Dopo aver chiuso, lo scorso 1° dicembre, il 36° Torino Film Festival, dal prossimo 6 dicembre – distribuito da Academy Two – sarà al cinema l’atteso Santiago, Italia, l’ultimo lavoro di Nanni Moretti. Lo stesso regista in persona lo presenterà sabato 8 dicembre alle ore 16.00 al pubblico del Cinema Politeama di Pavia. In particolare, al termine della proiezione del film, Moretti dialogherà in sala con Federica Villa, docente di Cinema presso l’Università degli Studi di Pavia.
Santiago, Italia
Santiago, Italia è un film-documentario che, attraverso materiali d’archivio, racconta i mesi successivi al colpo di stato dell’11 settembre 1973 che pose fine al governo democratico di Salvador Allende, e si concentra in particolare sul ruolo svolto dall’ambasciata italiana a Santiago, che diede rifugio a centinaia di oppositori del regime del generale Pinochet, consentendo poi loro di raggiungere l’Italia.
Tante testimonianze
L’indagine di Moretti procede soprattutto attraverso testimonianze e parole dei protagonisti dell’epoca. Per la realizzazione del docufilm, sono stati intervistati: Patricio Guzmán (regista); Arturo Acosta (artigiano); David Muñoz (operaio); Miguel Littín (regista); Roberto Toscano (ambasciatore); Carmen Hertz (avvocato); María Luz García (medico); Rodrigo Vergara (traduttore); Carmen Hertz (avvocato); Victoria Sáez (artigiana); Marcia Scantlebury (giornalista); Raúl Silva Henríquez (cardinale); Piero De Masi (diplomatico); Patricia Mayorga (giornalista); Leonardo Barceló Lizana (professore); David Muñoz (operaio); Erik Merino (imprenditore).
Presentiamo qui sotto due estratti dei dialoghi presenti nel film-documentario.
Rodrigo Vergara
“Cercare di modificare tutto il Paese in quelle condizioni, con nemici dappertutto, con il potere economico contro, con i militari contro, con gli americani contro, con la televisione contro, era difficilissimo. Quindi noi sapevamo che alla fine sarebbero intervenuti di forza. Io ho imparato in quel periodo lì che la democrazia è una cosa che va bene finché va bene a quelli che hanno la forza“.
“Eravamo in tanti, lo spazio era grande, un isolato completo. Io mi sono trovato bene. Poi c’erano tutti i compagni, molti di loro più vecchi di me, quindi è stata un’occasione per discutere, parlare, accumulare esperienza . C’era una stanza grande, la chiamavamo la Legua, che è un quartiere popolare di Santiago e avevamo dei materassi per terra. Eravamo due per materasso. Con l’altro compagno che dormiva con me eravamo i vicini: lui si voltava di là, io di qua. Però io avevo la fortuna di avere 20 anni, quindi a quell’età lì tutte queste cose qui sono …. non dico che sono divertenti, perché qualche pensiero c’era, ma non pesano più di tanto. Io avrei dormito per terra senza nessuna difficoltà“.
“Ci hanno portato in un hotel in via Aurelia, ci hanno trattato benissimo, da Dio. Ci hanno dato dei soldi. Nell’hotel noi eravamo a Roma per la prima volta. Io non ero mai andato fuori dal Cile per nessun motivo. Dopo alcuni giorni sono venuti a offrirci del lavoro e io mi sono iscritto immediatamente. Loro dicevano: dall’Emilia rossa offrono lavoro per i cileni. Allora l’Emilia Romagna era l’Emilia rossa e io sono andato a finire in un paesino, si chiama Soliera, di 10.000 abitanti, dove il 70% votava direttamente per il PCI. Quindi loro mi hanno trattato bene. Il mio primo lavoro era stato di operaio in una porcilaia, perché essendo studente di agraria ho chiesto di lavorare in campagna e loro mi hanno preso proprio in parola. L’Italia della fine del ’73 era un Paese meraviglioso. Mi hanno assunto in regola. Prima volevano che io facessi l’impiegato nella porcilaia però gli operai guadagnavano di più e allora io ho chiesto di fare l’operaio perché avevo bisogno… Dopo aver lavorato in porcilaia, ho lavorato in cantina, ho lavato i piatti, ho lavorato come camionista, ho fatto tanti lavori. Non si conosceva il lavoro nero, non si conosceva nessuna porcheria. Io sono un rifugiato, sono nella stessa condizione di qualunque persona che arriva qui senza nulla, perché questa era la mia condizione. Io sono arrivato qui senza soldi, sono stato accolto. Mi hanno permesso di integrarmi“.
“Sono tanti anni che ci troviamo tutti i cileni d’Italia, veniamo qui, festeggiamo con un pranzo, un ballo, una festa, dei cantanti. Sono cileni che ormai sono radicati qui, molti sposati con italiani o italiane, hanno figli italiani, eccetera. E ormai è difficile distinguere la gente che vive qua da tanti anni, se siamo in realtà cileni o italiani. Siamo entrambe le cose“.
Piero De Masi
“A un certo punto c’era una tale corsa alle ambasciate da parte di questi cileni che erano impazziti dal terrore e allora saltavano il muro. Non chiedevano neanche, non entravano in maniera normale. Lì il muro dell’ambasciata è molto basso, adesso l’hanno aumentato, gli hanno dato un metro di più. Adesso sono tre metri ma a quei tempi era basso, era un paio di metri e qualcuno aveva tolto dei mattoni qui e lì in modo da fare una specie di scaletta e questi arrivavano, bum, e saltavano dentro. E qui è venuto il mio caso di coscienza, quando ho cominciato a vedere questi ingressi incontrollati io mi sono detto: che faccio? Io avevo chiesto al mio ministero di darmi istruzioni su quello che dovevo fare. Naturalmente si sono ben guardati dal farlo. E allora io ho deciso di tenerli tutti, di non mandare via nessuno“.
“Lavoratori della mia patria: in questo momento conclusivo, l’ultimo in cui posso rivolgermi a voi, ho fede nel Cile e nel suo destino. Altri uomini supereranno questo momento grigio e amaro in cui il tradimento pretende di imporsi. Sappiate che, molto prima di quanto si pensi, si apriranno nuovamente i grandi viali dove passerà l’uomo libero, per costruire una società migliore. Viva il Cile! Viva il popolo! Viva i lavoratori! Queste sono le mie ultime parole e sono certo che il mio sacrificio non sarà vano”.
Ultimo discorso di Salvador Allende alla radio