Dopo essere stato presentato con successo alla 76. Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, in Concorso categoria Orizzonti, giovedì 24 ottobre arriverà al cinema Sole, drammatica pellicola (co-produzione Italia-Polonia) diretta da Carlo Sironi. A Venezia, il film ha vinto tra gli altri il Premio FEDIC e il Premio NUOVOIMAIE Talent Award al miglior attore emergente, e ha partecipato nella sezione Discovery al Toronto International Film Festival.
Il film
La storia ha come protagonisti Ermanno (Claudio Segaluscio), ragazzo che passa i suoi giorni fra slot machine e piccoli furti, e Lena (Sandra Drzymalska), giovane donna che arriva in Italia per vendere la bambina che porta in grembo e poter iniziare così una nuova vita. Ermanno deve fingere di essere il padre della bambina per permettere a suo zio e alla moglie, che non possono avere figli, di ottenere l’affidamento in maniera veloce, attraverso un’adozione tra parenti. Sole, però, nasce prematura, e deve essere allattata al seno: mentre Lena cerca di negare il rapporto con sua figlia, Ermanno inizia a prendersi cura di loro come se fosse il vero padre. Tra Ermanno e Lena inizierà a crescere un legame inatteso.
Carlo Sironi racconta…
“Sin da giovane mi sono chiesto come sarebbe stata la mia vita se fossi diventato padre: cosa significa diventare padre, diventare genitori? Ovviamente non ha a che fare semplicemente con il mettere al mondo una creatura con il proprio corredo genetico, ma piuttosto con un cambio di approccio rispetto alle proprie prospettive, alle proprie aspettative. Cosa si prova a posare lo sguardo su una creatura appena nata di cui ti devi prendere cura, di cui ti senti responsabile? Mi sono chiesto se potrei mai diventare il padre di un bambino non biologicamente mio, un percorso forse meno usuale ma non per questo meno concreto. Sole è il tentativo di rispondere a questa domanda“.
“L’ho fatto attraverso un caso limite, una storia fuori dall’ordinario, che parte però da una ricerca sul campo: in Italia la maternità surrogata è vietata dalla legge, ci sono molti espedienti illegali nel mondo delle adozioni, dove il traffico di neonati è una realtà concreta. Ho iniziato a documentarmi e ho immaginato un “caso” come quello raccontato nel film. A quel punto ho contattato la Presidentessa del Tribunale dei Minori di Roma, che mi ha confermato che aveva affrontato personalmente episodi di quel tipo. Ho continuato la mia ricerca e ho capito che ciò che volevo raccontare non era il mondo che si nasconde dietro alla tratta dei neonati, ma una storia privata: la storia di un ragazzo che, chiamato a fingersi padre, arriva a sentirsi padre davvero. Un percorso di identificazione attraverso l’interpretazione di un ruolo fittizio“.
“Dall’altra parte volevo raccontare una ragazza che, decisa a vendere la propria figlia, si trova ad affrontare tutti i conflitti emotivi che scaturiscono dal contatto forzato con la figlia e dal legame inaspettato con un ragazzo sconosciuto. Soprattutto ho sentito sin da subito che volevo trattare con una delicatezza quasi paradossale una storia sulla carta molto cruda, perché credo che proprio nei contesti più impensati possiamo trovare quella tenerezza, quel sentimento che può darci la spinta per cambiare vita. Di fronte a me ho visto la possibilità di raccontare una storia d’amore, ho capito che mi trovavo su un terreno nuovo per me e proprio per questo volevo andare fino in fondo“.
“Credo che vedere un film regali allo spettatore una sorta di potere divinatorio: a volte, nonostante non abbia tutte le coordinate, e anzi spesso proprio per questo, è capace di sentire, di indovinare ciò che il personaggio sta pensando, ciò che prova, senza bisogno di parole. Ho voluto ricercare quella sensazione. Ho cercato un linguaggio essenziale che restituisse la condizione emotiva dei personaggi, quella sorta di immobilità affettiva che hanno all’inizio del film nonostante tutto ciò che accade loro, un linguaggio aperto a mostrare tutta la complessità dei sentimenti che iniziano a provare e che scalfiscono le loro gabbie emotive“.