Dal 16 al 28 maggio al Teatro Argentina di Roma va in scena Morte di Danton di Georg Büchner, il monumentale spettacolo diretto da Mario Martone, un grande affresco corale sulla scena della storia, in uno sfogliarsi continuo di corposi e sanguigni sipari, fra la ferocia del terrore e la conquista della libertà, nel segno dell’uguaglianza e della fraternità.
Una efficace, ficcante riflessione, riverberante di attualità, sui guasti del potere d’ogni tempo e latitudine che trovano nella Rivoluzione delle Rivoluzioni, quella francese del 1789 che partorisce la democrazia moderna, un capitolo centrale ed emblematico della Storia del Mondo. E diventa anche l’occasione di un raro “duello” di bravura fra i due protagonisti, nella Storia e sulla Scena, il Danton di Giuseppe Battiston e il Robespierre di Paolo Pierobon. Ne risulta una potente indagine sulle Rivoluzioni tout-court, sulle loro necessità ma anche sulle loro fragili forze, sull’incerto equilibrio fra giustizia e violenza.
Nei soli ventiquattro anni in cui si consuma la sua appassionata e tormentata esistenza, Georg Büchner ci ha lasciato alcuni tra i testi più significativi del teatro moderno, come Woyzeck e Leonce e Lena. Scritto in sole cinque settimane tra il gennaio e il febbraio del 1835 dal ventunenne scrittore e anatomista, in fuga dalle autorità dell’Assia dove era stato coinvolto in una rivolta, Morte di Danton (Dantons Tod) descrive l’atmosfera degli ultimi giorni del Terrore, la caduta di Georges Jacques Danton nel 1794 e l’antagonismo che lo contrappone a Maximilien Robespierre. Il testo si concentra proprio sulla contrapposizione tra i due protagonisti della Rivoluzione francese, compagni prima e avversari in seguito, entrambi destinati alla ghigliottina a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro.
Danton non crede alla necessità del Terrore e difende una visione del mondo liberale e tollerante, anche se consapevole dei limiti dell’azione rivoluzionaria; Robespierre, invece, incarna la linea giacobina, stoica, intransigente e furiosa. La fatica di Danton, che si contrappone con lucida razionalità al fanatismo del suo rivale, altro non è che la sfiducia nella possibilità di trasformare il mondo, una visione che tuttavia non incrina la volontà di lotta e la coscienza di trovarsi dalla parte giusta della storia.
«Sotto l’apparenza del dramma storico Morte di Danton nasconde i nervi scoperti della condizione umana, così come sarà rivelata e rappresentata un secolo dopo, nel Novecento, con quella stessa incandescenza, la stessa disillusione, lo stesso urlo soffocato – annota Mario Martone – Per Büchner, come per Leopardi (La ginestra è di un anno dopo), la Storia non è che una macchina celibe, anche se le ragioni per scatenare la rivoluzione sono sempre tutte vive e presenti. Quello che commuove, in Morte di Danton, è la fragilità: sembra un paradosso, trattandosi di vicende che raccontano i protagonisti di un tempo in cui si è sprigionata una forza della quale ancora oggi sentiamo la spinta. Eppure nessuno di quegli uomini ha potuto sottrarsi, oltre che alla ghigliottina, alla verifica della propria impossibilità di invertire la rotta assegnata (da Dio? dalla Natura? dal nulla?) agli esseri umani, nonché di porre rimedio all’ingiustizia che da sempre regna sovrana».
In scena ventinove attori, tra i quali Giuseppe Battiston, Paolo Pierobon, Iaia Forte, Paolo Graziosi, con la nuova traduzione di Anita Raja (in occasione del debutto a Torino il testo è stato pubblicato da Einaudi nella sua Collezione di Teatro). Capace di esercitare ancora oggi una potente attrazione, Büchner nutre Morte di Danton di temi tutti rilevanti per il nostro tempo: la natura della rivoluzione, il rapporto tra uomini e donne, l’amicizia, la classe, il determinismo, il materialismo, il ruolo del teatro stesso.