Sulla Infinitezza (About Endlessness), il film premiato per la Miglior regia alla 76° Mostra del Cinema di Venezia, scritto e diretto dal Maestro svedese Roy Andersson, uscirà al cinema giovedì 27 maggio distribuito da Wanted Cinema. Il film, costruito come una sovrapposizione di tableau vivant, è una riflessione sulla vita umana in tutta la sua bellezza e crudeltà, splendore e banalità.
Il film
Vaghiamo, onirici, dolcemente guidati dalla voce narrante che ci guida attraverso scene in cui i momenti irrilevanti assurgono alla stessa importanza degli eventi storici: una coppia galleggia su una città di Colonia dilaniata dalla guerra; sulla strada per una festa di compleanno, un padre si ferma ad allacciare le scarpe della figlia sotto la pioggia battente; ragazze adolescenti ballano fuori da un caffè; un esercito sconfitto marcia verso un campo per prigionieri di guerra. Dove c’è tragedia ci sono anche speranza e umorismo. Un prete che, avendo perso oltre alla fede anche la vocazione, si sente completamente privo di speranze e cerca quindi aiuto da uno psichiatra: ma il medico non lavora gratuitamente e ha fretta di prendere l’autobus per tornare a casa.
Ci sono anche momenti di vitalità, l’energia contagiosa di adolescenti che ballano fuori da un caffè; un giovane che non ha ancora incontrato l’amore; un altro che sviluppa la sua mente con il pensiero scientifico. Ogni ritratto cattura l’essenza di ciò che deve esistere. Contemporaneamente un’ode e un lamento, Sulla Infinitezza offre un caleidoscopio di tutto ciò che è eternamente umano, una storia infinita e senza tempo della vulnerabilità dell’esistenza.
Roy Andersson
Vi proponiamo qui sotto un estratto dell’intervista rilasciata da Roy Andersson a Philippe Bober.
Alcuni dei temi affrontati in questo lavoro sono presenti anche in altri tuoi film: l’ottimismo rappresentato dalla giovinezza, ma anche la guerra e la disperazione, l’assenza di Dio. Qui metti in scena un prete che non crede in Dio. Pensi ci sia sempre un equilibrio tra speranza e disperazione?
Il tema principale del mio lavoro è la vulnerabilità degli esseri umani. Penso che sia un atto di speranza creare qualcosa che mostri vulnerabilità. Perché se sei consapevole della vulnerabilità dell’esistenza, puoi diventare rispettoso e attento verso ciò che hai. Volevo sottolineare la bellezza dell’esistenza, dell’essere vivi. Ma ovviamente, per ottenere questo scopo, devi avere un contrasto; si deve mostrare il lato brutto, crudele, dell’esistenza. Per esempio, guardando alla storia dell’arte, molti dipinti sono decisamente tragici. Ma anche se raffigurano scene crudeli e tristi, dipingendole gli artisti hanno in qualche modo trasferito l’energia e creato speranza.
Per ogni tuo film ti sei ispirato ai dipinti. Quali sono state le tue influenze per Sulla Infinitezza?
Sono interessato dagli artisti della corrente della Nuova Oggettività per la forza dei loro dipinti. Secondo me sono straordinariamente netti e dettagliati: tutto è a fuoco, in modo estremamente nitido e distinto. La stessa nitidezza non è rintracciabile nella storia del cinema: lo sfondo deve essere sfuocato. Ecco perché trovo questi dipinti molto stimolanti per ciò che metto in scena: tutto è a fuoco, anche i momenti grotteschi della vita. Spesso sono molto invidioso della pittura perché sento che la storia del cinema non ha la stessa qualità della storia della pittura. Desidero davvero che i film siano ricchi quanto può esserlo la pittura.
C’è un dipinto in particolare che ti ha ispirato per questo film?
Mi piace molto il “Ritratto della giornalista Sylvia von Harden” di Otto Dix.
Il movimento della Nuova Oggettività ha avuto la sua massima espressione negli anni ’20, quindi appena prima dell’apocalisse. Pensi sia possibile affermare che anche il tuo film è stato realizzato poco prima di un’apocalisse?
Spero di no. Sarebbe davvero pessimista pensare che stiamo vivendo un momento del genere. Credo che nemmeno Otto Dix credesse all’imminente arrivo di un’apocalisse, ma ci ha avvertito della possibilità. Tutti i suoi dipinti possono essere visti come avvertimenti. Questo vale anche per i Grandi Maestri, che ritraggono la nostra esistenza ammonendoci nel contempo anche della sua brevità: “Ricordiamoci che la
vita non è eterna. E devi essere grato per il tempo che ti rimane”.
Hai anche menzionato l’architettura come elemento di influenza e in particolare come il funzionalismo svedese degli anni ’50 sia stato un elemento estetico ispiratore per i tuoi film. Qual è la connessione tra il funzionalismo e Sulla Infinitezza?
Avevo l’ambizione di mostrare l’esistenza in tutti i suoi aspetti, includendo quindi funzionalismo, modernismo, stalinismo… Non volevo creare uno stile puro, ma mostrare il nostro tempo e in Svezia il funzionalismo era molto popolare e diffusamente utilizzato.
Hai detto che la presenza di un narratore nel film è ispirata al personaggio di Scheherazade ne “Le mille e una notte”. È anche per questo che hai scelto una donna come narratrice?
Sì, è stata una scelta. Ero titubante: ho provato con un uomo e anche con la mia voce, ma alla fine ho trovato più interessante scegliere una donna. È come una fata, molto intelligente, forse anche eterna. È la prima volta che uso una voce fuori campo, è per me una cosa nuova. Sono stato influenzato dalla voce in Hiroshima Mon Amour. In alcune scene, il personaggio principale descrive ciò che il pubblico contemporaneamente vede sullo schermo. Una cosa che ho amato molto.
I tuoi film includono sempre scene storiche: perché per te è così importante?
Sono sempre stato molto interessato alla storia. Era la mia specializzazione all’università: ho studiato storia della letteratura, della filosofia, persino lingue nordiche. Ero particolarmente interessato dalle due guerre mondiali. Ad esempio, sono rimasto affascinato dalle immagini della Prima guerra mondiale che ho visto da adolescente.
Nel film, le scene di guerra raffigurano i perdenti. Perché?
Sì, i vincitori non sono interessanti. Perché, in un certo senso, siamo tutti perdenti. È importante riconoscere che alla fine nessuno è un vincitore. Non sono una persona pessimista ma il fatto è questo: non c’è speranza. La vita è una tragedia. Non sono la prima persona a dirlo.
Pensavo si trattasse di superbia, rappresentata da Carlo XII, o Hitler nei tuoi film.
Sì, in alcuni periodi della vita, specialmente da giovani, si prova questa sorta di arroganza. Pensi di essere invulnerabile, che vincerai sempre. È caratteristico soprattutto delle persone giovani e forti. Anch’io ho provato quella sensazione, in particolare intorno ai 25 anni e appena dopo aver realizzato A Swedish Love Story. Quello era il mio periodo di superbia, quando pensavo che sarei sempre stato un vincitore,
che non avrei mai perso se avessi combattuto e lavorato duramente.
Volevo chiederti della giovinezza nei tuoi film: cosa rappresenta per te?
È molto bella, il più delle volte. Mi piace soprattutto guardare i bambini perché sono pieni di idee, speranza e vitalità; si tratta di una cosa bella da vedere. Finché sei giovane mantieni questa speranza, ma invecchiando un po’ alla volta la perdi. Ad esempio, mi piace molto la scena del padre e della figlia sotto la pioggia mentre vanno ad una festa di compleanno. Il padre perde l’ombrello per aiutarla, un atto di altruismo, mentre la figlia vuole solo che le allacci le scarpe; ed è una cosa bella da vedere. Inoltre, nella scena con le ragazze che ballano, penso sia davvero affascinante vedere la vitalità di queste giovani felici di esistere, che amano ballare e quindi lo fanno. C’è qualcosa di contagioso nella loro energia.
Tu hai un senso dell’umorismo molto particolare. Cosa trovi divertente?
Penso che la verità sia molto spesso divertente. All’inizio della mia carriera, sono stato ispirato da Milos Forman, Jiri Menzel e altri registi cechi che ci hanno mostrato l’esistenza usando un tono molto divertente. Hanno messo in scena persone un po’ smarrite; non perdenti, quanto piuttosto un po’ persi. Mi piacciono molto i film con questo tipo di umorismo: storie piccole, ma molto divertenti. Diversi registi
tentano di creare questo genere di umorismo, ma è molto facile fallire. Anch’io sbaglio molte volte, ma non mi arrendo.
Sebbene ci siano nel tuo lavoro queste scene storiche, c’è un senso di atemporalità nei tuoi film e qui peraltro si lega anche al titolo.
Sì, volevo che queste scene fossero molto vicine all’essere senza tempo, quindi anche se vediamo che è settembre, o nevica, o si tratta di una scena storica dovrebbe esserci una sensazione di atemporalità. Ancora una volta, sono ispirato dai dipinti, un’opera d’arte che nel nostro tempo ci parla e che ha parlato ad altri duecento anni fa, o più. Questo ci suggerisce che noi esseri umani siamo abbastanza simili nel corso dei secoli e del tempo. L’infinitezza del titolo non ha nulla a che fare con lo spazio infinito, non parliamo in termini scientifici; in questo film riguarda l’infinitezza dei segni dell’esistenza, dell’essere umano.