Dopo una lunga battaglia legale che ne ha impedito la distribuzione in Italia, il 19 giugno esce finalmente nelle sale Syneddoche, New York, il primo film da regista di Charlie Kaufman già sceneggiatore di opere cult come Essere John Malkovich, Confessioni di una Mente Pericolosa, e premio Oscar per Se mi lasci ti cancello. Il film, distribuito dalla Bim, sarà presentato oggi in anteprima al Festival di Taormina.
Al centro della storia ci sono le vicende di Caden Cotard (interpretato da un eccezionale Philip Seymour Hoffman), regista teatrale frustrato, afflitto da una misteriosa malattia e ossessionato dal timore della morte. Lasciato dalla moglie che intende proseguire la sua carriera come pittrice, Caden tenterà una breve relazione con una donna, prima che la sua vita inizi misteriosamente a trasformarsi. Attorno all’attore recentemente e prematuramente scomparso, il cast si compone di grandi attori come Samantha Morton, Michelle Williams, Catherine Keener, Emily Watson, Dianne Wiest, Jennifer Jason Leigh, Hope Davis, Tom Noonan.
“Se questo mio nuovo film avrà una buona accoglienza, la gente ricorderà il titolo e il significato della parola ‘sineddoche’, un termine utile da sapere” commenta Kaufman. E tuttavia, nel film la parola non viene mai menzionata e Kaufman non desidera esplicitarla: “Una delle cose che trovo eccitanti e piacevoli dell’esperienza di essere uno spettatore è capire delle cose, trovare delle risposte”, sostiene. “Quando entri in contatto con un film, quando stabilisci un legame con qualcosa che ti tocca, il film diventa tuo ed è un’emozione molto forte. Quindi il pubblico può andare a cercare il significato di “sineddoche” se lo desidera. E se lo fa, magari riflette su alcune corrispondenze che possono esserci con il film e forse lo apprezzerà con un livello di comprensione diverso”.
Syneddoche è un film che parla di morte, malattia, disperazione, solitudine, problemi relazionali, metafisica e mal d’amore. “Credo che sia un film divertente”, commenta Kaufman. “Affronta tematiche emotive molto serie, ma curiosamente a modo suo è anche spassoso. Non è necessario, per esempio, arrovellarsi sul significato della casa che brucia. È una casa in cui abita qualcuno che sta bruciando, è divertente. Puoi leggervi di più se ti rispecchi in quella particolare metafora, ma non è obbligatorio. Mi auguro che il film funzioni a molti livelli diversi e che gli spettatori vi colgano significati differenti in base alla propria personalità”.
Una caratteristica unica del lavoro di Charlie Kaufman è mescolare il fantastico con emozioni molto profonde. “Mi interessano i sogni e come nei sogni raccontiamo a noi stessi delle storie”, rivela. “Voglio precisare in modo inequivocabile che questo film non è onirico, ma ha una logica onirica. In un sogno puoi spiccare il volo e trovarlo del tutto normale e non è certo la reazione che avresti nel mondo reale. Quindi tutto quello che accade nel film va preso per quello che è: è quello che succede. Non fa niente se nella vita reale non accadrebbe, è un film!”. Tuttavia, malgrado il suo stile narrativo sia giocoso, Kaufman non crea mai in modo arbitrario le sue situazioni bizzarre. “Charlie ha idee assurde ed esilaranti, ma sono sempre a servizio di un contenuto emotivo”, dichiara Spike Jonze che ha diretto le sceneggiature di Kaufman di Essere John Malkovich e Il Ladro di Orchidee e regista del recente Her.
Lo spunto iniziale del film prevedeva che Kaufman scrivesse una sceneggiatura horror che Spike Jonze avrebbe in seguito diretto. Ovviamente, un horror firmato da Charlie Kaufman non avrebbe mai potuto essere un convenzionale film di paura. Kaufman si mise al lavoro aprendo la sua immaginazione alle cose che realmente lo terrorizzavano. Dopo due anni riuscì a completare la sceneggiatura con un copione completamente diverso dall’idea originaria. Quando fu completato, Jonze era già in pre-produzione con un altro film. Non volendo aspettare e avendo progettato da molto tempo di passare dietro la macchina da presa, dal momento che ha una formazione teatrale e attoriale e ha studiato alla Film School dell’Università di New York, Kaufman chiese Jonze il permesso di dirigere il film e lo ottenne prontamente. “Era non solo naturale, ma persino inevitabile che Charlie passasse alla regia a un certo punto”, dichiara Jonze.
Syneddoche, New York esplora una serie di incubi che appaiono fin troppo realistici e umani. Il suo eroe, Caden Cotard, interpretato da Philip Seymour Hoffman, è un quarantenne regista teatrale nella cittadina di Schnectady che vede la vita crollargli addosso: il suo matrimonio con l’artista Adele (Catherine Keener) sta esalando l’ultimo respiro ed è inoltre afflitto da una serie di malattie sempre più catastrofiche. Sente che il tempo gli sta sfuggendo di mano e teme di morire da un momento all’altro senza avere avuto l’opportunità di portare a termine qualcosa di importante nella vita. Quando riceve un premio in denaro, decide di utilizzarlo per mettere in scena a New York una gigantesca opera teatrale. “Vuole creare una grande capolavoro”, – commentò Philip Seymour Hoffman – “Pensa che la sua vita stia per finire, è pervaso da un senso di sofferenza d’amore, di morte e di separazione e desidera lasciare un’opera vera, sincera e straziante, esattamente come è la vita”.
Per quanto stravaganti possano diventare lo stile del film e la storia, i comportamenti e le emozioni dei personaggi sono sempre autentici e reali in modo palpabile. “La creazione delle interpretazioni non ha avuto nulla di intellettuale”, afferma Charlie Kaufman. “Ogni minimo dettaglio è stato discusso e costruito insieme agli attori”. Indubbiamente il fulcro e la base del film dipendono dalla verosimiglianza della perfetta interpretazione di Philip Seymour Hoffman nei panni di Caden. “Tutto quello che vedete succedere al suo personaggio, quando abbiamo girato il film Phil lo stava vivendo nella realtà, perché questo è il suo modo di lavorare”, rivela Kaufman. “Per riuscire a rendere ogni sfumatura aveva bisogno di capire cosa stesse succedendo in ogni istante. Ha lavorato in modo molto serio perché il suo personaggio si dibatte in una serie di difficoltà e Phil ha lottato insieme a lui per riuscire a interpretarlo”. Spike Jonze concorda: “È stato un ruolo molto impegnativo per Phil. Alcuni film esigono dagli attori un’intensità emotiva per una settimana o due, ma lui per questo film ha dovuto darla ogni singolo giorno”.
Per questo suo esordio dietro la macchina da presta Charlie Kaufman ha adottato un approccio filosofico: “Quando scrivo mi assumo grandi rischi. La cosa peggiore che può succedere è che io faccia una figuraccia e che nessuno mi scritturi più per scrivere sceneggiature. Se questa è la cosa peggiore che può succedere, non è una tragedia”. Per il compianto Philip Seymour Hoffman questa era un’eventualità impossibile: “Per me è come se Charlie facesse il regista da una vita. Non ho mai avuto la sensazione che non capisse cosa significa confrontarsi con un attore o con il direttore della fotografia o con chiunque altro. Trova sempre il modo giusto per chiarire una situazione o darti una mano. Ha sempre lottato per ottenere quello che voleva davanti alla macchina da presa e ha sempre mostrato empatia nei confronti delle difficoltà che ciascuno di noi ha dovuto affrontare”.
La narrazione è piena di battute e riferimenti, fitta di così tanti dettagli che è una sfida virtualmente impossibile coglierli tutti a una prima visione del film: “È intenzionale”, precisa Kaufman. “Voglio che quando uno vede il film un’altra volta lo trovi diverso e non ripetitivo”. Kaufman spiega che ha cercato di cogliere il dinamismo che a suo parere caratterizza il teatro e manca al cinema: “Uno spettacolo è un’opera che vive, a ogni replica le interazioni tra gli attori sono diverse e l’energia del pubblico modifica la loro interpretazione”, afferma. “Un film è privo di vita e immutabile, quindi cosa si può fare per renderlo più palpitante? La mia scelta è fare film che consentano al pubblico di scoprire cose nuove a seguito di molteplici visioni. Il mio obiettivo è far sentire che un film è un oggetto vivente e non inanimato”.
“Alcuni lo definiranno un film d’autore, ma io penso che attirerà anche il grande pubblico. Trovo che sia accessibile in un modo incredibilmente innovativo ed è un film che parla a tutti”
Philip Seymour Hoffman