Presentato in Concorso alla 77. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, giovedì 16 giugno arriva nelle nostre sale l’appassionato Amanti, il film in tre atti diretto da Nicole Garcia che esplora un triangolo amoroso formato da tre grandi interpreti: Pierre Niney, Stacy Martin e Benoît Magimel.
Il film
Lisa (Stacy Martin) e Simon (Pierre Niney) sono appassionatamente innamorati fin da quando erano adolescenti e conducono, a Parigi, la vita notturna tipica della loro età. Una sera si verifica una tragedia, a causa delle attività illegali di Simon. Il ragazzo rischia la prigione, così decide di lasciare la Francia. Lisa attende invano sue notizie. Tre anni più tardi, lei è ormai sposata con il facoltoso Léo (Benoît Magimel), ma i destini dei due giovani si incrociano di nuovo su un’isola nell’Oceano Indiano.
Nicole Garcia
Per entrare nelle dinamiche del film, vi presentiamo un estratto dell’intervista rilasciata dalla regista Nicole Garcia a Guillaume Poix.
Perché raccontare la storia in tre atti?
Tre atti, tre personaggi, tre luoghi. Forse un’eco geografica del triangolo amoroso. Più concretamente, questo ritmo ternario ci ha permesso di giocare con le ellissi della storia, di scavare nelle personalità, nelle emozioni e nei segreti degli amanti che subiscono il passare del tempo. Durante tutto il film, si parla tanto dei sentimenti nel presente quanto del loro posto nei ricordi dei personaggi, dove la fonte è più misteriosa.
La morte fa il suo ingresso nel primo atto. Perché questa carta viene giocata così prematuramente?
Lisa e Simon sono giovani, sono belli, si sono sempre amati. È quasi troppo. Vengono subito messi di fronte alla prova della morte. È un incidente, ma Simon non vuole chiamare i soccorsi. Questo renderà la sua coscienza sporca durante tutto il film. Entrambi ripuliscono il luogo come se fosse una scena del crimine dopodiché la loro relazione si interrompe. Da quel momento, anche nelle limpide e belle acque dell’Oceano Indiano, sappiamo che l’oscurità non svanirà. È un tatuaggio, l’impronta indelebile del momento fatale che hanno vissuto insieme e che non potranno cancellare.
Ci parli della sua eroina, Lisa. Chi è?
Dei tre personaggi principali, lei è probabilmente la più ambivalente. Stacy Martin le ha donato una malinconia personale, un apparente distacco che trovo molto indicato. Scopriamo che Lisa è molto dipendente da Simon perché lui è il suo passato e – crede lei – il suo futuro. Quando Simon la abbandona, lei cade a pezzi. La sua delusione è abissale. Scivola in uno stato di prostrazione e disperazione. Poi arriva Léo, il secondo uomo. Può rimetterla in sesto con la forza del suo amore e calmarla con il potere del denaro. Come Simon, Lisa proviene da un modesto contesto sociale di periferia, e improvvisamente si trova a cavallo dell’abisso tra questi due mondi. Da una mediocre scuola alberghiera agli hotel di lusso, la sua metamorfosi sembra riuscita. Può aver amato un primo uomo e lasciarsi amare da un secondo. “Come tu mi vuoi”, scriveva Pirandello. Lisa sarà come gli altri vogliono che sia. Fino al giorno in cui Simon riappare. Rivivrà quell’amore folle e intatto che sente dentro? O è ormai “gravata” dalle comodità del lusso e del denaro? Può tornare indietro? O desidera possedere tutto, ormai lontana dal distacco che mostrava all’inizio del film? È preda di questi due uomini o sta confusamente cercando di sfuggire alla loro morsa? I personaggi femminili dei miei film sono spesso maltrattati, umiliati dagli uomini, sballottati dalle fantasie che essi proiettano su di loro. Hanno le spalle al muro. Perdendo sé stessi, cercano sé stessi. Forse, alla fine, Lisa ha trovato sé stessa, da sola.
E Simon?
Simon è un personaggio tragico. E quello che ancora mi preoccupa è che non lo sapevo quando stavo scrivendo. Perlomeno, non ne avevo dato questa definizione. Era il personaggio a me più lontano. Non potevo descrivere la sua oscurità, la sua malinconia. È stato quando Pierre Niney l’ha girato verso il lato tragico che tutto il film mi si è rivelato. Può fuggire all’altro capo del mondo, ma la sua coscienza colpevole lo condanna al fallimento. Quando trova Lisa, che è entrata in un altro mondo, trova in questa umiliazione la traccia della sua colpevolezza. Ma non può tornare indietro. La segue a Ginevra, gli viene offerta una piccola vita, una stanza, un cappotto. Cerca di risolvere l’equazione impossibile del loro amore. Il suo conflitto con Léo è ulteriormente alimentato dalla sua inferiorità sociale. È lui il dominato.
Di fronte a entrambi, come un toro sensibile, Benoît Magimel abita potenti contraddizioni.
Benoît Magimel è stato per me un altro grande alleato. In Léo, impone la figura di un uomo d’affari taciturno, brutale nei suoi silenzi, violento, dominatore, pervaso del suo potere sociale. In lui c’è però anche una dolcezza, una fragilità e un amore incondizionato per Lisa. Anche quando prevede il complotto di cui sa di essere il bersaglio, continua ad amarla. Il magnetismo di Benoît Magimel rafforza il personaggio di Léo. Sublima la grazia e la fredda furia degli uomini che amano senza essere ricambiati.
Nonostante il suo slancio romantico, la voluttà delle ambientazioni e della fotografia, il film è radicato al duro contesto sociale del mondo di oggi.
Duro, persino amaro, sì. Il film ha inizio nella vita urbana e notturna dei giovani d’oggi, dove il denaro circola velocemente e freddamente. Poi si rivelano altri mondi, altri vincoli sociali. Altre barriere che diventeranno umilianti quando uno dei due innamorati avrà voltato le spalle al suo mondo di origine. Sia nelle relazioni sociali, sempre più taglienti, che in quelle più intime, siamo tutti feriti da questa durezza del mondo dove non possiamo più giocare senza farci del male. Questo è, credo, quello che il film vuole dire sul nostro presente.