Due personalità immense. Due maestri del cinema. Michelangelo Antonioni e Ingmar Bergman, due immortali cineasti che hanno avuto in comune due cose: uno straordinario talento dietro la macchina da presa e la data di morte. Oggi, dieci anni fa, morivano entrambi entrando però nella leggenda della settima arte. Come solo i grandissimi sanno fare.
Tra i loro infiniti capolavori, abbiamo scelto due pellicole per ricordarli: L’Avventura e Il Posto delle Fragole. Andando in ordine di anzianità (Antonioni nacque nel 1912, Bergman nel 1918), ripercorriamo i momenti conclusivi di due film che hanno fatto la storia del cinema, diventando veri e propri manifesti d’autore. Due film attraverso i quali Antonioni e Bergman hanno saputo scavare in profondità l’anima e la psiche umana.
L’Avventura
Michelangelo Antonioni nel 1960 diede il via alla trilogia della incomunicabilità con L’Avventura, a cui seguiranno a stretto giro La Notte (1961) e L’Eclisse (1962), prima di un altro capolavoro, Deserto Rosso (1964). Il mistero e la bellezza di L’Avventura – considerato un punto di svolta del cinema europeo – sono resi più profondi da una modernità di stile, pensiero, sentimento e dettaglio apparentemente destinata a diventare obsoleta ma che, al contrario, diventa sempre “più fresca a struggente a ogni visione” come scrisse Chris Fujiwara. L’arte di Antonioni non ha difficoltà a sopravvivere alla negatività di cui è stata fatta bersaglio, alle accuse di “pretenziosità” e “tendenza”.
Dileggiato e fischiato dal pubblico che lo vide per la prima volta a Cannes, L’Avventura fu difeso dal regista quale analisi del proprio tempo: “ogni volta che qualcosa lo angustia, l’uomo reagisce, ma la sua reazione si riduce a una mera spinta erotica, e ciò lo lascia infelice…Partendo dalla paura e dalla frustrazione, la sua avventura può concludersi solo con uno scacco matto”.
L’ultima inquadratura del film presenta uno scacco matto di questo tipo. Claudia (Monica Vitti) scopre che il suo amante Sandro (Gabriele Ferzetti) le è stato infedele in modo quasi casuale durante una festa in un hotel. Esce di corsa in preda al panico e all’emozione. Sandro la segue e si siede abbattuto su una panchina, piangendo. Per un momento, entrambi sono intrappolati nella loro solitudine: poi, in piedi dietro alla panchina, Claudia appoggia la mano sulla nuca di Sandro. Più che un segno di perdono, quel gesto, come molti nel film (in gran parte concentrato su vedute, urbane e rurali), è una risposta all’ambiente e all’atmosfera, “un preciso riconoscimento dell’incertezza e della delusione che opprime i due amanti” e che trova una concreta raffigurazione nell’immagine con cui Antonioni conclude il film: un uomo e una donna, visti da dietro, su una piazza dell’Italia del XX secolo, all’alba.
Il Posto Delle Fragole
L’opera più intensa – che quest’anno compie 60 anni – di Ingmar Bergman racconta l’odissea spirituale e geografica di Isak Borg, un anziano professore di Medicina (Victor Sjostrom, egli stesso un grande regista che influenzò Bergman), che parte da Stoccolma per andare a ritirare un’onorificenza alla propria università a Lund. Durante il viaggio con la nuora Marianne (Ingrid Thulin) – sul punto di lasciare il marito (Gunnar Bjornstrand) che, emotivamente, è perfino più freddo del padre, Borg si imbatte in vari personaggi – tra cui Sara (Bibi Andersson), una giovane ed esuberante autostoppista che gli ricorda il suo primo (perduto) amore dallo stesso nome – rivisitando e reinterpretando la propria vita attraverso ricordi, sogni e conversazioni.
Via via che il viaggio procede, Borg inizia a comprendere che la propria rettitudine autodifensiva e la dedizione al lavoro non solo hanno limitato le sue esperienze e ferito gli altri, ma hanno anche influenzato l’atteggiamento del figlio nei confronti della vita e di Marianne. Bergman traccia la mappa del viaggio di Borg verso la coscienza di sé con vari mezzi – incubi espressionisti, ricordi lirici, satira moderata e dramma naturalistico – “senza mai scadere nel sentimentalismo” come scrisse Geoff Andrew. Cruciale per la creazione e il mantenimento di un tono coerente è l’efficace interpretazione di Sjostrom, che “non suscita mai compassione gratutita”.
Di conseguenza, quando riceve la buonanotte prima da Miss Agda (Julian Kindhahl), la propria riservata governante poi dall’allegra Sara, e finalmente dal figlio e da Marianne (che hanno deciso di restare insieme), e infine trova un briciolo di tranquillità al termine di una giornata faticosa ripensando agli idillici momenti dell’infanzia che riguardano i propri genitori, capiamo che Borg ha giustamente meritato tale serenità redentiva.