Oggettofilia, ovvero quella sindrome che porta un individuo ad innamorarsi e sentirsi attratto sessualmente verso un oggetto inanimato. Di questo parla Jumbo, l’opera prima di Zoé Wittock con protagonista Noémie Merlant (già protagonista dell’acclamato Ritratto Della Giovane In Fiamme), affiancata da Emmanuelle Bercot, presentato online al 20° Trieste Science Fiction Film Festival. Un film metaforico, che racconta una dolce, surreale e romantica ossessione in un irresistibile caleidoscopio di colori.
Il film
Jeanne (Noémie Merlant) è una timida ragazza che vive con la madre, una disinibita barista, e fa il turno di notte come addetta alle pulizie in un luna park. L’eccentrica madre (Emmanuelle Bercot) vorrebbe che incontrasse un uomo, ma Jeanne preferisce stare nella sua camera ad armeggiare con fili, lampadine e pezzi di ricambio, creando giostre in miniatura. Nelle sue notti al lavoro comincia a trascorrere dei momenti intimi con la seducente nuova giostra Move It, che decide di chiamare Jumbo. Sedotta dalle sue luci rosse, dalle lisce cromature e dai giunti oleosi, Jeanne decide che la nuova elettrizzante avventura che vuole avere è quella con Jumbo.
Storia di un amore impossibile
Jeanne si innamora di una giostra. Diventa la sua ossessione, la sua passione, la sua anima gemella. Sappiamo poco del passato della ragazza, delle sue prime pulsioni sessuali, del rapporto con suo padre (che ha abbandonato lei e la madre). L’oggettofilia che improvvisamente determina la sua vita nasce senza dubbio dalla paura di legarsi con un altro essere umano, a prescindere dal suo genere. Jumbo sottolinea infatti l’universalità dell’amore, contro ogni forma di discriminazione (Jeanne deve davvero essere considerata diversa? Il suo legame con Jumbo “fa forse male a qualcuno“?). Ma, è in questo l’opera prima di Zoé Wittock diventa – soprattutto nel finale – ironica e surreale, visto che la giostra verrà poi smontata, trattasi di un amore impossibile.
Uomo-Macchina, un’interazione sempre più totalizzante
Difficilissimo è invece il rapporto madre-figlia: la prima è una ragazza non cresciuta che ama essere provocante e che fatica ad aiutare la figlia e il suo problema; la seconda invece è rimasta schiacciata dalla sua ossessione. Ma nel film non sembra esserci spazio per approfondire i loro traumi, solo accennati. Si procede di azioni-reazioni, fino ad abbracciare l’assurdo. A livello simbolico, infine, il rapporto d’amore tra Jeanne e Jumbo rispolvera il legame sempre più profondo e totalizzante tra Uomo e Macchina. Se in Her Spike Jonze ci parlava dell’innamoramento tra un uomo e un sistema operativo intangibile ma con una sua anima (virtuale), in Jumbo il partner diventa una macchina che si può accarezzare (fino a raggiungere l’orgasmo) ma che resta comunque completamente priva di anima. Una volta smontata, chissà se Jeanne troverà il vero amore.