Venerdì 8 febbraio, al Teatro I di Milano (Via Gaudenzio Ferrari, 11, info su www.teatroi.org), Viola Graziosi debutta in prima nazionale con Penthy Sur La Bande (Pentesilea, l’Anima di Una Marionetta), lo spettacolo – che resterà in scena fino al 18 febbraio – scritto dalla giovane e promettente drammaturga francese Magali Mougel, tradotto da Silvia Accardi e diretto da Renzo Martinelli.
Da Kleist alla Mougel
Penthy richiama, per assonanza e riferimenti la Pentesilea di Kleist, riscrittura del mito in cui si assiste ad un ribaltamento del racconto originale. Qui è Pentesilea che, in un eccesso di furore erotico, dopo aver vinto in duello Achille, lo uccide. Ma non le basterà ucciderlo. Arriverà fino a mangiarlo, sbranarlo, possederlo per sempre. Con il suo eccesso di furore, tra eros e thanatos, la figura kleistiana, esasperata, di Pentesilea aveva come intento quello di scuotere la borghesia benpensante.
La regia di Renzo Martinelli mette in scena una nuova Pentesilea, una “marionetta sonora” che rivive incessantemente lo stesso dramma e ripete inesorabilmente la stessa azione. Penthy cammina sul filo, avanza – sur la bande, sulla striscia – perché non può fare altro che andare incontro al suo destino: uccidere l’amato Achille, colui che l’ha tradita. Questo dramma, scritto alle soglie del romanticismo e nato come libretto d’opera, da sempre ritenuto di ardua rappresentazione, trova una differente immediatezza nel testo di Magali Mougel che lo ripropone in una forma sintetica, comunque sonora, che richiama l’ascolto più ancora della rappresentazione.
Viola Graziosi
Penthy gioca sul filo del suono e della parola, dell’amore e dell’odio, dei baci e dei morsi. Un concerto tra bisbiglio e invettiva. In scena un’attrice, Viola Graziosi, la cui voce si fa coro. Noi abbiamo deciso di intervistarla.
Penthy, la protagonista che “corre sul filo”. Chi è? Cosa la “muove”?
Penthy è ciò che rimane della guerriera Pentesilea, (una marionetta, una donna che ha perso la ragione?) che corre sul filo della memoria e dei ricordi che abitano la sua mente. Nel testo di Magali Mougel non c’è azione, tutto il dramma è già avvenuto, ma ritornano i suoni, le immagini, i sapori di ciò che è stato. Dopo che tutto è accaduto… “che cosa resta?” si chiede Penthy, “continuare ad essere fedeli a quello che siamo”. Ecco questo la muove, ciò che ritorna a lei, e ciò che lei continua ad essere, anche dopo.
Penthy richiama la Pentesilea di Kleist, una figura che, con eccesso di furore, tra eros e thanatos, aveva come intento quello di scuotere la borghesia benpensante. Cosa vuole trasmettere al pubblico il suo personaggio?
Questo testo ripropone in un contesto attuale le stesse tematiche del testo di Kleist, che veniva definito come un dramma “irrappresentabile”. Qui però siamo nel “post-drammatico” e il tentativo è quello di portare gli spettatori a stare sulla linea, sul filo, sulla striscia del titolo che è come una linea di demarcazione tra ciò che conosciamo (le regole della società, la morale, la distinzione tra bene e male, la zona di comfort), e ciò che non accettiamo, che ci fa paura, ciò che giudichiamo, ciò che escludiamo a priori. L’Amore non può essere “borghese” sembra dirci Kleist, l’amore in senso lato è qualcosa di animale, di istintivo. Come si può conformare a delle (giuste) regole che riguardano la collettività degli uomini? E come facciamo noi a rimanere fedeli a noi stessi costi quel che costi? Chiaramente Pentesilea ha il valore di una metafora, è una sorta di ribellione della donna nei confronti dell’uomo e della società. Ma come Medea, il senso non va inteso in senso cronachistico.
Tema importante dello spettacolo è quello della Fedeltà, sia a livello sentimentale che ideologico. Cosa pensa della frase “l’amore è la vera rivoluzione” di Alain Badiou?
Trovo che sia una frase molto importante. Oggi come oggi il concetto di fedeltà è sempre più desueto, viviamo nel tempo dell’usa e getta, della ricerca del piacere immediato, della soddisfazione personale, mentre come dice Badiou l’amore è costruzione. Sia l’amore per se stessi che l’amore inteso come rapporto di coppia, che l’amore inteso in senso politico. Lui definisce l’amore come “comunista” nel senso di far prevalere l’interesse comunitario da quello egoistico. L’amore è una grande scuola di Vita, è una pratica. E la fedeltà fa indubbiamente parte dell’amore, del patto. In questo senso concordo perfettamente con lui, oggi l’amore è rivoluzione. E lo dice una persona che si è sposata pochi mesi fa!
Aspetto particolare della rappresentazione sarà l’utilizzo della tecnica olofonica. Sembra che il teatro si avvicini un po’ al cinema. Mi sbaglio?
La tecnica olofonica è molto particolare, permette di riprodurre un suono praticamente identico alla percezione del reale, in 3D. I microfoni olofinici sono come due orecchi. Il pubblico in sala sarà dotato di una speciale cuffia dalla quale potrà ascoltare suoni e rumori reali e suoni e rumori registrati. L’uso che ne fa il regista Renzo Martinelli è chiaramente di tipo drammaturgico, perché ci permette di restituire la molteplicità che abbiamo nella testa, forse il suono del pensiero che raramente è singolo, è quasi un’orchestra. Il pubblico potrà fare quindi un’esperienza immersiva particolare. Non mi è ancora mai capitato di ascoltare un film con delle cuffie olofoniche, ma dev’essere molto divertente. Ad ogni modo sì, possiamo dire che in questo caso il teatro si avvicina al cinema ovvero ad un’esperienza più simile al “reale” rispetto a quello che è solitamente la distanza tra attore che recita sul palco e pubblico in sala.
La prima nazionale è sempre carica di emozione. “Anche le marionette hanno un cuore!” Il suo per cosa batte? Cosa spera di vedere negli occhi degli spettatori?
Il mio batte forte perché c’è sempre un po’ di paura, di essere lì e che avvenga quel qualcosa che sfugge alla nostra volontà, ma che può accadere. Possiamo provare, preparare, disporci, allenarci…ma poi “si fa”. Ecco quello che mi auguro è che “si faccia” tra me e gli spettatori, che si faccia un’esperienza comune che lasci un semino nel cuore (o nella testa) di ciascuno. E con questo inizio sempre da me ovviamente, perché ogni spettacolo è come un viaggio, dal quale esco sempre arricchita e diversa da come ero prima di partire. Ecco spero che gli spettatori si possano abbandonare a questo viaggio. Qui non usiamo la forma del racconto o della narrazione più “classica”, il testo non porta a questo. Sono più suggestioni, non c’è una vera e propria trama…solo provare a stare per un momento insieme sulla striscia.
Intervista di Giacomo Aricò
“Oggi è il giorno della festa delle rose.
E questo è quel tipo di storia che la gente, a volte, racconta alle feste, quando si beve troppo e la situazione sfugge di mano.
Dovrebbe essere estate.
E la festa dovrebbe avvenire da qualche parte nel bel mezzo del nulla: dove di solito si svolgono le feste.
Ma non è questo che sta per accadere”.Penthy sur la bande