Gran Premio della Giuria all’ultimo Festival di Venezia, giovedì 22 marzo esce al cinema Foxtrot, l’atteso nuovo film scritto e diretto dall’israeliano Samuel Maoz.
Quando degli ufficiali dell’esercito si presentano alla porta di casa e annunciano la morte del loro figlio Jonathan (Yonatan Shiray), la vita di Michael (Lior Ashkenazi) e Dafna (Sarah Adler) viene sconvolta. Mentre la moglie dorme sedata dai tranquillanti, Michael, sempre più frustrato dall’eccessivo zelo dei parenti in lutto e dai benintenzionati burocrati dell’esercito, entra in una turbinosa spirale di rabbia e si ritrova davanti a un’imperscrutabile svolta nella vita, paragonabile alle surreali esperienze vissute dal figlio come soldato.
Le parole di Samuel Maoz
“Einstein diceva che le coincidenze sono il modo che Dio usa quando vuole restare anonimo. Foxtrot è la danza di un uomo con il suo destino. È una parabola filosofica che analizza il concetto misterioso di fato attraverso la storia di un padre e di un figlio, che sono fisicamente lontani ma che nonostante la distanza e la separazione riusciranno a cambiare l’uno il destino dell’altro e di conseguenza i destini di entrambi. La sfida per me è stata affrontare il divario tra le cose che possiamo controllare e quelle che sfuggono al nostro controllo”.
“Ho scelto di costruire la storia come una tragedia greca classica in cui l’eroe è causa della sua punizione e lotta contro quelli che vorrebbero salvarlo. Ovviamente non è consapevole delle conseguenze a cui le sue azioni condurranno. Al contrario è convinto che il suo modo di agire sia corretto e razionale. Questa è la differenza tra una coincidenza casuale e una coincidenza che sembra far parte di un piano del destino. Il caos è organizzato. La punizione corrisponde alla colpa nella forma esatta. C’è qualcosa di classico e circolare in questo processo e c’è anche l’ironia che spesso è associata al destino”.
“La struttura di una tragedia greca in tre atti mi è sembrata la forma drammatica ideale per contenere le mie idee. Volevo raccontare una storia che potesse essere rappresentativa della crudele realtà in cui noi viviamo. Una storia che avesse un valore personale e universale. Una storia di due generazioni – la seconda e la terza, figlie dei sopravvissuti all’Olocausto – che continua a rivivere quel trauma durante il servizio militare. Siamo obbligati a continuare a sopportare questa situazione traumatica senza fine e parte di questa potrebbe essere evitata. Un dramma su una famiglia che va in pezzi e si riunisce. Un conflitto tra amore e senso di colpa; un amore costretto a convivere con un grande dolore emotivo”.
“Con Foxtrot volevo indagare, in un modo intenso che combinasse sguardo critico e compassione, le dinamiche umane in un ambito chiuso. Il film ha una sequenza in cui vedi un schermo di un computer con un necrologio e poi una ciotola con delle arance. Questa immagine è la storia del mio paese in poche parole, arance e soldati morti”.