Diretto da Claire Denis ed interpretato da Robert Pattinson e Juliette Binoche, da giovedì 6 agosto, con Movies Inspired, arriva nelle sale High Life, pellicola designata Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani – SNCCI con la seguente motivazione: “una prigione orbitante nello spazio. Una microsocietà divisa per mansioni e generi. Claire Denis racconta la fine dell’umanità all’alba della mutazione definitiva attraverso un apologo fantascientifico nerissimo e sensuale, erotico e politico. High Life è il cinema contemporaneo che sfida il presente, le convenzioni e osa lanciarsi verso il futuro“.
Il film
Spazio profondo. Monte (Robert Pattinson) e la figlia Willow (Jessie Ross) vivono a bordo di una navicella spaziale, in completo isolamento. Uomo la cui ferrea disciplina è uno scudo contro le pulsioni, Monte è diventato padre contro la propria volontà: il suo sperma è stato usato per inseminare una giovane donna, anch’essa membro dell’equipaggio, interamente composto da detenuti condannati a morte: cavie inviate in missione. Dell’equipaggio sono rimasti solo Willow e Monte, che, attraverso la figlia, sperimenta la nascita di un amore onnipossente. Padre e figlia si avviano insieme verso la loro destinazione – il buco nero nel quale tempo e spazio cessano di esistere.
Claire Denis
Vi presentiamo qui sotto un estratto dell’intervista rilasciata da Claire Denis.
Ha avuto dei modelli di riferimento? Che cosa l’ha ispirata?
Non avevo in testa nessun film di fantascienza recente, tutti prodotti troppo levigati, come i documentari della NASA: troppo belli, civili, igienici, Ken e Barbie che galleggiano in astronavi che sembrano giocattoli per bambini. Il grande problema in termini di referenze è ovviamente 2001: Odissea Nello Spazio di Stanley Kubrick. Se decidiamo di raccontare la storia di un’astronave che lascia il sistema solare, 2001 ci salta in mente come un diabolico Jack-in-the-box. Quindi bisogna dimenticare 2001, per quanto il film sia per sempre impresso nel nostro cervello, nel nostro corpo. E bisogna anche dimenticare Solaris di Tarkovsky. Vicino allo studio dove abbiamo girato in Germania, c’era uno stagno con salici piangenti. Lì, ho pensato a Stalker, sempre di Tarkovsky. A differenza di Kubrick, Tarkovsky non blocca la tua immaginazione, la apre, ne alimenta le fiamme. Solaris e Stalker sono i miei film portafortuna, geni benevoli che mi proteggono, mi incoraggiano, mi ispirano.
Tutti i passeggeri dell’astronave vestono in modo simile, indossano una sorta di divisa da lavoro, con sopra il numero 7. Perché il 7?
7 è il numero dell’astronave. È come se fosse tatuato sui loro corpi, il che implica che l’astronave è solo una di una serie. In un momento importante del film, l’astronave 7 attracca su un’altra astronave, la numero 9, in cui gli unici sopravvissuti sono i cani – a meno che non faccia parte di un diverso esperimento solo per cani. Volevo davvero mostrare questo incontro con l’animalità, uno specchio di noi stessi, una sfida alla nostra pseudo umanità e al macabro destino che abbiamo riservato ai nostri cosiddetti animali domestici. La prima creatura vivente inviata nello spazio è stata un cane russo, Laïka, che non è sopravvissuta al rientro sulla Terra.
Che istruzioni ha dato per la scenografia?
Istruzioni molto semplici. Si tratta di una prigione, una sorta di casa occupata, squallida, sporca, poco illuminata. C’è un corridoio principale con celle su entrambi i lati. Al piano di sotto ci sono un laboratorio medico, un obitorio e una serra. Ero fermamente convinta di dover inserire quel giardino: come si può continuare a sperare di tornare se la Terra non fa parte del viaggio? Quel terriccio è la loro Terra, l’unica cosa che ricorda loro il fatto di essere terrestri, uomini e donne della Terra. Per il laboratorio medico volevo la stessa semplicità, il minimo indispensabile: provette, qualche strumento, un lettino per le visite ginecologiche, nessuno dei tipici oggetti di scena della fantascienza, pistole laser, disintegratori, dispositivi di teletrasporto, ecc. In realtà volevo evitare l’inferno degli effetti speciali. Lo stesso vale per l’assenza di peso, che non è necessaria, in quanto l’astronave sta accelerando e raggiungendo la velocità della luce. Essendo effetto dell’accelerazione, si ristabilisce la gravità terrestre – la gravità in senso lato. Se avessi dovuto filmare attori appesi a cavi sullo sfondo di uno schermo verde, non avrei mai fatto il film. E spero che, proprio per via della quasi totale assenza di effetti speciali, il film abbia un effetto speciale sugli spettatori.
La sessualità è molto presente in High Life, ma è trattata a volte con tono funereo…
Sessualità, non sesso. Sensualità, non pornografia. In prigione, il modello abituale di sessualità non è proprio all’ordine del giorno. Ma se il carcere è anche un laboratorio destinato a perpetuare la specie umana, la sessualità diventa ancora più astratta, avendo come obiettivo unico la riproduzione. Se gli uomini devono riservare il proprio sperma alla dottoressa, trarranno un po’ di piacere dall’atto, ma per fini puramente scientifici. Durante le riprese ho iniziato a leggere il quarto volume della “Storia della sessualità: Le Confessioni della carne”, di Michel Foucault, che affronta tra le altre cose il matrimonio e la verginità. Prima del cristianesimo, il matrimonio aveva un unico scopo: la procreazione. La sessualità è una questione di fluidi. Non appena la sessualità si risveglia in noi, sappiamo già che è una questione di fluidi, sangue, sperma, ecc. Per far sì che tale sottotesto dei fluidi funzionasse, ho pensato che il tutto dovesse essere ridotto alla semplice masturbazione, più o meno assistita a mezzo fuckbox, dotata di un vibratore, nel caso della dottoressa Dibs, a cui si dà tutta, ma in totale solitudine. Scena che è, al contempo, lugubre e inutile. Ma cos’è utile, dopo tutto? Cercare il piacere non è inutile, vero? Il tentativo della dottoressa di raggiungere l’orgasmo da sola è reso magistralmente dalla performance di Juliette Binoche. Tutta la sua potenza è nella schiena, che ho filmato come un’odalisca, con le belle linee dei fianchi e dei glutei. Stessa cosa, quando, in seguito, la dottoressa va di notte a rubare lo sperma di Robert Pattinson, stordito dai sonniferi. È un furto e, sicuramente, uno stupro. Vediamo Robert che geme, ma non di dolore. Mi sono anche imposta di evitare le scene di nudo. Niente peni eretti, niente vagine esposte. Ci serviva un approccio diverso. Per me la scena più erotica del film è quella in cui un giovane detenuto si masturba mentre fissa Juliette che si asciuga i capelli davanti a un condotto di ventilazione. High Life parla unicamente di questo: di pulsioni e di fluidi.
Pulsioni e solitudine, è questo il tema principale?
Più o meno. Ma soprattutto, e devo insistere su questo, High Life non è un film di fantascienza, di science-fiction, per quanto parli ampiamente di fiction e di scienza, grazie alla preziosa partecipazione dell’astrofisico Aurélien Barrau, specialista in fisica delle astroparticelle e dei buchi neri. Il film si svolge nello spazio, ma ha i piedi per terra.
Come riassumerebbe lei l’essenza del film?
Riassumere? Non è semplice. È la storia di un uomo rimasto da solo nello spazio, per tutto il resto della sua vita, con una bambina, molto probabilmente sua figlia, che diventerà una giovane donna e, alla fine, la sua femme fatale, se mai deciderà – questa specie di cavaliere, questo Parsifal, questo esploratore di un’altra storia – di rompere il suo voto di castità. Questo è ciò che accade alla fine del film quando la ragazza – che non ha nessun altro uomo a disposizione, che non sa nemmeno che quest’uomo è bello perché non ha mai avuto un metro di paragone – fa il primo passo. Alla fine, li ho voluti entrambi in piedi, come davanti a un altare nuziale, ed è la ragazza che pronuncia il “Sì” della sposa. Ci stiamo avvicinando a un pianeta proibito, un tabù assoluto. Una ragazza è anche una donna. L’incesto è la ricerca del sesso estremo, poiché proibito. “Noi due non abbiamo bisogno di nessuno”, dice la ragazza. È un film sull’angoscia e sulla tenerezza umana, sull’amore, nonostante tutto.