Da oggi al 18 luglio al Nuovo Cinema Aquila di Roma (doppia proiezione, ore 19.40 e 21.40) arriva Peggio Per Me, il nuovo lungometraggio scritto e diretto da Riccardo Camilli che lo ha anche prodotto e interpretato da protagonista. Prodotto da McFly e distribuito da Distribuzione Indipendente, questo film pone uno sguardo leggero ma serio sulla generazione precaria dei quarantenni, tra disilussione e un’inguaribile voglia di farcela.
Roma, 1986. I dodicenni Francesco (Paolo Galli) e Carlo (Silvio Cafini), amici e compagni di classe, anziché dedicarsi ai compiti sono alle prese con dei mangianastri per creare divertenti “audio-remix” di televendite televisive e film per adulti. Ridono a crepapelle, e proprio nel pieno del divertimento la madre di Carlo, furibonda, li interrompe e li separa bruscamente. Trent’anni dopo, Francesco (Riccardo Camilli) è un quarantaduenne che ha provato a costruirsi una vita normale, serena, ma che in pochi mesi gli è crollata addosso: la moglie lo ha lasciato ed è tornato a vivere dalla madre, la figlia di dodici anni lo vede come un perdente e un immaturo e come se non bastasse è stato licenziato dal suo incarico di insegnante di sostegno.
L’amico Carlo (Claudio Camilli) invece, depresso da anni, vive barricato in casa con la madre per la quale nutre ancora vecchi rancori. Tutto cambia quando Francesco ritrova nella sua auto una delle vecchie musicassette in cui gioca a fare il dj con Carlo: in un momento di sconforto totale posteggia vicino a un ponte in campagna, sta per compiere il più estremo e disperato dei gesti quando da lontano arriva la voce di un bambino.
Peggio Per Me è un film che ci restituisce una nitida fotografia del nostro tempo. Francesco, il protagonista, è il simbolo di una generazione logorata dalla difficile realtà che stiamo vivendo da tanti, troppi anni. Una realtà fatta di precarietà, sia in termini lavorativi che affettivi e relazionali. Francesco ha la testa piena e l’autostima a zero. Solo dialogando (e qui entriamo nel fantastico) con il suo Io da bambino riesce a salvarsi. La sua anima, in fondo, riesce a motivarlo. Il passato, l’energia e l’innocenza dell’infanzia, diventano così un rifugio dove tornare. Non per restarci (sarebbe una sconfitta abbandonarsi alla nostalgia e alla malinconia) ma per ricaricarsi, per tornare a lottare nel presente. Tra commedia e dramma, Peggio Per Me diverte ma fa riflettere. Per questo ho deciso di parlarne con il protagonista e regista, Riccardo Camilli.
Peggio Per Me, un film che viaggia nel tempo, una sorta di “ritorno al futuro”. Come descriveresti l’ideale rapporto tra il tuo personaggio bambino e il tuo personaggio adulto? In che modo l’infanzia può salvare il presente (e quindi il futuro)?
Poter stringere un totale rapporto di amicizia col te stesso da ragazzino, sarebbe una cosa meravigliosa che farebbe sicuramente girare meglio il mondo… si partirebbe col parlare delle differenze della propria tecnologia, della propria società, dei propri miti, poi si andrebbe sul personale, i rapporti con le ragazze / donne, coi genitori, gli amici, per chiudere coi valori, riflettere sulle cose davvero importanti della vita. E guardare te stesso negli occhi, gli occhi di un dodicenne o giù di lì, darebbe una dose di linfa vitale giornaliera. Se tutti avessimo la possibilità di fare due chiacchiere al giorno col proprio “io” moccioso, non esisterebbero tanti stronzi, tanti dittatori, tanti malati di onnipotenza.
Sono nato nel 1986, l’anno in cui è ambientato il momento del ricordo, quello della musicassetta da registrare nella stanzetta. Come mai hai scelto quell’anno? Cosa prometteva l’Italia in quel periodo?
È stata una scelta quasi casuale. Al momento delle riprese avevo 42 anni, nel 2016, e volevo che si percorressero esattamente 30 anni all’indietro. L’età che combaciava con questo era praticamente perfetta, 12, perfettamente a cavallo tra la fine dell’infanzia e l’inizio dell’adolescenza, vale a dire la fine del divertimento e della spensieratezza più puri e incontaminati e l’inizio dei primi guai, la scoperta delle ragazze, i primi dolori di pancia, la scoperta del sesso “fai da te” , i primi votacci a scuola, i primi scontri coi genitori. L’Italia tra la fine degli 80 e l’inizio dei 90, era in piena involuzione televisiva, culturale, con la guerra del golfo che entrava in tutte le tv, un’Italia che guardava in faccia per la prima volta i volti della mafia e che assisteva al maxiprocesso dal salotto di casa. Ma quando sei ragazzino e poi adolescente, te ne freghi altamente, quindi pensavi alle ragazze, alla musica bellissima di quegli anni, ai miti. Lo sentivi dentro, inconsciamente, che dovevi far qualcosa per rendere unici quegli anni. E per renderli unici forse, l’unica via, era fregartene del mondo che non andava.
In questi tempi tutto è invece precario, instabile. Le preoccupazioni della vita, la ricerca continua di prospettive, sembra aver “spento” anche i sentimenti. Ripenso al rapporto tra Francesco e la moglie e tra Francesco e la madre. Concordi?
Esattamente, hai centrato uno dei punti cardine di Peggio Per Me. Questo concetto è fin troppo “detto” in una scena, quando Francesco e la sua ex moglie Anna, interpretata da Tania Angelosanto, hanno appena fatto sesso in macchina, in piena campagna. Ma è quel “detto” che ho trovato giusto. Sono parole che devono in qualche modo far male al pubblico almeno quanto fa male a Francesco dirle alla sua ex, quando è ancora sotto di lei.
Torniamo agli anni Ottanta. Oggi la nostalgia ci sta avvolgendo sempre più. Tu con quale intento hai proposto quel momento storico?
La nostalgia, come la malinconia, sono due meravigliosi sentimenti che spesso vanno a braccetto e non è detto che debbano essere contaminati dal rimpianto, dalla tristezza. E’ semplicemente cercare di trattenere le cose buone del passato, gli odori, le canzoni, i suoni, i sapori. Probabilmente quando avremo 60/70 anni lo faremo anche con certi momenti che abbiamo vissuto a 30/40 anni. Non è rimpiangere il passato, è semplicemente cercare di conservare certe sensazioni che hanno segnato, in modo positivo (quelle negative, ovviamente, è sempre bene rimuoverle) i nostri anni. Ci tengo sempre a precisare che i pochi flashback del mio film dove si vedono mangianastri, audiocassette, walkman, non ho voluto raccontarli con nostalgia, ma come se fossero parte integrante dei personaggi che compongono il film. Mi piacerebbe che i ragazzini di oggi, guardando il film, si incuriosissero a scoprire i nostri “giocattoli” di infanzia/ adolescenza. E’ stato divertente, spiegare il funzionamento della doppia piastra, con doppia audiocassetta, a due ragazzini di 11,12 anni.
Ritorno al presente. Cosa pensi della generazione della tua generazione dei quarantenni?
Tante cose, la maggior parte per niente belle. Credo che per molti versi, di mentalità, di approccio al sesso, ai sentimenti, all’arte e alla creatività, sia la peggiore in assoluto da 50 anni a questa parte. Mi trovo sempre meglio con ragazzi e ragazze sotto i 30/35 anni e con uomini e donne sopra i 45/50 anni.
Il tuo film usa toni leggeri, ma anche drammatici, nei due momenti dei pensieri sul suicidio. Cosa hai voluto esprimere su questo delicato aspetto?
In genere mi piace moltissimo “altalenare” in continuazione la risata e il dramma. Forse riuscirei a fare un film totalmente drammatico ma mi sarebbe impossibile realizzare un film solo comico. Credo che la commedia, la risata, la leggerezza, debbano sempre essere accompagnate dalla malinconia, dal dolore, dall’amarezza, dai disastri della vita. Il suicidio e la depressione sono due cose molto presenti nel film, ma la Commedia ha il compito nobile di fartici fare un sorriso sopra, perché gli aspetti crudi, molti di noi li conosciamo già, senza dover entrare in una sala cinematografica.
La crisi del lavoro pervade ogni settore, compreso quello legato al cinema. Quanto coraggio, passione e perseveranza servono ai registi per vedere la propria opera sul grande schermo?
Credo sempre che sia un fatto di DNA. Se te lo senti dentro e non ti lascia, tu non lo lasci, e non pensi ai soldi, al successo come fine. Pensi solo a voler fare qualcosa che ti piace fare, recitare, dirigere, raccontare una storia. Poi si, farla vedere a più gente possibile ti gratifica di più, ma l’importante è sempre esprimersi e trovare il modo per farlo. Quando ci sono questi elementi, la cosiddetta “perseveranza” e il “coraggio” vengono spontanei… e magari un giorno, qualcosa succede. Qualche Cristo che crede in te. “Bisogna avere un po’ di fiducia, sai, nella gente”, diceva la diciassettenne saggia nelle ultimissime battute di Manhattan, a un irrisolto Woody Allen.
Dalla freschezza e innocenza dell’infanzia alla disillusione dell’età adulta. Questo percorso è davvero così irreversibile? Cosa ci serve per poter dire Meglio Per Me?
Credo che nella maggior parte dei casi sia abbastanza irreversibile, ma non così grave come lo è per Francesco e Carlo. Dipende dalla personalità e dalla fragilità di una persona. Se tra i 15 e i 20 anni sei minimamente in grado di pensare con la tua testa e non con quella del “branco”, forse hai una possibilità di salvarti, di fare scelte meno sbagliate, che ti permettono, più avanti, di selezionare bene le persone, di lasciar andare quelle che ti riempiono la testa e l’anima di negatività, di cattiveria gratuita, di problemi che non esistono. Non è egoismo, è piantare un minimo di basi per una stabilità mentale e rispetto di sé stessi. C’è chi è in grado di farlo a 30, chi a 40… chi non sarà mai in grado. Ma credo che alla base di tutto ci sia il trovare la chiave per riuscire a volersi bene.
Intervista di Giacomo Aricò