Il 2 luglio 1997, vent’anni fa, a Beverly Hills si spegneva una delle icone del cinema statunitense, ovvero James Stewart. Un attore leggendario che, dopo aver studiato architettura alla Princeton University, si innamorò del teatro. Da Indiana (suo luogo di nascita) a Broadway e da Broadway a Hollywood. Eccezionale interprete, sapeva essere versatile, capace di padroneggiare diversi generi, dal western al thriller, dal drammatico alle commedie per famiglie.
In tutto, venne nominato cinque volte all’Oscar (ne vinse due, il primo nel 1941 per Scandalo a Filadelfia, il secondo alla carriera nel 1985), prendendo parte e lasciando un segno indelebile in pellicole come Harvey, La Vita è Meravigliosa, Nodo alla Gola, La Finestra sul Cortile, La Donna che Visse due Volte, L’Uomo che Sapeva Troppo. Lavorò per registi importanti, fra cui Alfred Hitchcock, John Ford, Billy Wilder, Anthony Mann e Frank Capra.
Fu proprio il “nostro” Frank Capra a lanciarlo, cambiandogli la carriera. Era il 1939 quando lo diresse in Mister Smith va a Washington, film che gli valse una candidatura all’Oscar e che vogliamo ripercorrere oggi per ricordarlo. Una pellicola nata da una storia di Lewis R. Foster che vinse l’Oscar per il soggetto, una satira politica che permise a Capra, grande specchio della società americana, di assorbire e riflettere le tendenze del momento provenienti dal “basso”.
In questo film James Stewart interpreta il protagonista, Mister Smith, ovvero quel personaggio il cui fervore folle e disperato incarna il lato oscuro del dell’idealismo americano. Ma andiamo con ordine. L’ostruzionista del finale di Mister Smith Va a Washington non solo definisce il personaggio attoriale di Stewart, ma aiuta a mettere a fuoco il modo in cui gli americani si sarebbero visti nel dopoguerra. “Il Mister Smith di Stewart è la quintessenza dell’eroe americano: giovane e energico, ingenuo e idealista” come scrisse Al Weisel. È un innocente scagliato in politica da un sistema corrotto che lo crede facile da manipolare, e che viene quasi distrutto nella lotta per ciò che sembra una battaglia persa.
All’epoca dell’uscita del film fioccarono accuse di antipatriottismo per il ritratto che si dava della dilagante corruzione a Washington, e “sebbene oggi numerosi critici considerino i film di Frank Capra sdolcinati e troppo semplicistici – continuò Weisel – a questi sfugge quanto le sue rappresentazioni di vita americana siano in realtà cupe e sovversive”. Come patrono delle cause perse, Stewart – con la faccia da ragazzo, la barba da qualche giorno e la voce arrochita (si dice che l’attore si fece prescrivere da un medico un trattamento al dicloruro di mercurio per le corde vocali!) – incarna il mito nazionale per cui ognuno ha il potere di trasformare il mondo intorno a sé, credendoci fino in fondo.
C’è quasi un accenno di follia nella sua disperazione nel momento in cui i suoi ideali si scontrano con la realtà, un accenno che sarà ancora più marcato ne La Vita è Meravigliosa (1946, sempre di Frank Capra), nella disperata corsa per le vie di Pottersville. Anche in quel film c’era tutto James Stewart, un attore che riempiva d’umanità e ideali i personaggi che interpretava.