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Speranza e tenacia in Piccoli Così, il documentario di Angelo Marotta sui bambini nati prematuramente

Piccoli Così è il titolo del documentario di Angelo Marotta che sarà nelle sale da domani giovedì 22 gennaio. Un’opera toccante che racconta le esperienze di bambini e ragazzi nati prematuramente. Storie che ci parlano di un mondo sconosciuto, si snodano e si intrecciano in un racconto corale e denso di emozioni, ci interrogano sul presente e sul futuro, ci forzano a ripensare la nostra stessa esistenza.

Piccoli Così è un film documentario nato dal desiderio del regista di raccontare e condividere la propria esperienza di padre di una bimba nata molto prematuramente. Rita (in copertina), nata a 23 settimane di gestazione, pesava alla nascita solo 500 grammi ed è cresciuta per 4 mesi in un’incubatrice della Terapia Intensiva Neonatale dell’ospedale San Camillo di Roma. Oggi è una bambina di 6 anni dai grandi occhi blu.

Il documentario inizia proprio con Rita, che torna con suo padre in ospedale, nel reparto di Terapia Intensiva, a vedere com’era quand’è nata. E’ a partire da questo ‘corto circuito’, dalla necessità di mettere in relazione la propria nascita con la propria esistenza, che via via si snodano , in alcuni casi intrecciandosi con la storia di Rita, le storie dei piccolissimi Arianna, Aisha, Luca e Manuel, ancora nelle loro incubatrici in Terapia Intensiva; le storie di Ascanio e Vittoria, i due piccoli amici di Rita nati prematuramente nello stesso reparto nello stesso periodo, e le storie di Laura e Antoine, nati ‘piccoli così’ 18 e 15 anni fa.

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Insieme a loro, in un racconto corale, ci sono i genitori di tutti i protagonisti, con il loro carico di sentimenti,  emozioni, preoccupazioni, dubbi, certezze e speranze. Se i genitori e i piccoli in Terapia Intensiva – dove niente può essere dato per scontato – raccontano che si deve imparare a vivere il presente per riuscire a stabilire una relazione con i propri piccoli, i genitori dei bambini ormai cresciuti raccontano che per affrontare e superare questa esperienza e le sue conseguenze è fondamentale essere ‘insieme agli altri’, avere il coraggio e la forza di “condividere – come in un miracolo – le cose negative, per poter moltiplicare quelle positive”.

E così il futuro arriva, quel futuro apparentemente impossibile da immaginare quando si è in Terapia Intensiva, e si materializza nelle storie dei ragazzi ormai grandi, che raccontano, con i loro genitori, di come la propria nascita sia stata determinante per poter “guardare” alla vita con occhi nuovi.

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Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità sono pretermine i bambini nati sotto la 37a settimana di gravidanza. Oggi il 10% dei bambini nasce prima del tempo. Ma i prematuri di cui racconta il documentario sono quelli nati prima delle 32 settimane, che pesano meno di 1500 grammi, particolarmente piccoli e più a rischio di morte e/o di patologie importanti. La Terapia Intensiva Neonatale (TIN) è il reparto – sempre attivo – dove finiscono tutti questi bambini. Un reparto sconosciuto, se non ci si capita, di cui si ha poca notizia perfino negli altri reparti dell’ospedale e di cui la società sa poco o niente. Nella TIN i piccoli stanno nelle incubatrici, con dei pannolini più grandi di loro, con un berretto e le calzette di lana, perché il calore è per loro prezioso e non va disperso.

Sono attaccati ad una macchina che li aiuta a respirare, pieni di cannule e tubicini. Hanno la pelle così sottile e trasparente che si rischia di strapparla via con un cerotto. Sono sottoposti a manipolazioni invasive, a trasfusioni, a interventi chirurgici, sono esposti al dolore e alla morte. Gli unici a essere ammessi in questo “utero ipertecnologico”, una vera e propria “terra di mezzo”, sono i genitori dei bambini ricoverati.

3Quello che mi sono chiesto ogni giorno senza tregua  – e che oggi, più lucidamente, mi tiene allerta – è: come posso entrare nel mondo di Rita? Se è con la sua “incompletezza” che dobbiamo fare i conti, se proprio sotto i nostri occhi si sta formando il suo “requisito minimo di vita”, noi genitori dove siamo? Qual è il limite, o la soglia che devo attraversare per poterla raggiungere e poi tornare? Mi butto a capofitto, ma devo muovermi piano…”. Sono queste le riflessioni che si è posto il regista del film, Angelo Marotta.

Alla fine del mese di maggio 2008, sua figlia veniva alla luce con quattro mesi d’anticipo: “la prematurità di Rita non ha messo in discussione la nostra identità, bensì la nostra posizione nel mondo e il modo in cui avremmo potuto mantenerla. La sua nascita silenziosa aveva la forza di scuotere il mio edificio matrimoniale e personale costruito in così tanti anni, e apparentemente solido. Da quel momento sarebbe esistito un “prima” e un “dopo” e il dopo cominciava e finiva ogni giorno dentro l’Unità di Terapia Intensiva Neonatale”.

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Marotta racconta l’esperienza di quel reparto sconosciuto a tutti: “Prima non sapevamo neanche che un simile posto potesse esistere: perché avremmo dovuto? Il Reparto era pieno di tanti altri bimbi, stracolmo di altre vite scivolate, senza che nessuno degli altri genitori avesse avuto la benché minima idea della sua esistenza. Mamme e papà stretti gli uni agli altri, a farsi forza, abbarbicati alle notizie, tesi sul filo, tra il fallimento e la speranza. Si può nascere così, quindi, accolti in un grande “utero iper-tecnologico” e a suo modo amorevole. Nei mesi avremmo imparato, ognuno a modo proprio, che quando le cose non sono più scontate e ogni giorno è una conquista, una piccola vittoria, tutta la vita ne esce cambiata radicalmente”.

“Rita ci ha preso per mano – invero, ci ha preso per il dito – e ha creato letteralmente lo spazio delle possibilità intorno a noi”

Angelo Marotta