Presentato in anteprima al Festival Rendez-Vous, sarà dal 6 aprile al cinema La Meccanica delle Ombre, il thriller di spionaggio politico con François Cluzet e Alba Rohrwacher, per la regia di Thomas Kruithof.
Due anni dopo un esaurimento nervoso, Duval (François Cluzet) è sempre disoccupato. Contattato da un misterioso uomo d’affari, gli viene proposto un lavoro semplice e ben remunerato: trascrivere delle intercettazioni telefoniche. Finanziariamente a terra, Duval accetta senza interrogazioni sulle finalità dell’organizzazione che lo assume. Si troverà al centro di un complotto politico e dovrà affrontare i metodi brutali del mondo sotterraneo dei servizi segreti.
Vi presentiamo ora un estratto dell’intervista rilasciata dal regista Thomas Kruithof.
Com’è nato il progetto del film?
Desideravo raccontare la vicenda di un impiegato modello, di un uomo che esegue scrupolosamente gli ordini e che sprofonda nel mondo sotterraneo dei servizi segreti e delle organizzazioni politiche. Volevo rappresentare un mondo opaco attraverso lo sguardo di un subalterno, in fondo alla scala di un’organizzazione della quale ignora le finalità. Fin dall’inizio, ho avuto l’idea che il personaggio principale effettuasse il lavoro di spionaggio più impegnativo possibile. I suoi compiti sono sottoposti a delle regole di sicurezza pressocché assurde. Fa il suo lavoro senza porsi domande. Infatti, una delle caratteristiche del personaggio principale è di obbedire senza mai interrogarsi sulle regole.
A quali vicende si riferisce?
Non è necessario conoscerle per apprezzare il film. Ma lo sfondo si ispira liberamente a diverse crisi o complotti, veri o supposti, che sono accaduti in Francia negli ultimi 30 anni: la crisi degli ostaggi in Libano negli anni ‘80, i sospetti di strumentalizzazione dei servizi segreti per fini politici che aleggia nell’attualità del paese.
Perchè questo interesse verso lo spionaggio?
Sono sempre stato un lettore appassionato di romanzi di spionaggio, soprattutto di John Le Carré, e sono un amante di film con storie di complotti. Lo spionaggio è ricco di situazioni umane conflittuali e appassionanti, che si prestano bene alla narrazione cinematografica.
C’è l’idea di un incubo oswelliano e alla Philip K. Dick?
Quello che mi piace è vedere un individuo battersi contro il sistema, cercare di inceppare un meccanismo opaco e più forte di lui. Nella paranoia, questo è interessante, non c’è solo il fatto di essere convinti che vi si voglia fare del male, ma soprattutto la sensazione di non controllare né capire il mondo nel quale si vive, e che altri uomini gestiscano per noi le cose, senza conoscere le loro intenzioni. Il nostro personaggio non è all’altezza per poter abbattere il sistema, ma lo può destabilizzare. A volte è sufficiente un solo uomo per sgominare un’organizzazione, così come nel caso di Edward Snowden. Il nostro personaggio, meno impegnato politicamente di Snowden, rappresenta il granello di sabbia, il fattore umano in un meccanismo disumano.