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Monterossi, Fabrizio Bentivoglio è l’anima della nuova serie di Roan Johnson

Tratto dai romanzi Questa Non è Una Canzone D’Amore e Di Rabbia e Di Vento di Alessandro Robecchi, da lunedì 17 gennaio in esclusiva su Prime Video arriverà Monterossi, la serie diretta da Roan Johnson (che l’ha sceneggiata insieme allo stesso Robecchi e Davide Lantieri) che vede, capitanato da Fabrizio Bentivoglio, un vasto cast composto da: Diego Ribon, Donatella Finocchiaro, Martina Sammarco, Luca Nucera, Tommaso Ragno, Bedlù Cerchiai, Beatrice Schiros, Marina Occhionero, Maurizio Lombardi, Gabriele Falsetta, Ilir Jacellari, Maria Paiato, Michele Bravi e Carla Signoris.

La serie

Una sera come tante, mentre sorseggia un bicchiere del suo whisky preferito nella sua bella casa milanese, Carlo Monterossi (Fabrizio Bentivoglio) viene disturbato dal suono di quel videocitofono che non ne ha mai voluto sapere di funzionare. Ma alla porta, invece di un fattorino, trova un tizio col volto coperto e una pistola. Piccola. Cromata. Con un buco nero rivolto verso di lui. Iniziano così le avventure di Monterossi, da un incontro mancato con la morte, in cui viene salvato solo dal caso (e dalla pesantezza di quel bicchiere di cristallo che ha dimenticato di poggiare sul tavolino). È questa la chiamata del destino che lo spinge a indagare. Un po’ perché ha paura e deve capire chi lo vuole uccidere; un po’ perché è arrivato a un punto della vita in cui viene la tentazione di fare dei bilanci: l’amore è solo il ricordo di una donna che se n’è andata, il lavoro di autore tv gli porta soldi e un po’ di fama, ma molte crisi di coscienza e la voglia di andarsene. Un ironico infelice di successo. Gli restano solo l’amato Bob Dylan, l’unico che riesca a dar voce alla sua nostalgia, a trovare le parole; e un desiderio imprescindibile di giustizia.

Lo stesso che muove Nadia (Martina Sammarco) e Oscar (Luca Nucera), i suoi due giovani aiutanti presi in prestito dal mondo della tv, e quel manipolo di piedipiatti che con il Monterossi finiranno per collaborare. Detective per caso, per rabbia e per curiosità umana, sempre in bilico tra ironica indolenza e struggimento blues, nella sua ricerca della verità Carlo Monterossi dovrà confrontarsi con una coppia di killer colti e professionali, due zingari in cerca di vendetta, collezionisti e contrabbandieri di souvenir nazifascisti, incredibili scambi di persona, una donna che sembra vissuta più volte e un passato crudele che ritorna e lascia dietro di sé indecifrabili indizi.

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Roan Johnson racconta…

“Quando abbiamo iniziato a leggere i romanzi di Robecchi, a me e Davide Lantieri è apparso chiaro che il nostro lavoro sarebbe stato quello di esaltare il potenziale cinematografico dei libri. Dialoghi brillanti e taglienti, un altalenare fra l’olimpo degli attici della televisione e i bassifondi dei campi Rom e delle case popolari, una reinvenzione del genere crime grazie a un distacco ironico e autoironico, prima di tutto del suo protagonista. Insieme a Robecchi abbiamo quindi approfondito il tema più importante del personaggio: questo scontro interno del Monterossi fra un tentativo di indagare e sporcarsi le mani con la modernità (con i suoi pregi e difetti – e quale altra città in Italia poteva raccontarlo meglio di Milano?), ma rimanendo attaccato, quasi in una posizione difensiva, arroccata e malinconica, al ventaglio di valori e lotte di un mondo passato dove Monterossi si è formato e fermato”.

“Per questo abbiamo provato a massimizzare, intanto scendendo nel suo inconscio, attraverso i sogni che invadono le sue notti, poi portando in vita il rimpianto nostalgico più grande di Carlo: l’amore della sua vita (per citare una definizione che i nostri tempi sembrano aver spazzato via) e rendendo il divario con Nadia ancora più ampio – facendola di seconda generazione, e quindi ancora più una novità rispetto al mondo che Monterossi conosceva. Abbiamo cercato di raccontare lo sguardo di Monterossi, il migliore fra i perdenti, che vive dentro di sé la fatica di essere se stesso, ma cercando un senso di giustizia seppur scivoloso che gli permetta di guardarsi allo specchio la mattina”.

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“Mi ricordo il giorno quando ho conosciuto Alessandro Robecchi. Avevo solo letto i suoi romanzi, non sapevamo nemmeno se mai il progetto sarebbe andato in porto. Ma il momento in cui l’ho conosciuto ho avuto una piccola ma importante certezza: Monterossi era un suo alter ego (si era scritto più giovane solo per mescolare le carte) e c’era solo un attore che gli era cugino, se non fratello, con quello stesso DNA di milanese cresciuto negli anni Settanta, che poteva avere quello sguardo beffardo ma caldo, malinconico ma curioso, severo ma ironico: Fabrizio Bentivoglio”.

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