta che piangere, film basato interamente sull’improvvisazione e in cui Benigni va a rimorchio di Troisi: quei 41 minuti di scene tagliate, e improvvisate, fanno ridere esattamente come tutte le altre scene del film.

Con Roberto Benigni in "Non ci resta che piangere"

Con Roberto Benigni in “Non ci resta che piangere”

La pellicola in cui ha dato – fatalmente – tutto se stesso fino all’ultimo respiro è stato Il Postino. Qual è il suo ricordo di quel film? Perché le nuove generazioni devono vederlo?

Quel film ha la poesia del mare, dei dialoghi coi pescatori, padre compreso. Gente povera, come il postino Massimo che improvvisamente si trova a confronto con la metafora. L’unione di questi due mondi dà un risultato straordinario, miseria e cultura si avvicinano e in qualche modo avvicinano tutti noi alla bellezza della vita. Che, come dice Troisi nel film, è essa stessa una metafora, arrivando alla fine del suo percorso a capire il senso più profondo di quel termine che agli inizi, a teatro con la Smorfia, rappresentava solo un oggetto misterioso che Lello Arena aveva rubato durante il provino da attore con Enzo De Caro…

Massimo Troisi ne "Il Postino", suo film d'addio (1994)

Massimo Troisi ne “Il Postino”, suo film d’addio (1994)

Personalmente quali sono i suoi film preferiti di Massimo Troisi?

Non ci resta che piangere e Scusate il ritardo sono nel podio di tutti i napoletani. Personalmente amo Scusate il ritardo più di tutti, lì ci sono i dialoghi sotto la pioggia con l’amico Tonino, il monologo sulla Madonna che piange, le battute in camera da letto con la De Sio (come quella sul Napoli che perde col Cesena), e le scene di vita familiare con la mamma e il fratello: c’è un Troisi ancora più “vero” e intimo, se possibile.

In Non ci resta che piangere invece?

In quel film il soggetto surreale rimescola tutte la carte innescando una reazione di comicità incontrollata, tanto che i primi a non riuscire a trattenere le risate sono coloro che stanno girando il film, coloro che devono far ridere. Quel film incomincia al passaggio a livello con l’invettiva al barbiere che sa fare solo lo shampoo e si chiude 500 anni prima con Leonardo Da Vinci a bordo di un treno: neanche nello strepitoso sketch della Smorfia sul “minollo” la comicità di Troisi aveva potuto essere così libera e spensierata.

Intervista di Giacomo Aricò

 

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