Presentato all’ultimo Sundance Film Festival, giovedì 10 ottobre arriva nelle sale La Scomparsa Di Mia Madre, il film d’esordio di Beniamino Barrese che ha come protagonista sua madre, Benedetta Barzini, top model, femminista, scrittrice e docente universitaria, che ha oggi 75 anni. La pellicola verrà proiettata, alla presenza di madre e figlio, domenica 13 ottobre alle 17.30 presso il MIC – Museo Interattivo del Cinema di Milano.
Benedetta Barzini
Poco più che ventenne Benedetta Barzini viene scoperta per le strade di Roma e catapultata sulle più importanti passerelle del mondo. Negli anni Sessanta vive a New York da protagonista. È lei che nel 1964 buca la copertina del primo numero di Vogue Italia coi suoi occhi neri, è lei la SuperTop che detta tendenza, lei che negli anni ’70, all’apice del successo, molla tutto e si dedica alla lotta per i diritti delle donne al fianco dell’estrema sinistra italiana. La sua missione è annientare il conformismo. Modella e icona degli anni 60, Benedetta Barzini è stata la musa di artisti come Andy Warhol, Salvador Dalì, Irving Penn e Richard Avedon. Negli anni 70 abbraccia da militante la causa femminista, diventando scrittrice e docente acuta e controcorrente di Antropologia della moda, in eterna lotta con un sistema che per lei significa sfruttamento del femminile.
Oggi a 75 anni, stanca dei ruoli e degli stereotipi in cui la vita ha cercato di costringerla, Benedetta Barzini desidera lasciare tutto, per raggiungere un luogo lontano, dove scomparire. Turbato da questo progetto – radicale quanto indefinito – suo figlio Beniamino comincia a filmarla, determinato a tramandarne la memoria, regalandoci un ritratto cinematografico che confeziona la testimonianza personale e politica di una donna costantemente in rivolta, severa, decisa a condannare la mercificazione del corpo femminile, a tal punto da disapprovare anche lo sguardo ‘intrusivo’ del figlio. Il progetto si trasforma in un’intensa battaglia per il controllo della sua immagine, uno scontro personale e politico insieme tra opposte concezioni del reale e della rappresentazione di sé, ma anche un dialogo intimo, struggente, in cui madre e figlio scrivono insieme le ipotesi di una separazione, difficile da accettare e forse impossibile da raffigurare.
Beniamino Barrese racconta…
“Fotografare e filmare per me sono sempre stati una strategia per trattenere esperienze e persone amate, salvandole dallo scorrere del tempo.
Ho sempre cercato di fare lo stesso con mia madre – ma metterla di fronte ad un obiettivo non è mai stata un’impresa facile. Provavo una sorta di riverenza nei suoi confronti. Mi sembrava impossibile contenerla in un’immagine. Era troppo di tutto: troppo bella, troppo intelligente, troppo carismatica, troppo aggressiva, troppo forte, troppo profonda, troppo speciale. Nonostante fossimo da sempre molto legati (sono il suo ultimo figlio, il suo “beniamino”, come dice il mio nome), è sempre stata un mistero per me. Le poche cose che scoprivo sul suo passato, inconciliabili con la Benedetta che conoscevo, traslavano la sua persona in una nebulosa dimensione di mito“.
“Mia madre mi ha spinto a ragionare sul valore e il potere delle immagini – un veicolo di conoscenza ma anche di manipolazione, un codice che spesso rischiamo di subire perché ci mancano gli strumenti per leggerlo, decifrarlo e criticarlo. Nel tragitto del dialogo – a volte silenzioso, a volte esplicito – che si è instaurato tra noi su questi temi, la volontà di mia madre di “scomparire” è arrivata come una battuta finale, la boutade che scompagina tutto. Che cosa ti resta da fare quando tua madre ti dice di volersene andare per sempre? Decidere di fare questo film è stato il mio tentativo di trovare una risposta. Ho ricominciato a filmare mia mamma come facevo da bambino, partendo dalle sue lezioni e guadagnando pian piano terreno, fino ad arrivare in quello spazio intimo in cui da sempre l’avevo conosciuta. L’ho fatto con e contro mia madre, sostenuto dalla fiducia che l’esposizione del nostro conflitto (personale ma anche politico) potesse essere un modo, per quanto paradossale, di celebrare quelle domande che non aveva mai smesso di pormi“.
“Ora, alla fine di questo percorso, so di non essere riuscito, ancora una volta, a racchiudere mia madre in un’immagine capace di raccontarne l’autenticità – il valore per lei più importante tra tutti. Anzi, al contrario, ho capito finalmente che mia madre aveva ragione. Come lei spesso ripete, “ciò che veramente conta, è sempre invisibile”. L’essenza delle cose ha a che fare con la nostra esperienza, e sta sempre al di là di quello che è possibile rappresentare“.