Presentato al 65° Festival del Cinema di Berlino, sarà dal 6 aprile al cinema Virgin Mountain, il film scritto e diretto dall’islandese Dagur Kári.
Fúsi (Gunnar Jonsson) è un quarantenne che deve ancora trovare il coraggio di entrare nel mondo degli adulti. Conduce una vita monotona, dominata dalla routine. Nel momento in cui una donna vivace Sjöfn (Ilmur Kristjánsdóttir) e una bambina di otto anni entrano inaspettatamente nella sua vita, Fúsi è costretto ad affrontare un grande cambiamento.
Ecco un estratto dell’intervista rilasciata dal regista Dagur Kári.
Virgin Mountain è incentrato sulla maturazione di un personaggio di mezza età che fatica ad adattarsi a causa della sua condizione fisica… Un tema che sembra ricordare il tuo primo lungometraggio Noi Albinoi e in qualche misura Dark Horse. Perché sei attratto da personaggi che sono considerati outsider?
In realtà, rappresentare degli outsider non è una scelta conscia da parte mia. Sono semplicemente interessato a creare i migliori personaggi possibili, e quelli che sono leggermente strani e fuori posto hanno più probabilità di generare situazioni interessanti rispetto a quelli che sono a loro agio nella società. Questo è il mio obiettivo principale: il personaggio e la situazione. Ma il termine “outsider” non mi è mai davvero venuto in mente, finché i giornalisti non hanno iniziato a metterlo in risalto.
Come Noi Albinoi e Dark Horse, Virgin Mountain parla anche dello scoprire se stessi attraverso il vivere fuori dall’Islanda. In che modo questo tema ti sta a cuore, visto che sei un cineasta islandese nato in Francia che ha studiato in Danimarca?
Be’, provo ad inserire le mie vacanze estive nelle sceneggiature che scrivo perché altrimenti non me le potrei permettere. Quindi per Nói Albínói siamo andati a Cuba per l’ultima scena, per Dark Horse abbiamo ripreso una sequenza in Spagna e il finale di The Good Heart è stato girato nella Repubblica Dominicana. Ho un’ossessione per le spiagge bianche e le palme; in una vita precedente devo essere stato un surfista hawaiano. Mi piace molto riprendere spiagge e palme, perciò sono stati elementi ricorrenti nei miei film. Per Virgin Mountain avevamo pianificato di seguire Fúsi verso una destinazione tropicale, ma poi è saltato fuori che il film non ne aveva bisogno. Quindi nessuna vacanza estiva questa volta.
Virgin Mountain è più un intenso e profondo studio del personaggio che una commedia romantica, anche se vanta in un certo senso un high concept… Potrebbe essere proposto come un «40 anni vergine» islandese. Tuttavia hai scelto di non cedere ai cliché narrativi delle commedie romantiche e di aderire il più possibile alla realtà. Perché hai preso questa strada?
Una volta che in un film hai l’elemento «ragazzo incontra ragazza», la storia tende a procedere con il pilota automatico. Diventa molto prevedibile, ed io ho deliberatamente tentato di dare una svolta interessante al cliché. Sentivo anche che Fúsi, il personaggio principale, aveva bisogno di un differente tipo di conclusione. Volevo che il finale fosse molto piccolo e molto grande allo stesso tempo. Realizziamo che quella che per noi è un’azione del tutto banale è un passo rivoluzionario per Fúsi.
Che cosa rende Virgin Mountain un film universale al quale la gente di tutto il mondo si può relazionare?
Be’, è la stimolante storia di un uomo che fa un passo in avanti significativo verso il resto della sua vita. Questo è qualcosa con cui la maggior parte delle persone si può relazionare, spero. Inoltre, penso che tutti abbiamo provato il senso di colpa derivante dall’aver mal giudicato qualcuno. C’è un seme di coscienza sporca nella parte cristiana del mondo che è radicata in quel sentimento. Mentre stavo montando il film, ad un certo punto lo stavo facendo scorrere a rovescio, e ho scoperto che il nome del personaggio principale, Fúsi, è «Jesu» quando viene riprodotto al contrario. Non è così quando lo scandisci al contrario, ovviamente. Ma foneticamente lo è. Una gradevole coincidenza.