90 anni fa nasceva a Roma Sergio Leone, cineasta visionario e innovativo, adorato all’epoca dal pubblico e ancora oggi amatissimo in tutto il mondo. Un uomo che – come sostenuto da Quentin Tarantino – ha cambiato la storia del cinema. Oggi lo ricordiamo parlandovi di uno dei suoi capolavori, Per un Pugno di Dollari, una perla del cinema impreziosita dalla memorabile colonna sonora di Ennio Morricone.
Per Un Pugno di Dollari
Oltre mezzo secolo è passato dalla pellicola che iniziò la cosiddetta “Trilogia del Dollaro” che si completò con i successivi Per Qualche Dollaro in Più (1965) e Il Buono, il Brutto e il Cattivo (1966). Il leggendario scontro tra Joe (Clint Eastwood) e Ramon Rojo (Gian Maria Volonté) ha scritto un’importante pagina della storia del cinema. Caposaldo degli Spaghetti Western, questo film ottenne un successo clamoroso che riscrisse per sempre gli archetipi del genere Western che ormai era in netto declino in quegli anni. Il ‘discorso’ di questo primo western, avrebbe sostenuto in seguito Leone, era nientemeno che “una rottura storica con le convenzioni del genere. Prima di me era addirittura impensabile fare un western senza donne. Non potevi mostrare la violenza perché l’eroe doveva essere una persona positiva. Non si pensava nemmeno, allora, di giocare con un certo realismo: i personaggi principali dovevano essere vestiti come dei figurini! Ma io introdussi un eroe negativo, sporco, che aveva l’aspetto di un essere umano e che era completamente a suo agio nella violenza che lo circondava“.
La nascita del film
Verso la fine del 1963, l’allora direttore della fotografia Enzo Barboni (più tardi diventato regista con il nome di E. B. Clucher ndr) stava uscendo dal cinema Arlecchino di Roma quando si imbatté in Sergio Leone. Barboni aveva appena visto e apprezzato La Sfida del Samurai (Yojimbo, 1961) di Akira Kurosawa, e pensava che a Sergio Leone il film sarebbe piaciuto. E così fu: se ne innamorò e motivò così la scelta: “c’erano due motivi di fondo: uno che potrei definire provocatorio e l’altro più personale. La cosa che più mi aveva incuriosito era una notizia stampa che aveva seguito l’uscita di Yojimbo: si diceva che il film era stato ispirato da un romanzetto ‘giallo’ americano [Piombo e Sangue di Dashiell Hammett]. Kurosawa lo aveva plasmato e rimodellato con maschere grottesche e una cadenza marziale: ecco i samurai. Vidi il film e subito mi venne la voglia di spogliare quei ‘burattini’ e dopo averli reinventati cow-boy, rifar loro attraversare di gran fretta l’oceano e riportarli in patria. Era quella la provocazione. Ma c’era un’altra cosa. Dovevo trovare una ragione in me stesso – non essendo mai vissuto in quell’ambiente. Dovevo trovare una ragione all’interno della mia cultura“.
Da Kurosawa a Leone
Leone effettuò diverse modifiche alla sceneggiatura e l’ambientazione fu spostata dalla provincia giapponese al confine tra Messico e America, con il suo sistema ispanico di valori. Per il regista girare questo primo western fu un sogno realizzato: “quando cominciai il mio primo western – spiegò Leone nel 1964 – dovetti trovare in me stesso una ragione psicologica, perché non avevo mai vissuto in quel tipo di ambiente. E un pensiero mi venne spontaneo: era come se fossi il burattinaio dei pupi siciliani, i loro spettacoli erano leggendari ma anche storici. Se l’abilità del burattinaio consisteva nel dare a ogni personaggio una connotazione ulteriore relativa al paese specifico che i “pupi” stavano visitando, io come cineasta dovevo creare una favola per adulti, una fiaba per ragazzi cresciuti; e il mio rapporto col cinema era quello di un burattinaio con i suoi burattini”.
Eastwood e Volonté
Il sogno di Leone era quello di affidare il ruolo del protagonista a Henry Fonda che però fu “blindato” dal suo agente (disse: “una cosa del genere non la farebbe mai”). Così alla fine fu scelto Clint Eastwood che fu pagato 15 mila dollari. Molto meno di lui prese l’eccezionale Gian Maria Volonté (2 milioni di lire) che durante le riprese così si espresse: “sto facendo un filmetto in fretta e furia per pagare i debiti del Vicario (pièce teatrale da lui prodotta e interpretata finita sul lastrico); figuratevi che è un western italiano, e si intitola Per un pugno di dollari. Lo faccio veramente per un pugno di dollari, ma certo non può nuocere alla mia carriera. Mi hanno conciato come un matto, sono irriconoscibile, e nei titoli di testa avrò persino uno pseudonimo americano, John Wells. Insomma, non corro alcun rischio. Chi volete che vada a vederlo?”.
Un cinema di immagini
Per Un Pugno di Dollari può essere considerato un film manifesto del cinema di Sergio Leone. Fu lui stesso a sottolinearlo: “ho un tipo di fantasia onirica. Sono un ‘creatore di immagini’, prima poche e sfumate, poi molte e sempre più chiare, poi ancora di più. E come in un caleidoscopio policromo, cominciano ad ordinarsi, a prendere un verso, avere un significato, una sequenza, una logica. Così è nato Per Un Pugno di Dollari e così tutti gli altri miei film. Per questo non potrei pensare di realizzare un film su una base tematica di fondo: le immagini sarebbero meno sincere, meno spontanee, meno mie. Questo invece vogliono i critici dal cinema ed è questo che io non accetterò mai. Come non accetterò mai la distinzione tra cinema politico e non politico; semmai l’unica distinzione che si potrebbe fare è quella più generica, più astratta, più imbarazzante ma anche più sincera: tra cinema e non-cinema“.