Dopo l’anteprima mondiale del 19 gennaio al Film Festival di Trieste Film Festival, giovedì 23 gennaio 2020 su Sky Arte andrà in onda L’Ultimo Uomo Che Dipinse Il Cinema – Renato Casaro, un bellissimo documentario diretto da Walter Bencini. Si tratta di un emozionante viaggio nel mondo di Renato Casaro, uno dei più importanti illustratori ancora viventi che l’industria del manifesto cinematografico mondiale abbia mai avuto. Attraverso questa storia si racconta quello che ha rappresentato il cartellone cinematografico nell’Italia del dopoguerra e si riflette sul mondo del cinema di quel periodo e sul valore artistico del manifesto.
Il film
Nel documentario di Walter Bencini si racconta la vita professionale di Renato Casaro nel momento in cui, con nostalgia, prendiamo atto che il mondo digitale e i social hanno totalmente destituito di importanza il lavoro di chi dipingeva con pennello e aerografo e constatiamo che oggi nella promozione dei film, i trailer e i motion visual hanno sostituito quasi del tutto il manifesto. Attraverso le sue opere, i frammenti di vita quotidiana, le foto e filmati di repertorio, conosceremo l’aspetto artistico ma anche quello umano. Entreremo nel suo mondo, nello studio della sua casa natale, dove il maestro srotola ricordi, curiosità, emozioni, riflessioni sul passato e sul presente: la sua adolescenza, l’avventura a Roma, l’incontro con i grandi illustratori del tempo, il rapporto con i grandi registi e produttori, gli amori della sua vita, il distacco traumatico dal cinema.
Per la prima volta Casaro ci svela la tecnica pittorica, realizzando dal vivo alcuni manifesti famosi. Vedremo gli schizzi preliminari, i bozzetti originali, le fotografie di scena di grandi film internazionali. Il film è anche arricchito dalle testimonianze di collezionisti, critici e personaggi del mondo cinematografico italiano che hanno lavorato con lui, che ci raccontano non solo i particolari e le dinamiche creative e commerciali di determinati manifesti di successo, ma anche del periodo d’oro del cinema italiano, con i suoi risvolti artistici e sociali: Aurelio De Laurentiis, Vittorio Cecchi Gori, Osvaldo de Micheli (Capo dell’Ufficio stampa e pubblicità della Cineriz e della Rizzoli Film dal 1960 al 1982), Terence Hill, Carlo Verdone, Enrico Vanzina, Dario Argento, Federico Mauro (Multimedia Designer e Art Director della Vertigo Cinema), Maurizio Baroni (collezionista di cartelloni cinematografici) Nicoletta Pacini (resp. Museo Nazionale del Cinema di Torino) Goffredo Fofi (Giornalista e critico cinematografico), Giovanni Bogani (Giornalista e critico cinematografico).
Il contesto storico e artistico
I primi anni in cui Casaro faceva nascere i suoi manifesti coincidono con quelli del Boom economico, c’erano un’infinità di cartelloni cinematografici che spuntavano ovunque, si era in un’epoca in cui la televisione era agli albori, tutto esplodeva nelle strade, nelle piazze, alla fermata dell’autobus, i manifesti erano l’unica cosa da guardare, un racconto lungo le strade. Renato Casaro insieme a pochi altri ha impaginato per 40 anni quest’infinito fotoromanzo. Locandine e cartelloni che oggi sono ricercati dai collezionisti ma che in quel tempo era materiale pubblicitario di routine, cui nessuno, probabilmente lui per primo, dava troppa importanza. Oggi sono cose quasi perdute che però splendono di più, ricordandoci quello che erano. Promesse di sogni. Sentimenti popolari fatti vivere sui muri delle città d’Italia. Ricoprivano i muri delle case, ammiccavano da lontano su enormi pannelli, con i loro colori sgargianti, con i disegni smisurati dei divi. Infinite corse contro il tempo per distillare da un film un volto, un colore, un bacio, un tormento, la paura, un’estasi.
Casaro ha coltivato l’arte miracolosa dell’equilibrio, ha subito capito che le sue opere dovevano camminare sul crinale fra arte e mercato, ha saputo, da buon professionista, rispettare le scadenze e le esigenze del committente, inserendo in questo rapporto la sua genialità creativa e l’abilità di realizzazione di quei volti, i volti del cinema. E’ uno che ce l’ha fatta, non solo per il suo talento innato, ma anche grazie a tanto impegno, volontà e rigore. Non ha mai mollato in un percorso professionale molto lungo iniziato da giovanissimo negli anni d’oro del cinema e finito verso la fine degli anni novanta. Trevigiano di nascita, è il più importante illustratore che l’industria del manifesto cinematografico mondiale abbia mai avuto. Ha lavorato con i più importanti registi di ogni tempo: da John Huston a Sergio Leone, da Claude Lelouch a Dario Argento, da Rainer Werner Fasbinder a Bernardo Bertolucci, da Giuseppe Tornatore a Francis Ford Coppola, da Martin Scorsese a Luc Besson, solo per citarne alcuni.
Casaro ha realizzato dipinti memorabili, che hanno dato il la al successo di kolossal conosciuti e apprezzati in tutto il mondo, con i suoi manifesti pensati per racchiudere in un’immagine lo spirito dell’opera, l’animo del regista, il profilo dell’attore principale, spesso vivendo le riprese accanto al regista, per respirare l’anima del film e coglierne in un immagine, in uno scorcio, in una espressione, lo spunto per raccogliere in un unico frammento tutta la pellicola. Casaro oggi è parte fondamentale della storia del cinema, avendo dipinto oltre 2000 illustrazioni per l’industria cinematografica. Oggi i suoi lavori originali fanno parte della sua collezione privata.
La storia di Renato Casaro
Nato a Treviso nel 1935, per Renato Casaro il grande schermo è sempre stato un luogo magico, una vasta superficie dove la fantasia poteva scatenarsi e crear un regno tutto suo. Il cinema negli anni cinquanta era un veicolo per rappresentare avventure e sogni, era il dominio dell’immaginazione. A 17 anni Casaro iniziò a lavorare in una tipografia come apprendista grafico. Già durante questo periodo realizzò i primi cartelloni monumentali per la facciata del Cinema Garibaldi di Treviso ispirandosi ad altri illustratori dell’epoca, in cambio dell’ingresso in sala. Nel 1953, diciottenne, andando contro le aspettative del padre che avrebbe voluto diventasse un disegnatore navale, si trasferì a Roma, che all’epoca era la capitale mondiale del cinema. Dopo due anni di lavoro all’agenzia pubblicitaria Studio Favalli, aprì uno studio privato a Cinecittà. Iniziò lavorando su commissione nel settore del fumetto, realizzando i disegni dell’albo settimanale Capitan Walter (1956) dove già si notava l’impostazione cinematografica nell’inquadratura, già moderna in quegli anni, che lo avrebbe influenzato nel suo futuro di artista. Il primo lavoro importante fu per la Minerva, un film sentimentale tedesco Due Occhi Azzurri, in cui esordì nel circuito nazionale, con la firma Renè (pseudonimo che usò per un certo periodo).
Casaro, in quel momento il più giovane creativo della pubblicità cinematografica, inizialmente si ispirava soprattutto ai modelli americani e italiani, che a quel tempo influenzavano i gusti del pubblico. I suoi lavori non contenevano ancora lo stile Casaro: “i lavori di allora non sono paragonabili con quello che faccio oggi – racconta l’artista – tutto cresce e si sviluppa strada facendo, sia il successo, sia lo stile. In quei tempi infatti andava di più lo stile impressioni sta, tutto doveva apparire come un rapido abbozzo”. Casaro sviluppò le sue facoltà con costanza e determinazione raccogliendo il nuovo: “l’arte dell’illustratore non si può imparare, al massimo si può apprenderne la tecnica, ma la creatività bisogna già possederla. Si possono conoscere certi elementi basilari, tutto il resto è questione di tempo, perseveranza nel provare e sperimentare, nonché una questione di esperienza coltivata e favorita da un talento naturale. Se uno non continua a crescere e svilupparsi, non ha nessuna chance”.
Nel 1966, dopo aver realizzato una serie innumerevole di film di serie B, arrivò il primo successo internazionale arrivo con il colossal La Bibbia, prodotto da Dino De Laurentis: per la prima volta un suo manifesto veniva visto sul Sunset Boulevard di Hollywood. Gli anni ‘60 sono anche il periodo degli “spaghetti western” e i suoi manifesti con Clint Eastwood fanno il giro del mondo, su tutti Per Un Pugno Di Dollari di Sergio Leone. Negli anni 70 il suo stile cambia, diventa “realista”, e con l’avvento della commedia all’italiana Casaro realizza molte illustrazioni con volti noti come Alberto Sordi, Manfredi, Tognazzi Bozzetto, Banfi, Villaggio, Montesano, Tomas Milian, e quasi tutti i film legati alla coppia Bud Spencer e Terence Hill. Gli anni successivi segnarono un perfezionamento della sua espressione pittorica, fino a trovare con il film Bolero di Claude Lelouch quella “sformatura” che cercava. Questa novità nella tecnica della realizzazione del manifesto fu ripresa da una generazione di giovani illustratori e fece scuola. Negli anni ‘80 si trasferisce in Germania ed inizia a lavorare con le principali case di produzione americane. Il suo stile, più vicino all’iperrealismo, diventa sempre più raffinato, attirando grandi committenti come John Carpenter, Francis Ford Coppola, David Lynch, Martin Scorsese, De Palma, Bernardo Bertolucci, Luc Besson, John Carpenter, Rainer Werner Fassbinder e molti altri.
“I manifesti – racconta Casaro – sono il primo annuncio di un nuovo film, la prima presa di contatto con gli appassionati ed anche la prima identificazione” essi infatti suggeriscono l’avvenimento cinematografico che sta dietro, quasi a dimostrare che egli non ha ancora dimenticato il suo sogno di potersi realizzare come regista. I manifesti di Casaro – artista sempre capace di muovesi con eleganza e disinvoltura tra i vari generi cinematografici – sono stati oggetto di numerose esposizioni e gli originali sono molto ricercati dai collezionisti. Dopo essersi ritirato verso la fine degli anni ’90 a seguito dell’avvento di Photoshop, Casaro è stato recentemente contattato da Quentin Tarantino per la realizzazione di due manifesti di C’era Una Volta a Hollywood e da Carlo Verdone per il suo ultimo film che uscirà nei prossimi mesi: “sarà una sfida importante per me, perché è il momento di tentare di fare qualcosa di diverso, per esempio fare un misto fra digitale e pittorico. È una sfida che accetto molto volentieri!“.
Walter Bencini racconta…
“Il concetto attuale di arte è divenuto sempre più ampio rispetto al passato. Se fare arte significa trasmettere emozioni, leggere nel cuore di chi osserva e interpretare il mondo, rivisitandolo e trasmettendo sensazioni, allora anche il manifesto cinematografico è arte. La storia dell’arte del ‘900 ha sempre marginalizzato il manifesto cinematografico e spesso non l’ha preso in considerazione perché era concepito per le masse. Questo ha portato le discipline artistiche a non approfondire la storia di queste opere e neppure la storia dei loro autori, i cosiddetti cartellonisti. La critica ha sempre pensato che gli artisti fossero altri. Invece i dipinti di Casaro per la loro efficacia comunicativa, per la loro fantasia, possono entrare nelle gallerie d’arte senza preconcetti, non solo perché è tempo che si rivaluti in termini critici l’illustrazione, ma proprio perché, a un’indagine attenta, l’opera di Casaro acquisisce anche un valore personale, riaccendendo emozioni e ricordi“.
“A tale proposito Fellini diceva: “i manifesti cinematografici si fanno amare perché sono come le canzonette: ti riportano a certi momenti della tua vita, impedendoti di perderli. Ti riportano non soltanto ai film, quanto alle loro stagioni, al clima e al sapore di quelle stagioni. La tenerezza, il languore, il desiderio, la paura, abbiamo imparato a conoscerli anche attraverso i manifesti del cinema”. Attraverso i manifesti cinematografici di Casaro noi possiamo ripercorrere la storia del cinema, la storia dello spettatore cinematografico in particolare, la storia della promozione cinematografica, ma anche la storia della pubblicità, la storia dell’illustrazione, la storia dell’arte“.