Da mercoledì 17 luglio – distribuito da Lake Film – nelle sale arriverà Baby Gang, il nuovo film diretto dal “lupo solitario” del cinema italiano Stefano Calvagna. In questa pellicola il regista ha guidato un cast di giovani attori esordienti: Daniele Lelli, Raffaele Sola, Gianluca Barone, Francesco Lisandrelli, Gianmarco Malizia, Domiziana Mocci, Chiara De Angelis, Giulia Sauro e Sabrina Sotiryiadi. Al loro fianco ci sono lo stesso Calvagna, David Capoccetti, Claudio Vanni, Andrea Autullo e Veronica Graf.
Il film
Ambientato in una cruda e attualissima Roma (già sfondo di Si Vis Pacem Para Bellum, girato e interpretato da Calvagna nel 2016), il film punta l’obiettivo della macchina da presa su una baby gang che vuole prendere il controllo del quartiere e fare soldi, intrecciandone le vite dei componenti con quelle dei coetanei che svolgono, invece, una vita da normali sedicenni. Ispirato a fatti reali relativi alla criminalità e alla prostituzione minorile, fenomeni purtroppo in costante aumento in Italia, Baby Gang è un’opera che affronta un percorso nella psicologia e nelle storie dei ragazzi che vivono intorno a noi.
Ma la particolarità di Baby Gang risiede nella maniera atipica in cui è stato realizzato, in quanto, con lo sguardo dichiaratamente rivolto al Neorealismo di Pier Paolo Pasolini, i processi produttivi e di regia sono stati affrontati prendendo come protagonisti veri e propri ragazzi di strada – non attori – che, oltretutto, hanno recitato l’intero lungometraggio senza copione, basandosi in maniera esclusiva su una storyline descritta giornalmente da Calvagna stesso.
Intervista a Stefano Calvagna
Per approfondire le importanti e attuali tematiche del film abbiamo intervistato Stefano Calvagna.
Baby Gang, un film “neorealista e pasoliniano”. Partiamo da qui: perchè è stato definito così? Cosa ti ha ispirato di Pier Paolo Pasolini?
Non c’è stata un vera e propria ispirazione, ma una casualità dettata da una scelta artistica. Credo che il riferimento sia nato dal fatto che ho utilizzato ragazzi di strada che, senza copione, hanno recitato solo in base a una storyline che quotidianamente gli ho fatto improvvisare sul set. Forse si è andati un po’ oltre il neorealismo pasoliniano. Io lo chiamerei più un incosciente esperimento riuscito.
Com’è stato il tuo lavoro sul set con i questi giovani attori? Cosa sono riusciti a darti in più rispetto ad un copione prestabilito?
Il lavoro con i ragazzi è stato più facile di quanto pensassi. Ogni giorno che passava miglioravano sempre di più e mi hanno sorpreso positivamente. Mi hanno dato il valore aggiunto di essere veri e mai edulcorati.
Roma, cruda e attualissima, non è solo lo scenario della storia ma un vero e proprio personaggio. Tu come descriveresti la “città eterna” che oggi sembra così tanto in declino? Quanto questa città porta sulla cattiva strada i protagonisti della storia?
Roma è cambiata molto, e non è un luogo comune ma un dato di fatto reale e oggettivo. Il livello di criminalità si è alzato notevolmente, e non solo nelle periferie più difficili ma anche negli ambienti della Roma bene. È la mia città, ci sono nato e l’ho vissuta anche io con ragazzi di strada negli anni ‘80, ma era un contesto diverso. C’erano sempre situazioni difficili, ma con dei codici che venivano rispettati. Oggi queste mancanze portano già dall’età adolescenziale a commettere reati anche verso donne e persone anziane, solo per farsi accettare e mettersi in mostra in certi ambienti, come se fosse una patente per delinquere.
Baby Gang è una fotografia spietata e reale di una generazione smarrita, arrabbiata, alla ricerca di un senso. Perchè siamo arrivati a questo punto? Di chi sono le colpe? Degli adulti? O più in generale di un mondo che sta andando a sbattere ad alta velocità?
Le colpe possono provenire dal contesto familiare ma anche dal quartiere in cui uno cresce e dalle amicizie che frequenta. Sicuramente ognuno ha una storia a se. Alcuni cercano di emulare le gesta di personaggi criminali di alcune serie televisive, altri, invece, prendono la via dello sport e delle palestre, che possono essere un valido elemento di sfogo per togliersi dalla strada e salvarsi dai contesti criminali.
Lo spettatore va in sala a vedere Baby Gang. Secondo te come deve uscire dal cinema? Qual è il messaggio che vuoi lanciargli?
Il messaggio del film è che il crimine non paga. Anzi, paga con il carcere o con la vita. Quindi, una seria riflessione e un messaggio sociale importante, che andrebbe fatto vedere sia nelle scuole che nelle carceri minorili e non solo.
Intervista di Giacomo Aricò