Da un corto a un lungometraggio: giovedì 24 febbraio – dopo essere stato presentato in anteprima al Festival del Cinema di Locarno 2021 (premiato come Best Emerging Director/Concorso Cineasti del presente) e, nella sezione Alice nella Città, alla 16esima Festa del Cinema di Roma – arriva nelle nostre sale Il Legionario, il film d’esordio del regista bielorusso naturalizzato italiano Hleb Papou.
Il film
Daniel (Germano Gentile) è l’unico poliziotto di origine africana del Reparto Mobile di Roma. Deve sgomberare un palazzo occupato in cui vivono 150 famiglie. Una è la sua.
Un tema di grande attualità
Il Legionario è un film che, in questo momento storico, nel nostro paese ha una forte valenza. Oggi si parla spesso di accoglienza, migranti, italiani di seconda generazione, ma spesso non si capisce a pieno cosa significa vivere queste dinamiche dal di dentro. Con questo film Hleb Papou vuole restituire un punto di vista altro, una soggettiva da dentro, e lo fa immaginando una situazione estrema, simbolica: un celerino di colore costretto a sgomberare i propri familiari da una casa occupata in cui lui stesso è cresciuto. Uno scontro di culture, ma soprattutto un conflitto identitario. Secondo recenti indagini, Roma risulta al primo posto in Italia con 92 insediamenti abusivi all’interno di altrettanti edifici, 66 dei quali ad uso abitativo, e 12 mila occupanti. Il soggetto del film tocca da vicino la capitale, dove il film è ambientato, ma anche altre città italiane come Napoli e Milano, ed è al centro di accese discussioni politiche e considerazioni etiche.
Hleb Papou racconta…
“L’idea del film nasce dalla forte esigenza di raccontare l’Italia multiculturale di oggi e la generazione dei nuovi italiani, figli di immigrati ma nati e cresciuti in questo Paese. L’idea nasce da un’immagine, che mi era venuta in mente nel 2014, ovvero di un poliziotto di pelle nera in uno dei reparti più duri della Polizia, un ragazzo che in uno Stato democratico rivendica il diritto di poter essere un celerino, contro tutti gli stereotipi. Partendo da quest’immagine il film si evolve raccontando un’ulteriore storia: quella dell’ormai atavica questione dell’emergenza abitativa romana, poco conosciuta e allo stesso tempo molto controversa. Il mio film vuole raccontare le ferite aperte della nuova Italia, attraverso una chiave d’intrattenimento e riflessione. Non mi interessa il Belpaese da cartolina ma neanche l’Italia della criminalità, che sono già stati ampiamente narrati. Quella che vorrei raccontare è un’Italia ricca di contraddizioni, dove sono nati più di 800 mila figli di immigrati che rappresentano un nuovo capitolo di questo Paese. Capitolo che parla di autodeterminazione e rivendicazione dei propri diritti. Molto spesso si parla dell’immigrazione con toni tristi e cupi, a volte addirittura violenti, ma in pochissimi casi se ne parla con l’urgenza di capirne veramente la reale complessità. Il mio film si pone l’obiettivo di farlo”.