Su MioCinema da venerdì 12 febbraio arriva The Dissident, il documentario diretto dal premio Oscar Bryan Fogel che porta alla luce la storia dell’omicidio del giornalista del Washington Post Jamal Kashoggi. Il film è stato presentato al Sundance Film Festival 2020 dove è stato accolto con una standing ovation.
Il documentario
The Dissident mostra i meccanismi del potere ai più alti livelli, denunciando il labirinto di falsità dietro cui si cela l’assassinio del giornalista del Washington Post Jamal Khashoggi all’interno dell’ambasciata saudita di Istanbul. Offrendo un impressionante numero di filmati inediti e le testimonianze esclusive portate dalle persone più coinvolte nella vicenda, compresa Hatice Cengiz, la fidanzata di Khashoggi, le forze dell’ordine, i pubblici ministeri turchi e il giovane dissidente saudita con cui Khashoggi stava lavorando. The Dissident è una storia di denaro, tirannia e tecnologia fuori controllo. Ogni singola prova porta direttamente al Principe ereditario saudita Mohammed bin Salman, che non si è fermato davanti a niente pur di occultare la vicenda in tutto il mondo. Al centro del film c’è la figura di Khashoggi, un riformatore di sani principi che cercava di far nascere una società più giusta e più aperta nel suo paese d’origine, l’Arabia Saudita. The Dissident mostra che, nel mondo odierno, nessuno che si opponga ai poteri forti è realmente al sicuro.
Finanziato dalla Human Rights Foundation, The Dissident è un documentario sconvolgente, un’indagine dettagliata che mette a nudo le colpe del regime saudita e che commuove portando sul grande schermo la vicenda umana, oltre che politica, del grande giornalista. Lucido, potente e diretto, è l’intimo ritratto di un uomo che ha sacrificato tutto quello che aveva in nome della libertà di parola. Con questo film coraggioso, Fogel si unisce a un gruppo di sognatori di tutto il mondo che non dimenticano il lavoro di un uomo che, anche dopo la morte, continua a sfidare coloro che hanno cercato di metterlo per sempre a tacere.
Bryan Fogel
Per entrare nelle dinamiche del documentario, vi presentiamo – integralmente – l’intervista rilasciata dal regista Bryan Fogen.
Cosa l’ha spinta a realizzare The Dissident?
Mentre emergevano i dettagli della storia dell’assassinio di Jamal Khashoggi — tra il 2 ottobre, quando è entrato nel Consolato saudita e il 20 ottobre, quando l’Arabia Saudita ha finalmente ammesso che era stato ucciso — ho seguito con attenzione tutta la vicenda. Quello che mi colpiva in tutto quello che leggevo era riassunto nella frase “Chi è questo tizio?”. Khashoggi era molto conosciuto nella sua cerchia in Medio Oriente — lo si vede in The Dissident — ma tutti noi in Occidente non sapevamo chi fosse né cosa rappresentasse. I primi pezzi sottolineavano solo il fatto che fosse un “giornalista del Washington Post”. La sensazione era che la sua scomparsa fosse rilevante solo perché aveva legami con la testata giornalistica americana. C’era una situazione di parossismo mediatico mentre cercavamo di dare un senso alle ragioni della sua scomparsa e del perché fosse importante. Emergevano storie secondo le quali Khashoggi faceva parte dei Fratelli Musulmani, aveva legami con i terroristi, era un simpatizzante di Al Qaeda. Ho continuato a scavare e ben presto mi sono reso conto che quelle storie erano false, che la narrazione prevalente non rifletteva chi era realmente Khashoggi. Allo stesso tempo, c’erano altri personaggi che circondavano Khashoggi che alludevano a un altro aspetto della storia, a qualcosa che non riuscivamo proprio a capire. Il 18 o 19 ottobre, ho preso la decisione di continuare a esplorare la storia. Corrispondeva a tutte le mie caselle di cineasta: era una storia con un impatto mondiale e celava un’altra storia non raccontata. Qualche settimana dopo la scomparsa di Khashoggi, ho appreso la sconosciuta e sbalorditiva storia di Omar Abdulaziz, uno studente e dissidente saudita residente in Canada con cui Khashoggi stava lavorando. Sono andato in Canada e ho ascoltato la sua versione dei fatti. Lì mi sono reso conto che c’era un avvincente racconto nascosto riguardo all’omicidio che coinvolgeva Omar, uno spyware e la maniacale vocazione del principe ereditario saudita a distruggere chiunque danneggi la sua reputazione.
Le è apparso chiaro fin dall’inizio il tipo di film che voleva realizzare?
Fin dall’inizio, mi era chiaro che questo sarebbe stato un film sulla verità. Nonostante la confusione e l’oscurità di quei primi giorni, i resoconti contrastanti, le dichiarazioni ufficiali di governi che hanno i propri secondi fini nascosti, le menzogne sfacciate, c’era una storia vera e c’era la forza insita nel portarla alla luce. I fatti non sono soggetti alla propaganda, quindi sono partito da lì: chi era, cosa gli è successo e perché? La storia di Khashoggi si situa nel luogo dove molti soggetti e molte trame si intersecano. Sorveglianza, hacking e sicurezza informatica. Il baratto tra gli interessi negli affari e l’etica. La disinformazione. Questi problemi politici astratti sono reali, sono incarnati e hanno inciso sulla forma della vita e della morte di Khashoggi. A un livello più pratico, era evidente che la storia aveva tutti gli elementi di un thriller. Era anche chiaro che per realizzare il film che volevo, avrei dovuto risolvere tre o quattro punti. Il primo era Hatice Cengiz, la fidanzata di Khashoggi, che lo stava aspettando fuori dal consolato il giorno in cui era andato a ritirare i documenti per il loro matrimonio. Rappresentava il nucleo emotivo della storia. Hatice si sarebbe fidata a lavorare con me e sarei riuscito ad avere un accesso, per di più esclusivo, a lei? Sapevo che sarebbe stata corteggiata da un discreto numero di cineasti e se altri avessero raccontato la sua storia non avrei avuto un film di una certa risonanza. Altrettanto importante era Omar. Sapevo che una volta che la sua storia avesse cominciato a circolare, ogni agenzia di stampa del mondo gli sarebbe stata con il fiato sul collo. Sapevo che aveva una storia incredibile e che era la vera storia che stava dietro all’omicidio di Khashoggi. Il terzo era il governo turco. Avrebbe lavorato con me e, anche in questo caso, in esclusiva? E da ultimo il Washington Post. Ho trascorso circa tre mesi a tessere rapporti umani.
Come si è conquistato la fiducia?
Se Icarus non fosse stato il film che è diventato e non avesse vinto l’Oscar, è improbabile che sarei riuscito a ottenere l’accesso e la fiducia che mi sono stati accordati. Nel caso di Hatice, si è documentata su di me e ha visto ICARUS e il modo estremamente rispettoso e sensibile con cui avevamo trattato questioni personali e quanto ci eravamo adoperati per proteggere Grigory Rodchenkov. Questo le ha dato fiducia. Nel caso di Omar, ha avuto modo di apprezzare l’integrità che avevamo utilizzato nell’interagire con un whistleblower. Analogamente, il governo turco si è reso conto che non affrontavamo il film con intenti preconcetti, ma che ci interessava raccontare la verità sulla vicenda. Ho avvicinato ciascuna di queste persone con l’atteggiamento che avevamo adottato per Icarus, cioè lavorando onestamente, senza pregiudizi, senza tirare al risparmio e determinati a proteggere le nostre fonti e a servire la verità. Viviamo in un periodo in cui a causa della propaganda, della disinformazione e dei preconcetti, è difficile capire a cosa credere. Abbiamo trascorso ogni giorno dubitando di quello che avevamo letto, sospesi nello spazio ambiguo tra la conoscenza e il dubbio. Il concetto di “realtà” si era dissolto. Per reazione, la maggior parte della gente ha semplicemente scelto di credere a una parte e ignorare tutto quello che l’avrebbe portata a sollevare dei dubbi. Hatice, Omar e altre persone che abbiamo avvicinato hanno apprezzato il fatto che noi non ci eravamo schierati. Eravamo mossi dalla curiosità e il nostro sforzo era di mantenere il più possibile aperta la nostra mente e di avvicinare i nostri soggetti con umanità. Era l’impostazione che avevamo scelto per Icarus e quelle persone hanno capito che volevo a tutti costi fare la stessa cosa qui. Il mio primo viaggio a Istanbul risale ai giorni del Ringraziamento del 2018, circa sei settimane dopo l’omicidio di Khashoggi, e sono rimasto lì cinque settimane a costruire la fiducia. Durante quel periodo, Hatice e io ci siamo incontrati molte volte: abbiamo preso tè, pranzato e cenato insieme per imparare a conoscerci. Lo stesso ho fatto con vari esponenti del governo turco. Il modo in cui i turchi trattano è faccia a faccia, non al telefono o per email. Si basa tutto su una stretta di mano e sulla fiducia. Ho fatto la stessa cosa con Omar: sono andato in Canada e ogni giorno ho dedicato molto tempo a costruire un rapporto di fiducia. Ci sono volute settimane e settimane prima che tutti questi individui ed entità decidessero che sarebbero stati al sicuro nelle mie mani.
Guardando The Dissident, il pubblico apprende un fatto scioccante dopo l’altro. Qual è stata la cosa più scioccante che ha scoperto mentre realizzava il film?
Forse la cosa più sconvolgente che ho vissuto durante il mio percorso per realizzare Icarus è stato dover affrontare lo schiacciante ammontare di prove e la sconcertante quantità di condotta illecita e di cattiva fede. La comunità mondiale, le persone che sarebbero potute intervenire per modificare lo stato di cose erano state disposte a chiudere un occhio in cambio di denaro e dei dollari delle sponsorizzazioni e l’integrità delle Olimpiadi era solo fumo e specchi. Nella storia dell’assassinio di Khashoggi, mi sono trovato di fronte alla stessa situazione con una sconcertante quantità di prove e non una singola nazione disposta a prendere posizione contro il denaro rappresentato da questa monarchia assoluta. Al diavolo i diritti umani, al diavolo un omicidio a sangue freddo, al diavolo tutto quello che è successo: i soldi in ballo sono troppi e preferiamo prendere i soldi che mostrare la nostra integrità. Agnès Callamard, la Relatrice Speciale delle Nazioni Unite, ha svolto un’indagine che dimostra che l’omicidio di Khashoggi è un caso facile da risolvere. Anche il rapporto della CIA dimostra che è un caso lampante. I turchi hanno fornito le scioccanti registrazioni audio dell’assassinio ai governi francese, britannico e americano. E nonostante questo le Nazioni Unite non hanno mosso un dito. Gli Stati Uniti e l’Europa non hanno mosso un dito. Alla fin fine, la ricchezza della monarchia saudita e il suo petrolio vengono prima di qualunque principio di giustizia o autorità morale di tutto il mondo e penso che sia questo l’elemento più tristemente scioccante. Quello che emerge dal racconto è che i governi trattano i diritti umani come merci da commerciare e scambiare, mentre non dovrebbero essere negoziabili. È inammissibile che la dignità umana – la dignità di Khashoggi – debba essere sfruttata in cambio del valore di beni e servizi. È terrificante vedere quanto sia scontato lo scambio per alcuni dei nostri leader mondiali. È una storia tetra e più la conosci più diventa tetra. Ma l’ultimo capitolo del racconto della campagna di giustizia per Khashoggi non è ancora stato scritto. Ci auguriamo che questo film aiuti a servire il bene più grande facendo luce su queste terribili realtà affinché possiamo cambiarle.
Come è possibile che si sia arrivati a questo punto, con il denaro che conta più di tutto il resto?
Penso che probabilmente sia sempre stato così, ma mai in maniera così sfacciata come oggi. Se poniamo questa domanda a un mediorientale, è possibile che dica che la politica statunitense nella regione è sempre stata guidata da interessi petroliferi, dal denaro, dal potere e da poco altro. L’omicidio di Khashoggi ha reso impossibile ignorare la realtà. Abbiamo avuto un presidente che ha dichiarato apertamente alle telecamere che prendere il denaro dei sauditi è più importante di qualunque crimine abbiano commesso. Si vede chiaramente nel film che gli Stati Uniti — l’unico paese che potrebbe adottare una presa di posizione morale e persino intraprendere azioni concrete per via della sua presenza nella regione, della sua alleanza con i sauditi e della vendita di armi — ha scelto di ignorare bellamente il fatto che a capo del governo saudita c’è un assassino. Le democrazie fissano i principi morali dunque ci aspettiamo che agiscano in base ad essi e restiamo tristemente delusi. Le reazioni di Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e di tutte le democrazie del mondo manifestano quella corruzione morale. Il caso di Khashoggi era di profilo talmente alto che è stato approfonditamente investigato dalle Nazioni Unite e dalla CIA, oltre che da instancabili giornalisti e cineasti come me. Era una presenza costante sui social media e con l’attuale ciclo di notiziari di 24 ore al giorno e 7 giorni su 7, Khashoggi è diventato un nome familiare. I governi non potevano nascondere la loro corruzione in questo caso. Dovevano rispondere del loro silenzio. Ma ora ci rendiamo conto che la corruzione morale è ovunque. A tutto campo, la comunità mondiale accetta la censura, la repressione, l’omicidio, il genocidio e non prende posizione compiendo azioni. Abbiamo visto la stessa situazione emergere dalle proteste di Hong Kong, con molteplici multinazionali, dalla NBA all’ESPN alla Cathay Pacific Airlines, che sostanzialmente dicono: “Non ci interessa quello che i cinesi stanno facendo agli uiguri. Non ci interessa quello che stanno facendo ai manifestanti ad Hong Kong. Non intendiamo mettere a repentaglio i nostri interessi lavorativi”.
The Dissident esamina la pervasività della pirateria informatica nel mondo di oggi e la quasi totale assenza di tutela della privacy. Se quello che prospetta il film è vero — che viviamo in un mondo in cui la moralità è minata dal denaro, in cui i diritti umani sono sacrificabili e in cui non esiste la privacy — non c’è da essere terrorizzati?
Bisogna avere molta paura. E facciamo in modo che la paura ci galvanizzi inducendoci ad approfondire e ad agire. Se ricordate, nel 2016, ci fu un’enorme controversia dopo la strage di San Bernardino, quando l’FBI ha disperatamente cercato di entrare nei cellulari dei terroristi senza riuscirvi. L’FBI sosteneva che dovrebbe avere il diritto di accedere ai dati contenuti nel telefono di una persona nei casi di attacchi terroristici, sequestri di minori e altri reati e Apple replicava dicendo: “No, perché se lo consentiamo, dove tracciamo il confine? Chi avrà il permesso di accedere ai nostri telefoni?”. Apple tenne una linea molto dura. Nel caso dell’Arabia Saudita, questi strumenti non sono stati usati per contribuire alla lotta contro la criminalità, per salvare un bambino o per soccorrere una persona sequestrata, ma per perseguire chiunque cercasse di difendere la libertà di parola. Quello che trovo scioccante è che l’azienda NSO Group venda la sua tecnologia spyware Pegasus ai governi a prescindere dal fatto che siano democratici o dittatoriali all’unica condizione che siano disposti a pagarla profumatamente. La storia di questo film è anche la storia dell’hackeraggio di un cellulare che culmina nel raccapricciante omicidio di un appassionato giornalista. È letteralmente una questione di vita o di morte e ciò nonostante, anche dopo essere stato messo di fronte alla violenza che la sua tecnologia ha causato, l’NSO Group ha continuato a vendere le sue armi informatiche al miglior offerente. E non è l’unica azienda a farlo, ce ne sono altre quattro o cinque che sfruttano le vulnerabilità dei dissidenti. Quel che è peggio è che non conosciamo quello che non sappiamo. Ci sono storie che sono ancora in corso. Come quella dell’hackeraggio del cellulare di Jeff Bezos utilizzano Pegasus, lo stesso software spia del NSO Group usato contro Khashoggi e i suoi associati. A quanto pare il cellulare di Bezos è stato infiltrato attraverso un messaggio WhatsApp del principe saudita Mohamed Bin Salman in persona. Consideriamo l’enorme rilievo che ha il fatto che una delle persone più potenti del pianeta è stata spiata e ricattata, apparentemente, per via dei suoi legami con il dissidente Jamal Khashoggi. John Scott-Railton del Citizen Lab, che si vede nel film, ha svelato la stessa storia relativa al Messico, dove il governo messicano ha pagato decine di milioni di dollari per Pegasus che ha poi usato per prendere di mira i giornalisti che indagavano sui cartelli della droga e la corruzione nel governo. Le stesse cose sono accadute in Ghana, dove il governo ha usato Pegasus per attaccare il partito di opposizione, non solo per sovvertire l’esito delle elezioni, ma anche per stanare e uccidere i propri oppositori, nel senso letterale dei termini. Fino a quando queste armi informatiche saranno vendute al miglior offerente, nessuno sarà al sicuro. La cosa più terrificante è che non esistono limiti. Non sembra esserci alcuna supervisione sull’utilizzo di questa tecnologia. C’è da credere che per una cifra adeguata, società private come l’NSO Group siano disposte a venderla a entità non statali e ad organizzazioni criminali. È facile sentirsi terrorizzati ad ogni modo. È molto più difficile – e molto più importante – immaginare come uscirne con speranza e una visione per sistemare la situazione e rendere giustizia a Jamal. Con le crisi sopraggiungono le opportunità. Abbiamo una crisi. Ora dobbiamo ricavarne qualcosa.
Quale vorrebbe che fosse l’impatto del film?
Penso sia irrealistico credere che il film possa produrre sostanziali cambiamenti nelle politiche di Gran Bretagna, Francia o Stati Uniti o che li persuada a interrompere le redditizie vendite di armi ai sauditi. È idealistico e improbabile immaginare che un film possa portare a regolamentare la sorveglianza informatica intrusiva o che improvvisamente ogni singolo contratto sia esaminato al microscopio o che Israele faccia chiudere società che non si attengono alle regole come NSO Group. Tuttavia se c’è una cosa che Khashoggi ci ha dimostrato, è che singoli individui possono essere potenti e persino pericolosi per le potenze corrotte del mondo. Per la tirannia dell’Arabia Saudita, Jamal Khashoggi era un uomo pericoloso. Aveva minacciato il controllo della propria immagine da parte del regime in un periodo in cui stava investendo molto denaro e molto tempo a mettere a tacere i propri crimini per sembrare “progressista”. Khashoggi non ci avrebbe permesso di dimenticare gli avvocati e gli attivisti che soffrono nelle carceri saudite, la censura e la repressione, la crudeltà autoritaria di Mohammed bin Salman. Scrivendo di quello che sapeva essere vero, è diventato una minaccia perché la verità è potente. Lavorando con Omar su un progetto per portare un po’ di integrità a Twitter in Arabia Saudita è arrivato a rappresentare una minaccia esistenziale. E con questo documentario condividiamo la verità. Il fatto è che un film può raggiungere molte più persone di un rapporto delle Nazioni Unite o di un’investigazione governativa segretata e revisionata. Mi auguro che vedendo il film, le persone sentano una responsabilità personale ad agire, come ha fatto Khashoggi. A livello personale, ogni volta che qualcuno riempie il serbatoio di benzina può pensare “Il mio consumo energetico contribuisce a finanziare un regime oppressivo disposto a tagliare in due una persona solo perché vuole la libertà di parola”. Forse una cittadinanza informata potrà indurre più efficacemente i propri governi democratici a rendere i diritti umani un’autentica priorità. E in ultima analisi, i funzionari eletti rispondono all’elettorato e campagne vincenti hanno prodotto cambiamenti politici. Si comincia sensibilizzando l’opinione pubblica. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, sono convinto che a livello del Congresso ci sia c’è un forte slancio su base bipartisan per adottare realmente misure significative contro il governo saudita. Sia la Camera sia il Senato statunitensi hanno approvato risoluzioni per affermare che Mohammed bin Salman è responsabile dell’omicidio di Khashoggi e per bloccare le vendite di armi ai sauditi. A livello bipartisan, questa è una cosa che il popolo americano vuole e che altri interessi stanno impedendo. Mentre noi abbiamo questa importante discussione, Hatice continua a cercare giustizia per Jamal. Per quanto improbabile e difficile possa sembrare adesso, abbiamo effettivamente visto casi in cu la morte di un dissidente ha potuto portare giustizia e diventare significativa. Abbiamo pensato molto a Magnitsky. Nel 2009, Sergei Magnitsky, un whistleblower russo, è stato imprigionato dal Cremlino e ucciso durante la detenzione. Il suo cliente e amico Bill Browder era determinato a ottenere giustizia per questo crimine che avrebbe potuto svanire nel nulla come molti altri commessi nella storia. Browder ha finito con il diventare leader di un movimento mondiale che ha prodotto sanzioni molto efficaci contro chi calpesta i diritti umani. Sarebbe meraviglioso vedere un’analoga forma di giustizia per Jamal. Qualunque persona prenda la parola o un’iniziativa rende molto più difficile il ripetersi di un reato come questo. Rende molto più complesso per persone come Mohammed bin Salman scegliere il proprio bersaglio seguente e perseguire un whistleblower che difende la democrazia, perché gli è stato dimostrato che il mondo osserva con attenzione e l’umanità ha a cuore quello che è giusto più di quello che genera profitto. I dittatori della terra si renderanno conto del costo finanziario e di reputazione dell’adozione di simili tattiche, poiché queste tattiche saranno smascherate. Non avranno la possibilità di occultare la verità, perché noi sapremo cosa cercare.