Giovedì 10 marzo alle 19.30, in prima nazionale presso la Chiesa di San Domenico di Palermo andrà in scena Medea, un monologo sublime e straziante scritto da Luciano Violante. Magistrato e già Presidente della Camera dei Deputati, Violante – nel trentennale della strage di Capaci – torna ad interrogarsi sul mito con la figura di Medea, che nel suo peregrinare approda nella terra di Sicilia. Grande protagonista è Viola Graziosi, diretta da Giuseppe Dipasquale.
Esistono diverse versioni del mito di Medea, e molte si concentrano sulla grande colpa della maga: aver ucciso i propri figli. Per Euripide Medea si macchia del crimine per vendetta; per Pausania, invece, è innocente. Ma la storia di Medea è anche lo specchio della società greca, ma in generale di tutte le società costituite, che teme e rigetta il ‘diverso’, o, come la definisce Violante, l’estranea. Un evento unico, che debutterà in prima nazionale nel luogo di culto della Chiesa di San Domenico a Palermo dove riposano le spoglie di Giovanni Falcone, e che lega insieme due mitologie, quella arcaica greca e quella contemporanea degli eroi morti per mano di mafia.
“Maga, che è quasi come dire fattucchiera, dea o semidea, assassina, riscattatrice degli assassinati di mafia…”. Così la definisce Violante nel secondo impegno drammaturgico che lo vede, dopo il successo di Clitemnestra della passata stagione, ad affrontare il mito greco da una nuova ed entusiasmante angolazione. “Vorrei meglio definirla di fronte al calcolatore e positivista Giasone come colei che sa scegliere le erbe, sa leggere le parole del vento, conosce le virtù dell’alba e sa scrutare nei misteri della notte; al freddo calcolo di Giasone contrappone non solo il miserabile destino dei figli, ma un’altra visione del mondo nella quale ci sono le consapevolezze dei misteri e degli unknown (non trovo in questo momento altra parola), i sentimenti come fattori determinanti della umanità (anche i lupi calcolano ma non hanno il mistero).” Quella di Violante vuole essere una Madre, Regina, Maga semidivina che compie l’efferato gesto infanticida per sottrarre i figli ad una schiavitù, condannata ad un esilio eterno rinnova l’efferatezza del suo crimine ad un impietrito Giasone per approdare infine nella terra del fuoco, una terra a tre punte, la Sicilia, per incontrare altri ‘estranei’ che cercano una ragione al lacerante dolore della perdita dei propri figli.
“Chi è Medea oggi? Quando insieme a Luciano Violante e Viola Graziosi abbiamo affrontato lo scorso anno Clitemnestra – dichiara il regista Giuseppe Dipasquale – mi nacque subito l’idea che se la regina di Micene si fosse trovata a vagare nei secoli approdando ai giorni nostri, non potesse che essere una figura simile ad Alda Merini, poetessa e regina dell’anima della contemporaneità. Per Medea, che Violante sottopone allo stesso meccanismo di translazione temporale, l’idea è del tutto opposta. La regina della Colchide è una leonessa ferita, è l’incarnazione del felino e del femmineo eterno che opera per giustizia naturale. Ecco, questa nostra Medea è come il felino che sopprime i cuccioli più deboli e malati per sottrarli alla sofferenza della quasi impossibile sopravvivenza nella giungla degli uomini”. Un salto nella contemporaneità che permane nell’alveo di una tragica mitologia e che ha fatto del tragico eccidio mafioso, con l’emblema degli emblemi nella perdita di Giovanni Falcone, un atto dove “Il divino e l’umano si intrecciano perdendo i confini e laghi di sangue si scoprono negli sterminati campi di grano”.
“Medea ci fa attraversare la sua storia,” – dice Viola Graziosi – “si espone, nella sua ferocia e fierezza, nella dignità di donna-leonessa, e chiama il pubblico a sentirsi parte. Quando sale sul carro del sole, viaggia alla ricerca di una terra a tre punte, si fa testimone dell’Apocalisse perché “è finito il tempo della misericordia”, si fa monito urgente e necessario. Le parole di Violante sono scolpite, richiamano la nostra memoria, sono parole d’amore, un grido di speranza. Il teatro è la scena del mondo. Il resto è silenzio”.
A tessere musicalmente la drammaturgia di Violante il regista ha scelto il Requiem di Giuseppe Verdi, che Giovanni Falcone era solito ascoltare. Una tromba, a suggellare l’ultima parola del testo pronunciato da Viola Graziosi, suonerà le note del “silenzio d’ordinanza”, eseguito dal maestro Trombettiere in uniforme della Banda musicale della Polizia di Stato per fare memoria di tutti quei figli caduti al servizio del Paese.