“In piedi campeggiatori, camperisti e campanari!“. Oggi immaginatevi di svegliarvi al suono di una radiosveglia con questa frase, ogni giorno della vostra vita, in un lunghissimo e interminabile 2 febbraio. L’anello temporale che conosciamo come “Il giorno della marmotta” non è solo l’idea geniale alla base di un film di successo come Ricomincio da Capo, ma è situazione che apre a pensieri, riflessioni, desideri, paure, possibilità, rielaborazioni e un altro milione di altri spunti. E il tutto nasce da una bizzarra idea tutta americana, una marmotta capace di predire il tempo… atmosferico, una festa che si celebra tutt’oggi per la 135 volta anche se – causa pandemia – è priva di pubblico ma in diretta streaming, per tutto il mondo. https://www.groundhog.org/
La tradizione di Punxsutawney
“Una volta l’anno tutti gli occhi della nazione si rivolgono verso questo ridente centro della Pennsylvania, in attesa della marmotta prodigio. Sto parlando di Punxsutawney Phil, il più famoso meteorologo del mondo, un vero maestro. Secondo la leggenda sa predire l’arrivo di una primavera precoce“. Così il personaggio di Bill Murray descrive questa tradizione ai suoi telespettatori. L’antipatico giornalista, spedito in questa remota cittadina per un servizio che detesta, ancora ignorando che da allora rivivrà quella giornata ogni giorno, per lunghissimo tempo, innescando le disavventure raccontate nei film. La mattina di ogni 2 febbraio la marmotta esce dalla sua tana e, se la giornata sarà soleggiata e lei vedrà la sua ombra, si spaventerà e rientrerà nella tana: “il segno inequivocabile” che l’inverno durerà ancora altre sei settimane. Se invece Phil non vedrà la sua ombra e resterà all’aperto, ecco l’infallibile previsione: l’inverno sta per terminare e la primavera è alle porte! A Punxsutawney questa tradizione si celebra dal 1886 ed è la naturale evoluzione di quei sistemi che utilizzavano i nostri antenati per ottenere previsioni sulla base di animale selvatici come tassi oppure orsi. Se vogliamo, possiamo ricollegarla anche alla Candelora, la festa dalle radici cattoliche in cui le giornate iniziano ad allungarsi, anch’essa celebrata proprio il 2 febbraio.
La storia dietro il film
Verso la fine degli anni ’90 Danny Rubin stava cercando di esordire nel mondo del cinema scrivendo numerosi soggetti, e uno di questi riguardava un uomo intrappolato in un loop, un anello temporale da cui non riusciva a liberarsi. Dopo una serie di progetti non realizzati, Rubin cambio agente e quest’ultimo riuscì a portare il soggetto sulla scrivania di Harold Ramis, il regista di successi come Animal House e i due Ghostbusters. Forse il sogno segreti di Rubin era quello di emulare La vita è meravigliosa di Frank Capra: anche in quella pellicola il protagonista scopre una realtà alternativa alla sua, mentre il film diventa un classico di Natale – quindi perché non desiderare di farlo diventare un classico del 2 di febbraio? Fu Ramis che poi medió per preservare lo script di Rubin, poiché gli Studios miravano a semplificare la storia, più conforme agli standard della commedia mainstream. Ad esempio, in alcune fasi preliminari la sceneggiatura incluse la maledizione di una zingara come origine del loop, ma a posteriori è anche l’assenza di spiegazione che contribuisce in modo determinante all’alone di mistero e interesse per la curiosa vicenda.
Come protagonista vennero considerati Chevvy Chase, Tom Hanks e Micheal Keaton, ma Ramis chiamò Bill Murray, amico di sempre e compagno di successi fino dagli anni ’80. Se in una prima fase Murray aggiunse stimoli e partecipazione per migliorare la sceneggiatura, in fase di produzione si dimostrò scostante e litigó anche furiosamente con Ramis. Para che Murray stesse affrontando il divorzio, e forse questo contribuì alla sua altalenante performance e all’allontanamento da Ramis: i due non si parlarono più per vent’anni, riavvicinandosi solo pochi giorni prima della scomparsa di Ramis nel 2014. In ogni caso il risultato fu una pellicola che all’uscita nei 1993 incassò oltre 70 milioni di dollari negli Stati Uniti, e piano piano venne considerata tra le migliori commedie del decennio.
Il loop temporale, fatto bene
Già negli anni ’40 il racconto Doubled and Redoubled della scrittore Malcolm Jameson introduceva il concetto nel mondo della narrativa, e l’idea di un personaggio intrappolato in un anello temporale, cosciente di rivivere all’infinito le stesse situazioni, non era una novità neanche sul grande schermo, ma senza dubbio è grazie all’opera di Rubin e Ramis che è diventata popolare presso il pubblico, e archetipica nelle produzioni mediali. Ricomincio da capo è un meccanismo perfetto: dopo un primo atto di introduzione dei personaggi e del contesto, ci ritroviamo catapultati all’interno di un ecosistema di interazioni tutte da scoprire, un’intera città pulsante che nasconde infinite possibilità, uno Sliding Doors (per citarne un altro) dove possiamo oltrepassare tutte le porte ed esplorare ogni versione della storia. È stato stimato che il personaggio di Murray trascorra oltre 12 mila giornate nel loop, l’equivalente di 34 anni.
L’idea che voleva esplorare Rubin aveva anche a che fare con l’immortalità: che cosa fareste se scopriste di non poter morire? Prima vi divertirete, poi vi disperereste, forse arrivando addirittura a provare a togliervi la vita. Dopodiché apprezzereste ogni sfaccettatura che la giornata vi può offrire, dal conoscere le persone lungo la vostra strada, all’apprendere il pianoforte, o anche a corteggiare al meglio il vostro possibile partner. Infine giungereste addirittura ad apprezzare tutto quello che il loop vi offre, trovandovi un senso quasi mistico – e su questo punto le interpretazioni filosofiche e religiose avanzate nel corso degli anni si sono sprecate. Segno che un’idea così forte e un’interpretazione così incisive hanno reso Ricomincio da capo un qualcosa di immortale.
Prima di Groundhog Day (e soprattutto il dopo)
Oggi “il giorno della marmotta” non è solo un’espressione che si presta ad indicare una situazione pesante e ripetitiva – cosa per cui è già entrata nel nostro lessico quotidiano – ma è diventata un tropo narrativo che possiamo riconoscere in numerose altre varianti. Il thriller Source code (2011) lo usa per indagare le cause di un incidente ferroviario, lo syfy Edge of Tomorrow (2014) vede Tom Cruise fronteggiare pericolosi alieni in una battaglia senza fine, il recente Palm Springs (2020) racconta di un disilluso protagonista che però condivide questo destino con un’altra persona. Il loop con questi meccanismi è diventato naturale in televisione, fondante per serie come Russian Doll per Netflix, oppure ricorrente per singoli episodi come Circolo chiuso in Star Trek – The Next Generation, tra i più riusciti ed apprezzati, oltre che essere stato distribuito anche qualche mese prima di Ricomincio da capo. Ma ciò che rende unico Groundhog Day non si cela nella forma e nel funzionamento della “gabbia” del protagonista, bensì nell’emotività e nelle strategie che mette in atto per affrontarla, per cercare di salvarsi e soprattutto nel rassegnarsi a questo crudele destino ma in modo attivo, ciò che gli garantirà finalmente la via d’uscita.
Il fulcro del racconto, forse il motivo del suo successo e della sua presa sul pubblico, non consiste nel solo anello temporale in sé e nella ricerca della soluzione per uscirne, ma in come affrontare una situazione così ostica ed infine superarla con un cambiamento interiore, di prospettive e di intenti. Anche qui il personaggio di Murray esprime il concetto al meglio, nell’ultima iterazione del servizio sulla marmotta Phil in un ennesimo 2 di febbraio: “Quando Čechov alzò gli occhi al cielo, vide un inverno buio e gelido, oltre che privo di speranze. Noi sappiamo che l’inverno è solo una tappa del ciclo della vita. Ma stando qui tra gli abitanti di Punxsutawney, al tepore dei loro cuori e dei loro focolari, non posso immaginare un destino migliore di un lungo e luminoso inverno“.
Enrico Banfo