Solo dal 24 al 26 gennaio nelle sale italiane arriverà Ero In Guerra Ma Non Lo Sapevo, il film diretto da Fabio Resinaro che racconta i palpitanti ultimi giorni di vita di Pierluigi Torregiani, titolare di una gioielleria alla periferia nord di Milano, ucciso in un agguato dai Pac, Proletari Armati per il Comunismo, nel 1979. Il film racconta un uomo che, sotto attacco suo malgrado, vive una profonda crisi famigliare che si “ricompone” solo dopo la sua morte, avvenuta per mano di sedicenti rivoluzionari.
Il film
Milano, fine anni ’70. Pierluigi Torregiani (Francesco Montanari), un gioielliere che si è fatto da sé, subisce un tentativo di rapina in cui muore un giovane bandito. Non è stato lui a sparare, ma molti giornali lo accusano di essere un giustiziere borghese. La tensione politica dell’epoca lo rende un obiettivo perfetto per i PAC, gruppo di terroristi guidato da Cesare Battisti, che individuano in lui un colpevole da punire. Torregiani e la sua famiglia ricevono minacce di morte: il pericolo è così concreto che gli viene assegnata una scorta. Ma le intimidazioni non si fermano: sempre più invasive, lo condizionano nel lavoro e soprattutto nei rapporti con i famigliari, che si consumano fino a sfiorare la rottura.
Il figlio Alberto
Alberto Torregiani, colpito da un proiettile vagante durante l’attentato, rimarrà paralizzato e costretto sulla sedia a rotelle. Dopo aver completato gli studi, si è trasferito a Novara. Da allora, non ha mai smesso di chiedere che i responsabili della morte del padre venissero consegnati alla giustizia. Il Terrorista dei P.A.C. Cesare Battisti, tra i mandanti dell’attentato a Pierluigi Torregiani, è stato condannato all’ergastolo per quattro omicidi. Due commessi in prima persona, due in concorso con altri. Dopo oltre trent’anni di latitanza, il 12 gennaio 2019, Battisti è stato arrestato in Bolivia e consegnato alle autorità italiane. Il 25 marzo 2019, ha ammesso, per la prima volta, le proprie responsabilità per i crimini che gli sono stati imputati e ha rilasciato questa dichiarazione: “Non sono mai stato vittima di ingiustizia e ho preso in giro tutti quelli che mi hanno aiutato. Ad alcuni di loro non c’è neanche stato bisogno di mentire”.
Fabio Resinaro racconta…
“Il noto episodio di cronaca, l’omicidio dell’orefice Pierluigi Torregiani, è da più di quarant’anni oggetto di dibattito; strumentalizzato indistintamente dalle parti politiche e inserito in una narrazione ormai consolidata nel contrapporsi di due punti di vista antitetici, che, da sempre, hanno il grande limite di rimanere esterni alla vera vicenda umana delle persone che vennero coinvolte. I fatti stessi, che danno origine al dramma della famiglia Torregiani, furono provocati da un contesto politico e un sistema fortemente polarizzato incapaci di lasciare alcun margine sulle posizioni personali, incastrando i malcapitati di turno in un meccanismo chiaramente calato dall’alto. La griglia ideologica, che ha fornito i presupposti storici perché una personalità di quegli anni, come Pierluigi Torregiani, venisse travolta e usata, suo malgrado, come snodo drammatico di una narrazione politica, è anche lo stesso schema attraverso il quale si è sempre guardato e commentato i fatti di quelle settimane che portarono all’omicidio del gioielliere”.
“Perché un film su questa vicenda di cronaca potesse puntare ad aggiungere qualche elemento di riflessione ulteriore, era necessario adottare un punto di vista nuovo e totalmente personale. La scelta è stata quindi quella di rimanere incollati all’essere umano, Pierluigi Torregiani; non solo il gioielliere ma anche il padre, il personaggio e l’uomo. Il cinema, in questo senso, ci dà per la prima volta l’occasione di respirare con lo stesso protagonista, avvicinandosi alla sua percezione e alle sue emozioni; per dare uno sguardo al contesto che da sempre ha descritto la vicenda stessa da un nuovo punto di vista, questa volta interno”.
“Un punto di vista così personale e umano potrebbe sembrare una scorciatoia per evitare di schierarsi e fare in modo che la posizione del Film rimanga neutrale con il principale obiettivo di non indispettire nessuno. Al contrario, penso che l’approccio che parte da una prospettiva vicina al dramma umano sia la posizione più politica di tutte; proprio perché pone le fondamenta di una critica vera, anche se ipotetica, del contesto che ha sempre cercato di incasellare i fatti per rafforzare l’una o l’altra posizione. In questa direzione, partendo da un elemento reale, ho deciso di usare la metafora dell’orologiaio. Sono partito dall’immagine del Torregiani che indossando il monocolo da orefice osserva dall’alto i meccanismi della cassa di un orologio, ritenendosi un esperto conoscitore di quegli ingranaggi e perfettamente a suo agio con l’idea che all’interno di quel sistema ogni elemento ha un suo preciso ruolo e il sistema stesso sia qualcosa da preservare. Fino a quando lo stesso protagonista, abituato dal suo ruolo di conoscitore e riparatore di meccanismi e dalla conseguente narcisistica idea di essere “padrone del proprio tempo”, si ritroverà ad essere trasformato egli stesso in nient’altro che un “ingranaggio” di un meccanismo esterno e più grande di lui”.
“E’ anche la storia di una resistenza, di un uomo forse troppo testardo, che non vuole rinunciare alla propria libertà in cambio di una sicurezza che non gli consentirebbe di ‘vivere’ nel senso più importante del termine. Un padre di famiglia costretto ad un lockdown da una narrazione che divide in buoni e cattivi, scollata da quelli che sono i veri drammi degli individui. Torregiani critica questa impostazione; non tanto per scetticismo ma in quanto imposta e “calata dall’alto” sulla sua vita e su quelle dei suoi familiari. In questo senso, il film, pur raccontando di eventi che risalgono alla fine degli anni settanta, offre elementi di riflessione particolarmente attuali per il periodo storico che stiamo attraversando“.
Gli sceneggiatori Mauro Caporiccio, Carlo Mazzotta e Fabio Resinaro raccontano…
“Una vicenda come quella che vide protagonista suo malgrado Pierluigi Torregiani, è per definizione la storia di una vittima. Un uomo però non è mai una cosa sola. E tantomeno poteva esserlo uno come Pierluigi Torregiani. Come sempre accade approcciando un adattamento, c’è un livello più profondo che si è chiamati a rivelare per renderlo qualcosa di più della mera trasposizione di un romanzo o la drammatizzazione di fatti realmente accaduti. La scoperta di un riflesso interno. Di qualcosa che, nel rispetto dell’originale, ha la capacità di generare racconto, di sorprendere l’autore stesso. O, come accaduto in questo caso, addirittura di mobilitarlo. Di esprimere un aspetto della vita immediatamente riconoscibile e soprattutto urgente da condividere”.
“Per questo il nostro racconto di quei venticinque giorni a cavallo dei primi due mesi del 1979, è anche la caduta di un uomo che si sente invincibile. Quasi che questa hybris, abituato com’è a padroneggiare con successo qualunque avversità, sia la sua vera condanna. Un tratto – quello dell’essere esposti, minacciati, indifesi – che negli ultimi due anni è emerso come un dato di realtà che ha colpito tutti, senza distinzioni. Smontando l’errata percezione di poter essere in grado, sempre e comunque, di poter fronteggiare e superare tutto. E comunque, a che prezzo? Allora come oggi, l’isolamento, addirittura la reclusione per Torregiani, sua moglie ed i suoi tre figli adottivi, furono l’inevitabile conseguenza di arginare il pericolo che incombe. Qualcosa che paradossalmente sottrae vita nel tentativo di proteggerla. Ed è proprio intorno al tema della sottrazione, del furto, del riappropriarsi di qualcosa che ci è stato tolto – sia essa proprietà, vita, libertà – che tutto si muove“.
“Ero In Guerra Ma Non Lo Sapevo apre la porta di casa di una famiglia borghese negli anni più bui della nostra Repubblica, la tragica storia della sua progressiva distruzione per mano dei terroristi. Tuttavia, gli assassini, con le loro minacce e P38, nel film non si vedono, non agiscono. Restano anonimi, senza una vera identità. Fantasmi armati che uccidono e basta – e senza alcuna pietà – Pierluigi Torregiani: il padre, il gioielliere rampante che si è fatto da sé, sfrenatamente ambizioso e narcisista, dipinto dai giornali della sua epoca come un giustiziere armato. Soprattutto una persona per bene, che tenterà in tutti i modi di non farsi intimidire nella battaglia disumana, insensata, lacerante, che è stato condannato a combattere. E che ineludibilmente, da perseguitato, dovrà confrontarsi col suo persecutore interno. In un percorso di consapevolezza che lo rende altro dalla mera vittima di una morte annunciata“.