Il 21 febbraio 2001, a Novi Ligure, la sedicenne Erika De Nardo insieme al diciassettenne fidanzato Mauro “Omar” Favaro, all’interno della propria casa uccise a coltellate la madre Sussanna e Gianluca, il suo fratellino di undici anni. Una strage efferata, di una violenza inaudita, che trovò, già più di 13 anni fa, moltissima attenzione mediatica. I due giovani assassini, smascherati in caserma mentre si raccontavano l’accaduto, finirono in carcere. Liberamente ispirato a questo tremendo fatto di cronaca è AmoreOdio, il film diretto da Cristian Scardigno e distribuito al cinema dal prossimo 9 ottobre dalla Underdog Film.
Giorni Nostri. Una cittadina di provincia. Katia (una bravissima Francesca Ferrazzo) è una ragazza apatica e frustrata di 17 anni che trascorre le proprie giornate in compagnia del suo fidanzato, Andrea (Michele Degirolamo). Entrambi vivono ai margini della vita sociale, lontano dai loro coetanei e da luoghi di aggregazione. Spendono il loro tempo nell’apatia più totale, tra lunghe passeggiate senza meta e incontri sessuali clandestini in una masseria abbandonata.
Quando non è insieme ad Andrea, Katia incontra di nascosto altri ragazzi, guarda video proibiti su internet e litiga continuamente con i propri genitori. Insoddisfatta e frustrata dalla monotonia del piccolo paese in cui vive, Katia cova dentro di sé un malessere interiore che cresce sempre più. Entrata in un vortice di immoralità e trasgressione, coinvolge Andrea verso quello che sarà un tragico e ineluttabile epilogo.
Amoreodio è un film di grande impatto che è già presentato e apprezzato in diversi Festival all’estero (Canada, Inghilterra, Francia, Portogallo). Un progetto nato verso la fine del 2009, mentre Cristian Scardigno stava ultimando il suo corto La Terra Sopra di Noi. Lo spunto è stato il terribile fatto di cronaca nera di Novi Ligure che ha segnato il regista quando era poco più che maggiorenne.
Al regista interessavano soprattutto “i personaggi coinvolti in quell’evento tanto discusso e al centro dell’attenzione mediatica, quasi da non meritare un ulteriore approfondimento. Col tempo, infatti, ho abbandonato l’interesse per il fatto di cronaca e ho rivolto le mie attenzioni su ciò che realmente mi attraeva di questa storia: gli adolescenti e le loro inquietudini”.
“Man mano che le mie ricerche proseguivano – prosegue Scardigno – il mondo adolescenziale mi si presentava in tutta la sua complessità. Dovevo trovare un compromesso per non parlare in modo generico di un’intera generazione e allo stesso tempo rimanere fedele all’idea originaria che vedeva due personaggi al centro della storia, una ragazza diciassettenne e il suo fidanzatino. Nascono così Katia e Andrea, coppia di ragazzi incapaci di interagire con l’esterno che li circonda”.
Estranei al guscio familiare, decidono di vivere ai margini e innalzano un muro che esaspera la loro solitudine e li confina in una terra di nessuno. E’ un continuo gioco di provocazioni, fino a quando non ci sarà più niente da sperimentare e che li faccia sentire vivi.
Per l’autore, “ci troviamo di fronte ad una storia di assenze e di mancanze. Sono assenti gli adulti e gli affetti, sono aridi i sentimenti e mancano i rapporti sani e di confronto. Persino le parole finiscono per scomparire, a discapito dei gesti, meccanici e insensati. I due protagonisti non hanno coscienza del presente, perché non sanno dare un senso alle loro vite. La precarietà e l’insicurezza – elementi attuali presenti in ogni campo – si riflettono nei loro pomeriggi trascorsi insieme in una sorta di sospensione del tempo”.
Tutto ciò che ai nostri occhi risulterebbe “normale”, qui viene filtrato, quindi eliminato: “come se invece che strappare via i rami secchi da un albero, si facesse il contrario. Vengono eliminati tutti i sentimenti positivi, le emozioni, e resta solo il marcio. Questo stato di emotività incontrollata crea desideri distorti, noia e malessere che i protagonisti trasformano in odio”. Per questo il film è una storia pessimista che comincia in medias res, nel bel mezzo della “discesa emotiva agli inferi” di Katia, “che all’inferno c’è già”.
Il regista ha spiegato di non aver ricercato le cause: “non mi sono intestardito per mostrare il principio del malessere. Siamo catapultati nella vita di questa ragazza insoddisfatta, incapaci di reagire di fronte a quello che vediamo; e a differenza di tutto ciò che i servizi dei telegiornali ci hanno mostrato, qui non c’è spettacolarizzazione”.
Poi la storia esplode: “C’è un elemento di imprevedibilità che spaventa più di ogni altra logica giustificazione o comprensione di ciò che accade. L’imprevedibile ci rende inermi. E alla fine, si rimane ad osservare, troppe volte banalmente a giudicare, ma mai veramente a porsi domande su ciò che ci accade intorno”.
E’ un film che si può condensare in una domanda e una risposta:
«Che hai fatto oggi?»
«Niente»Cristian Scardigno