Anaïs Demoustier e Fabrice Luchini sono rispettivamente i personaggi di Alice e il Sindaco, il nuovo film diretto da Nicolas Pariser che, dopo la presentazione all’ultimo Festival del Cinema di Cannes 2019 uscirà nelle nostre sale giovedì 6 febbraio 2020.
Il film
Il sindaco di Lione, Paul Théraneau (Fabrice Luchini), non è per niente in forma ed è a corto di idee. Dopo trent’anni di attività politica, si sente completamente svuotato. Per rimediare a questa situazione, viene deciso di affiancargli una giovane e brillante filosofa, Alice Heimann (Anaïs Demoustier). Comincia così un dialogo che, mentre avvicina Alice e il sindaco, fa vacillare le certezze di entrambi.
Nicolas Pariser
Lasciamo spazio ad un estratto dell’intervista rilasciata dal regista Nicolas Pariser.
Qual è stato il punto di partenza del film?
All’origine del film c’era la voglia di lavorare con Fabrice Luchini, un attore che ammiro da molto tempo. E poi tendo ad accumulare frammenti di progetti che non mi sembrano sufficienti per diventare dei lungometraggi. Devo mescolarne due o persino tre per arrivare a immaginare un vero lungometraggio. Qualche anno fa ho visto al cinema il documentario Le Président di Yves Jeuland, e mi ha fatto venire voglia di girare un film di finzione su un pittoresco presidente di regione che porta con sé, dovunque vada, una giovane assistente intellettuale. Avevo anche un altro progetto su una ragazza che non sa cosa fare della sua vita e prova un mestiere diverso dopo l’altro. Si è laureata in Scienze politiche e quindi vuole impegnarsi in politica, poi fa del teatro, si mette alla prova con il digiuno: cerca se stessa perché non sente una vera vocazione. Ho mescolato questi due progetti, ma avevo l’impressione che mancasse ancora qualcosa. Allora mi è venuto in mente L’uomo senza qualità di Robert Musil, di cui uno dei primi film amatoriali che avevo girato quando ero studente ne era un vago adattamento. Per me è davvero un libro fondamentale, il libro cardine dei miei 25 anni. Musil mi ha aiutato a legare i due progetti. L’idea di “Lione 2500” in Alice e il sindaco, per esempio, è ricalcata sull’Azione Parallela, ovvero la costruzione di un grande evento politico che nel romanzo si rivela un guazzabuglio inconcludente.
Di fronte al film è difficile non pensare a L’Albero, il sindaco e la mediateca e al cinema di Éric Rohmer.
Devo dire che l’opera di Éric Rohmer, nel suo insieme, mi ha molto influenzato. All’inizio, volevo che il film fosse una semplice successione di scene tra Alice e il sindaco, una sorta di serie di “dialoghi filosofici”, ma sarebbe stato indubbiamente troppo teorico, servivano delle cose aggiuntive. Allora ho costruito un racconto intorno a delle grandi sequenze dialogate, che è poi la struttura di molti film di Rohmer. Tra l’altro, i soli corsi pratici di cinema che abbia mai seguito sono stati proprio quelli di Éric Rohmer alla Sorbonne. Il mio debito nei suoi confronti, come cineasta e come professore, è infinito. Mi piace anche che Rohmer si presentasse come un regista di film d’azione, in quanto la parola non aveva per lui solo valore in se stessa, ma era anche un’azione. Voglio dire che non è il dialogo che racconta o fa avanzare direttamente il racconto: il dialogo è una delle modalità d’azione dei personaggi, ma la storia viene tessuta altrove. Così, ne La mia notte con Maud per esempio, i personaggi parlano della “scommessa” di Pascal durante una cena a Clermont-Ferrand, ma la scena racconta in effetti la nascita di una contorta relazione amorosa a tre. Sono la regia, i gesti degli attori, le loro espressioni e la loro maniera di usare la parola per sedurre o convincere che costituiscono il cuore del film. Nel mio film, i personaggi parlano solo di politica: era una delle sfide iniziali e credo di averla vinta. In compenso, quello che il film racconta non può essere ridotto al contenuto di queste conversazioni, ma le anime dei personaggi si rivelano attraverso di esse. Almeno è quello che spero.
Oltre a Rohmer, sente di aver avuto altre influenze particolari?
Con Fabrice Luchini abbiamo parlato a lungo dei film di e con Sacha Guitry. Come il sindaco, gli eroi impersonati da Guitry parlano molto e si comportano come se si stessero esibendo. Sembra che si trovino sempre su un palcoscenico ma, all’improvviso, quasi con violenza, si manifesta la loro natura più intima, e questo è emozionante. Nella descrizione della vita della sua amministrazione municipale, ho pensato molto alla serie West Wing di Aaron Sorkin: mi piacevano tutti quei personaggi che parlano di politica mentre camminano e lavorano sempre.
Il personaggio di Luchini è ambiguo: a differenza della sua cerchia, è consapevole di aver smesso di pensare, eppure continua a lavorare con essa.
Non riesco a odiare davvero i politici. Credo che sia sterile. Possiamo odiare e combattere un sistema di potere, ma metterlo esclusivamente sulle spalle dei politici, questo mi sembra assurdo. Non volevo, dunque, presentare un uomo politico condannabile semplicemente perché fa quel mestiere. D’altra parte non volevo nemmeno essere indulgente e che si potesse dire «fa del suo meglio!». Non bisognava sottovalutare il fallimento a cui partecipa. È stato un equilibrio difficile da trovare.
Alice parla con il sindaco sempre tra due riunioni, durante uno spostamento, lungo un corridoio… Sono sempre in movimento.
Mi sembrava interessante, dal punto di vista narrativo e visivo, che Alice non avesse alcun posto determinato nell’agenda del sindaco. Lei si insinua nei vuoti, così ho potuto variare i luoghi in cui dialogano. Volevo anche filmare tutti i linguaggi politici possibili: quello tecnico, lirico, le negoziazioni, la scrittura di un discorso, che non è la stessa cosa della sua lettura in pubblico. All’inizio del film il sindaco tiene un discorso, alla fine ne scrive uno. Il film è anche una variazione su tutte le forme del linguaggio politico.
Come Pierre Blum ne Le Grand Jeu, Alice è un’osservatrice del mondo politico, scivola sulla superficie delle apparenze…
Sì, credo che questa idea mi venga da Musil. Robert Musil ha una prospettiva da pensatore sugli eventi politici del suo tempo, ma allo stesso tempo non guarda mai le cose dall’alto in basso. Prende tutto sul serio: analizza e discute il libro pieno di idiozie di un politico del suo tempo nello stesso modo con cui affronta un’opera di valore. Non è mai altezzoso, nonostante sia un intellettuale molto serio e un grande artista. Allo stesso modo, non volevo che Alice considerasse a priori dall’alto il funzionamento dell’amministrazione. Il suo atteggiamento è privo di superiorità, la spocchia mi dà molto fastidio. Per esempio, quando le parlano nel gergo della comunicazione politica, lei cerca prima di tutto di capire. Non si mette nella posizione di quella che non si lascia infinocchiare, vuole giocare la partita fino in fondo ed essere leale all’amministrazione comunale, anche quando questa lealtà pone dei problemi.
Come ne Le Grand Jeu, lei filma l’opposizione tra il vecchio mondo e il nuovo. Da una parte la letteratura, i libri, la teoria politica, dall’altro i tecnocrati, i comunicatori, la neolingua… Da un lato il pensiero e dall’altro l’azione.
Come ne Le Grand Jeu mi chiedo: perché quelli che agiscono non pensano e perché quelli che pensano non agiscono? Nella mia esperienza personale, non ho mai incontrato qualcuno che agiva che si è fermato a pensare. In compenso, ho incontrato molte persone che pensavano e che, nel momento in cui hanno cominciato ad agire, hanno smesso di pensare.
Una cosa esclude l’altra?
Vorrei che non fosse così.
Che cosa significa questo per la nostra democrazia?
Nei grandi film politici americani, c’è sempre l’utopia di una democrazia in cui si possa pensare, discutere e agire. Oggi, questa articolazione pensare-discutere-agire sembra non funzionare più. La crisi di questa articolazione è mortale per la democrazia e il film parla di questo. Il sindaco agisce senza pensare, e, nel momento in cui ricomincia a pensare un po’, questo mette in pericolo la sua capacità di agire. Il mio film parla della crisi della democrazia. Credo che stiamo arrivando alla fine di un ciclo, voglio mostrare la pericolosa situazione nella quale ci troviamo oggi. I politici continuano a comportarsi come se avessero ancora dei margini di manovra che non hanno più e i cittadini si comportano come se bastasse prendere qualche provvedimento per ritornare a uno stato precedente della Storia, uno stato del quale non erano d’altronde per niente soddisfatti. Secondo me, stiamo vivendo qualcosa d’inedito, soprattutto a causa della questione ecologica. Il sindaco incarna questo momento di crisi acuta.
Alice mangia e dorme in ufficio. Non ha una grande vita privata…
Volevo fare un film dove si vedessero persone al lavoro, cosa che mi sembra abbastanza rara nel cinema francese. Si vedono spesso i personaggi che escono dal lavoro e tanto basta. Nel film i personaggi non fanno altro che lavorare. Un po’ come ne Il Fiume Rosso di Howard Hawks, dove gli eroi sono alle prese con il bestiame per tutto il film. Bisogna sempre pagare un tributo al cinema americano e il mio tributo è questo: filmare personaggi che lavorano per tutto il tempo. Poi, racconto la storia di qualcuno che non pensa ma che ha una vocazione (il sindaco) e di qualcuno che pensa ma non ha vocazione (Alice). A scuola ci dicono che troveremo la nostra strada a forza di studiare, attraverso l’educazione. Invece, se mi guardo attorno, mi colpisce come l’istruzione e la cultura non riescano a fare chiarezza su quello che abbiamo voglia di fare. Al limite, oggi più si è colti più ci si sente sperduti.