Considerato uno dei più grandi e influenti attori di tutti i tempi, oggi Al Pacino compie 80 anni. Fu la recitazione a salvarlo dalla strada e farlo diventare una stella incontrastata della settima arte. Interprete e protagonista di film cult che rimarranno nella storia del cinema e soprattutto nei ricordi di un pubblico che ha saputo conquistare totalmente. Se il cinema lo ha salvato, lui ha contraccambiato dando tutto se stesso.
La strada come palestra di vita
Nato a East Harlem e cresciuto nel South Bronx di New York, proveniente da una famiglia di origine siciliana, Alfredo James Pacino trascorre una giovinezza travagliata, segnata dall’abbandono del padre e da condizioni di vita molto difficili. Al cominciò a fumare all’età di nove anni e già a tredici aveva avuto esperienze con l’alcool e la marijuana. Soprannominato “Sonny” ma anche “l’attore” per via del suo temperamento, sognava di diventare un giocatore di baseball e non era attratto dagli studi: cresciuto nel Bronx, fu coinvolto in qualche rissa da strada e a scuola era considerato un piantagrane.
A scuola sì, ma solo di recitazione
Il giovane Pacino presenta numerose lacune scolastiche e viene bocciato più volte finché, all’età di diciassette anni, decide di interrompere definitivamente gli studi. Gli anni a seguire lo porteranno a svolgere numerosi lavori tra cui il facchino, il lustrascarpe e l’operaio. Lasciati gli studi a 17 anni, Pacino svolge diversi lavori prima di dedicarsi a quella che sarebbe diventata la passione della sua vita, la recitazione. Inizia a frequentare la School of Performing Arts per poi continuare gli studi di recitazione all’Herbert Berghof Studio con Charlie Laughton. Sono gli anni Sessanta e, affascinato dal buon nome della scuola e incuriosito dal metodo di Stanislavskji, Pacino comincia a frequentare l’Actor’s Studio, istituzione resa celebre in passato da icone quali Marlon Brando, James Dean e Marylin Monroe.
L’incontro con Lee Stasberg e il debutto in teatro
Qui, verso la fine del decennio, avviene l’incontro che indirizza definitivamente il suo destino: quello con Lee Strasberg, maestro dell’Actor’s Studio e futuro mentore della sua carriera. È lo stesso Al Pacino a raccontare il suo approccio con la recitazione in un’intervista tratta dagli archivi della NBC:
“Siamo nella stessa delicata situazione, lavoriamo insieme, quando tu mi trasmetti una cosa io la prendo e poi te la do indietro. C’è un processo comunitario che avviene, e avviene recitando con gli attori, in una piece teatrale o in film, in un qualche modo c’è un vero e proprio bisogno di relazionarsi. Ha molto a che vedere con la fiducia tutto ciò.”
Tra il 1963 e il 1969 appare a teatro in Hello Out There di William Saroyan, il suo debutto off-Broadway; in Why is a Crooked Letter, ruolo per il quale vince un Obie Award off-Broadway; in The Indian Wants the Bronx, che gli vale un altro Obie Award come Miglior attore e in Does a Tiger Wear a Necktie?, suo debutto a Broadway per il quale vince il suo primo Tony. Ha ricevuto il suo secondo Tony nel 1970 per The Basic Training of Pavlo Hummel. Il ragazzo è appassionato e, anzi, è molto di più: un autentico animale da palcoscenico.
Francis Ford Coppola e la svolta con Il Padrino
Agli inizi degli anni Settanta, dopo il primo debutto da protagonista al cinema (nel film drammatico Panico a Needle Park, 1971, regia di Jerry Schatzberg), agli inizi degli anni Settanta, tra una piece e l’altra nei teatri indipendenti di New York viene notato da Francis Ford Coppola, alla ricerca di un protagonista per il suo nuovo film. E’ così che nel 1972 lo sconosciuto Pacino diventa in poche settimane il boss Michael Corleone, vera e propria anima de Il Padrino, una delle saghe cinematografiche destinate a segnare la storia del cinema, che lo proietta nel firmamento dei nuovi divi di Hollywood. Il giovane Pacino, ottiene perfino una candidatura all’Oscar come non protagonista, la prima di una lunga serie.
Sidney Lumet e Serpico
Di lì a poco Sidney Lumet lo invita a esplorare nuovamente l’universo della comunità italoamericana offrendogli un personaggio di segno opposto rispetto a quello di Michael Corleone. In Serpico infatti, Pacino racconta uno spaccato della New York turbolenta degli anni Settanta, filtrato attraverso gli occhi di un poliziotto tanto integerrimo quanto anticonvenzionale. Cruciale nella riuscita del film è il rapporto che Pacino riesce ad instaurare con Lumet, regista di talento e sopraffino conoscitore della psicologia degli attori. Sidney Lumet lo considera come “un’artista appassionato. Sa quello che sta facendo e possiede una tecnica eccezionale, è totalmente coinvolto nella scena”. Serpico vale a Pacino una nuova nomination agli Oscar, questa volta nella categoria di miglior attore, e il primo riconoscimento della sua carriera, la vittoria del Golden Globe come miglior interprete drammatico. Gli anni Settanta costituiscono il vero momento d’oro per Pacino. Ritorna a calarsi nei panni di Michael Corleone per il secondo episodio del Padrino. Un enorme successo e una nuova candidatura all’Oscar segnano il ritorno del boss Italoamericano.
Quel Pomeriggio di un Giorno da Cani con John Cazale
Subito dopo, Pacino torna a far coppia con Lumet per una storia tanto singolare quanto intrigante: quella narrata in Quel Pomeriggio di un Giorno da Cani. “Marty Bergman che aveva prodotto Serpico, mi chiamò e dato che avevamo lavorato così bene in Serpico, Al e io, fu tutto molto naturale.” Lumet parla così dell’inizio delle riprese del film che racconta un fatto di cronaca realmente accaduto e assolutamente sui generis. E’ il colpo ad una banca di Brooklyn tentato dal duo improvvisato di rapinatori Sonny e Sal, e architettato dal primo per pagare al suo compagno di vita il cambio di sesso. Accanto a Pacino, nella parte di Sal c’è l’amico di una vita, John Cazale, attore dall’enorme talento e dalla vita sfortunata, scomparso tre anni più tardi dopo aver interpretato 5 capolavori. Il film, come spesso è accaduto nella carriera di Pacino, gli ha lasciato ampi spazi per esprimere la sua capacità unica di recitare improvvisando. Anche per questo film Pacino ottiene una candidatura all’Oscar.
Tony Montana (Scarface)
I film successivi, come Scarface di Brian De Palma (1983) e Dick Tracy (1990) di Warren Beatty (fu nominato all’Oscar come Non Protagonista), imprimono nell’immaginario degli spettatori di tutto il mondo nuove performance indimenticabili. Nel primo è lo spietato gangster Tony Montana, un rifugiato cubano che a Miami diventa il boss indiscusso del narcotraffico, un personaggio entrato nella storia. Dopo una nuova apparizione ne Il Padrino – Parte III di Francis Ford Coppola (1990), prende parte alla commedia romantica Paura D’Amare (1991, di Garry Marshall, al fianco di Michelle Pfeiffer) e riceve una nuova nomination all’Oscar come Non Protagonista per Americani (1992, di James Foley).
L’Oscar per Scent Of a Woman
Pacino deve però aspettare il 1993 per ottenere un Oscar, riconoscimento ottenuto per Scent of a Woman – Profumo di Donna. E’ la toccante interpretazione di un non vedente, il tenente colonnello Frank Slade, a valergli la conquista della preziosa statuetta. Un riconoscimento dal retrogusto italiano, essendo il film un remake di Profumo di donna di Dino Risi, interpretato all’epoca dal grande Vittorio Gassman. Nello stesso anno torna a lavorare per Brian De Palma nel cult Carlito’s Way (10 anni dopo Scarface, stavolta è l’ex narcotrafficante Carlito Brigante) mentre due anni dopo lo troviamo in Heat – La Sfida un simbolico film in cui si scontra con un altro mostro sacro di Hollywood, Robert De Niro. Una pellicola diretta da Michael Mann che lo chiamerà nel 2000 anche per il bellissimo Insider, al fianco di Russel Crowe.
Altri grandi prove
Nel 1997, oltre ad apparire nel cult L’Avvocato Del Diavolo (di Taylor Hackford, al fianco di Keanu Reeves), ritorna nell’universo del crimine italoamericano di New York con Donnie Brasco. E’ attraverso il personaggio di Lefty Ruggiero, malavitoso della famiglia Bonanno, che Pacino riesce a instaurare un rapporto paterno, dove la realtà filmica si mescola con quella attoriale, con l’agente infiltrato Donnie Brasco, interpretato dal giovane ‘erede’ Johnny Depp. E’ poi nel successivo Ogni Maledetta Domenica (1999) che Al Pacino, sotto la guida vigorosa di Oliver Stone, regala una delle performance più riuscite nella storia dei film sportivi. Perfettamente calato nella parte del manager Tony D’Amato, si cimenta in un monologo motivazionale che viene ancora oggi utilizzato dagli allenatori di vari sport per spronare i propri giocatori.
Duemila e oltre
Minori e di scarso successo i suoi successivi lavori degli anni Duemila. Ricordiamo: Insomnia (2002, regia di Christopher Nolan), S1mone (2002, di Andrew Niccol), Il Mercante di Venezia (2004, regia di Michael Redford), Ocean’s Thirteen (2007, regia di Steven Soderbergh), Sfida Senza Regole (2008, di Jon Avnet, con Robert De Niro). Dopo una pausa, nel 2011 torna al cinema in The Son Of No One e in Wilde Salomè, film da lui interpretato e anche diretto (è la sua terza regia, prima aveva girato anche Riccardo III – Un Uomo, Un Re nel 1996 e Chinese Coffee nel 2000), e presentato in anteprima alla Mostra di Venezia. Sempre al Lido, nel 2014, fu protagonista addirittura in due film Manglehorn e The Humbling. Tra il film più recenti degli ultimi cinque anni ci sono Danny Collins – La Canzone Della Vita (2015, regia di Dan Fogelman), Conspiracy – La Cospirazione (2016, di Shintaro Shimosawa, recita al fianco di Anthony Hopkins), Hangman – Il Gioco Dell’Impiccato (2017 Johnny Martin), I Pirati Della Somalia (2017, regia di Bryan Buckley).
Ancora ad altissimi livelli con Scorsese
Il 2019 è stato un grande anno che l’ha visto tornare ad altissimi livelli: oltre ad un piccolo ruolo nel C’era Una Volta A… Hollywood di Quentin Tarantino, nell’eccellente The Irishman di Martin Scorsese, ancora una volta affiancato da Bob De Niro. Il film (uscito su Netflix) lo ha visto meritarsi una nuova nomination all’Oscar come Miglior Attore Non Protagonista vestendo i panni di Jimmy Hoffa, il controverso presidente dell’International Brotherhood of Teamsters (Fratellanza internazionale degli autotrasportatori) che ha consolidato il proprio potere tra gli anni ‘40 e ‘50 diventando il celebre leader del sindacato più potente del paese.
Un artista che ama le sfide
Padre di tre figli, due dei quali avuti a sessanta anni, Pacino ha sempre concentrato le sue energie nel lavoro, alternandosi tra cinema, teatro, televisione e interessanti esperimenti registici. L’eterna giovinezza di un artista sempre alla ricerca di nuove sfide per alimentare la sua arte sopraffina.