Presentato all’interno della sezione Notti Veneziane delle Giornate degli Autori durante la 78esima Mostra del Cinema di Venezia, giovedì 30 settembre uscirà al cinema I Nostri Fantasmi, il nuovo film scritto e diretto da Alessandro Capitani con protagonisti Michele Riondino, Orlando Forte, Hadas Yaron, Paolo Pierobon e Alessandro Haber.
Il film
Valerio (Michele Riondino) e suo figlio Carlo (Orlando Forte), di sei anni, vivono nel sottotetto della casa da cui sono stati sfrattati. Ogni volta che arrivano nuovi inquilini, li terrorizzano inscenando la presenza di fantasmi, nella speranza di tornare a vivere nell’appartamento “di sotto”. Per Carlo è un gioco che lo protegge da una vita misera e da una mamma assente. E per un po’ funziona, finché non arriva Myriam (Hadas Yaron) in fuga con la piccola Emma da un marito violento. Lei dei fantasmi non ha paura.
Alessandro Capitani racconta…
«Tra tutti gli ostacoli della vita, uno particolarmente ostacolante è il non riuscire a fare pace con il proprio passato. La difficoltà sta tutta nell’integrarlo, specialmente se doloroso e irrisolto, con il proprio presente. Quindi se nella vita ci sono state delle disarmonie, delle cicatrici non rimarginate, o peggio ancora delle assenze che ci hanno segnato, in genere si pensa che non vi sia più nulla a che fare a riguardo. È un pò quello che succede a Valerio, il protagonista di questa storia. Valerio non riesce a volgersi indietro senza scorgere altro che vuoto e delusione. Impossibilitato a ricucire le ferite ancora aperte decide di rifuggirle trasformando il presente in un “gioco” con la vana speranza di proteggere suo figlio Carlo da quel mondo esterno che invece di “dare”, gli ha, egoisticamente e improvvisamente, tolto: una compagna, un lavoro, una casa».
Per scoprire ancor più approfonditamente il film, vi riportiamo qui sotto un estratto dell’intervista rilasciata dal regista.
Come definiresti il tuo film?
Lo definirei un fantasy neorealista. Ci sono i grandi temi: il lavoro, la casa, la violenza sulle donne, ma è anche un po’ fantasy. C’è una dimensione brillante e gioco con i generi, li mescolo…. Forse è un po’ più com’era la commedia all’italiana in cui si ride e si piange e il dramma si mescola al sorriso. Come nella vita vera, insomma.
Si direbbe che in questo film tu ti rifletta perfettamente, come se fosse la vera opera prima.
Lo sento un po’ come il mio film d’esordio, anche se non lo è stato… Sul primo lungometraggio, In viaggio con Adele, sono salito in corsa. È stata un’esperienza molto formativa e ne sono grato alla produzione, a Nicola Guaglianone, ad Haber. Ma questa è una storia tutta mia, imparentata con il mio corto Bellissima, in cui pure giocavo con i generi. Qui ho aggiunto la magia, un mondo in cui ti sembra di vedere una cosa, mentre in realtà si racconta altro. Qualcosa che spero arrivi in maniera ‘precisa’, riuscendo a toccare nel profondo lo spettatore.
Come nasce il film?
Il soggetto nasce dalla mia esperienza televisiva quando lavoravo con Domenico Iannacone alla trasmissione I Dieci Comandamenti per Rai 3. Una puntata della serie era dedicata agli sfratti e ho visto in maniera diretta cosa vuol dire perdere all’improvviso la casa, sentire suonare alla porta l’ufficiale giudiziario in compagnia del fabbro e dei carabinieri. Un’esperienza sotto molti punti di vista scioccante. Molte persone avevano perso tutto, anche la speranza. Da lì mi è venuta l’idea di raccontare la storia di un padre che resta nella casa da cui è stato sfrattato.
Ha influito l’esperienza del Covid sullo stare prevalentemente nella casa?
In realtà ci sono moltissimi esterni. Il Covid ha portato solo vantaggi a questo film. Giravamo in una zona rossa quindi per strada non c’era nessuno che passava con la mascherina sul viso. È stato più facile gestire gli spazi esterni ed in più non c’era traffico e spostarci da una location all’altra era molto meno oneroso in termini di tempo.
Sembra di capire che oltre a proporre idee davvero moderne, non ti dispiaccia fare un cinema anche ‘classico’, influenzato da certo cinema italiano e magari da Hitchcock.
La mia formazione è stata al Centro Sperimentale di Cinematografia e al Dams di Bologna: tante letture, tanti film. Sì, ho assorbito molto e mi ha influenzato. Con Daniele Ciprì poi ci siamo visti tanti film horror, volevamo capire quale fosse il modo migliore di raccontare l’inizio del film, questo per consentire allo spettatore di immergersi in un mondo che poi risulterà ribaltato, che capirà che è tutt’altro.
La relazione tra genitori e figli è centrale nel film.
I figli rispondono in modo avulso da qualsiasi stereotipo o condizionamento. La loro risposta è pura. I genitori non riescono o non vogliono affrontare i loro problemi. E qui il titolo calza perfettamente: I nostri fantasmi sono quelli che abbiamo dentro, che non sappiamo affrontare, di cui non ci liberiamo. In questo film gli adulti sono bambini e i bambini adulti. Carlo, per esempio, capisce da solo la verità. Il bambino che lo interpreta, Orlando Forte, ripeto, è un vero fenomeno.
E la bimba?
La bimba ha solo un anno e mezzo, non potevamo pretendere che facesse quello che volevamo. Perciò giravamo in base all’umore del momento. Va detto però che come spesso si fa in questi casi abbiamo preso due gemelle per girare un po’ più a lungo. I due bambini hanno familiarizzato: c’è una scena nel film in cui stanno sul divano e lui le dà un maccherone. Be’ non glielo avevamo chiesto, lo stava facendo spontaneamente.