Era il 21 dicembre 1984 quando Non Ci Resta Che Piangere, film scritto, diretto e interpretato in coppia da Roberto Benigni e Massimo Troisi, entrambi poco più che trentenni, uscì nelle sale italiane. L’irresistibile viaggio nel passato di Saverio e Mario, alle prese con Savonarola e con Leonardo, piacque così tanto al pubblico da diventare il campione di incassi nella stagione. Da ricordare le partecipazioni di Paolo Bonacelli, Carlo Monni, Elisabetta Pozzi e Amanda Sandrelli, tra gli interpreti, insieme alla fotografia di Giuseppe Rotunno e alle scene di Francesco Frigeri.
Sono passati poco più di trent’anni da quando la strana coppia comica (Napoli-Firenze andata e ritorno) si sperdeva in quel di Frittole e finiva nel Quattrecento, quasi Cinquecento. Per festeggiare, la commedia che sbancò il botteghino nell’annata 1984-85 torna al cinema in edizione completamente restaurata. Tre giorni in sala, uno per ogni decade trascorsa: 2-3-4 marzo.
Saverio, maestro alle elementari (Roberto Benigni) e Mario, bidello napoletano (Massimo Troisi), si ritrovano per un bizzarro scherzo del destino catapultati indietro nel tempo: siamo nel 1492 a Frittole, da dove i due amici partono alla volta della Spagna con l’intento di impedire a Cristoforo Colombo di scoprire l’America.
Di lavoro Mario fa il bidello, ed è proprio a scuola che ha conosciuto Saverio di cui è divenuto amico e confidente. Con l’arrivo inaspettato dei due amici a Frittole “nel 1400 quasi 1500″, scopriamo subito il suo lato fragile e pauroso. Mario ha un animo garbato.
La sua dolcezza e timidezza gli consentiranno di occupare un posto di rilievo non solo nel cuore della vedova Parisina, ma forse anche in quello della bella Pia. Memorabile il tentativo di corteggiare quest’ultima con una personalissima interpretazione di Yesterday dei Beatles in un inconfondibile accento napoletano.
Saverio è un maestro elementare. Quando lo conosciamo è preoccupato per la sorella Gabriellina, abbandonata dal fidanzato americano. Catapultato nel 1492 mostrerà grande spirito di adattamento: sarà lui a decidere di scrivere a Savonarola per liberare Vitellozzo.
E sempre lui convincerà l’amico a partire per la Spagna nel tentativo di fermare la partenza di Cristoforo Colombo e la scoperta dell’America, causa – tra le altre cose – delle pene della sorella. Toscano verace, Saverio è simpatico, curioso, colto, con un’ideologia politica molto chiara.
Una commedia immortale con un titolo scelto tra gli scritti del Petrarca, come spiegò lo stesso Roberto Benigni: «a Troisi dicevo “ti leggo una poesia dimmi quale ti piace di più per il titolo”. Arrivato a Non ci resta che piangere mi fermò dicendo “questa mi piace“». Una scelta condivisa, dunque, nata dall’empatia tra i due che si respira ogni volta che condividono lo schermo.
Fratelli figli di regioni diverse, Massimo e Roberto parlano la stessa lingua, che trascende le melodie del dialetto napoletano e l’accento di Vergaio: sono due comici gemelli, o per meglio dire complementari. O, più semplicemente, due amici. ed è proprio questa è la formula magica di questo film, l’amicizia.
Dopo quel film sono successe tante cose belle; tra indimenticabili momenti di televisione, e statuette consegnate da Sophia Loren (con quel «Robberto!» gridato a pieni polmoni che sancì il trionfo de La vita è bella); tra gag passate alla storia e letture dantesche. Tante cose belle, e un evento terribile: la scomparsa di Massimo Troisi.
Una morte prematura, che ci ha strappato «la gioia di bagnarsi in quel diluvio di “jamm, o’ saccio, ‘naggia, oilloc, azz!» come ama ricordare l’amico Roberto. Una ferita per il cinema, e per gli spettatori che si erano affezionati a questa maschera divertente e malinconica al tempo stesso. Sapeva far ridere, Troisi: un talento raro, che unito all’esuberanza “toscanaccia” di Benigni diventava una miscela esplosiva.
Ma nonostante tutto le risate non hanno età, e Non Ci Resta Che Piangere ne è la prova: è per questo che una pellicola dove i protagonisti si smarriscono nel tempo è riuscita a diventare un cult senza tempo.
«Un film nato da quel sentimento che è così uguale e così distante dall’amore che è l’amicizia… nato proprio dal fatto che siamo invincibili, quando c’è questa armatura fragilissima, trasparente dell’amicizia, del volere costruire insieme una cosa. Eravamo allegri e ognuno poi si appoggiava sull’altro»
Roberto Benigni