In occasione del V Centenario della nascita della mistica spagnola (28 marzo 1515 – 28 marzo 2015), andrà in scena dal 31 marzo al 12 aprile al Palazzo della Cancelleria di Roma il progetto teatrale Un Castello nel Cuore. Teresa d’Avila, uno spettacolo – realizzato in collaborazione tra Argot Produzioni, il Movimento Ecclesiale Carmelitano, la Provincia Veneta dell’Ordine Carmelitano – scritto da Michele Di Martino, diretto da Maurizio Panici e interpretato da Pamela Villoresi. Vissuta nella Spagna del “siglo de oro”, Teresa de Haumada, poi nota con il nome religioso di Teresa di Gesù, è tra le più grandi sante di tutti i tempi: beatificata già nel 1614 e canonizzata nel 1622, nel 1970 fu proclamata Dottore della Chiesa da Paolo VI, prima donna in assoluto ad essere insignita con questo titolo. Un riconoscimento dovuto al suo percorso spirituale, costellato da numerosi fenomeni mistici, provato da varie sofferenze e segnato da concretissima intraprendenza per la Riforma del Carmelo, con la fondazione di 13 nuovi monasteri e la riforma del ramo maschile poi affidata a Giovanni della Croce.
Una vicenda spirituale quella di Teresa d’Avila che si dimostra ancora oggi sorprendentemente attuale, anche rivolgendosi ad un pubblico laico. Questo non solo perché si tratta dell’avventura di una donna eccezionale – in tempi difficili per le donne – che ha saputo segnare con la marcata femminilità ogni attività in cui si è spesa. Ma perché da sempre il fascino e la forza della sua vita hanno suscitato un importante interesse nel pensiero e nella letteratura moderni. Così negli scritti di Cervantes e di Lope de Vega, di Balzac e di Hugo, di Rilke, Garcia Lorca e Fogazzaro; nelle opere integrali a lei dedicate, come quelle dello Schneider, di West, Olaizola e Dobraczynnsky; nelle originali riletture di Baroja e Kristeva (quest’ultima, tra gli autori contemporanei più conosciuti, se pur con un taglio discutibile le ha dedicato un poderoso volume intitolato Teresa, Mon Amour).
Nè potrebbero essere dimenticati gli echi, nella letteratura e nel pensiero moderni, dell’uso della simbolica del castello: intuizione ripresa da molti per la descrizione del mondo interiore, proprio o altrui, spesso per dirne il dramma di un difficile, se non impossibile, accesso all’“io”. Così accade, ad esempio, nel breve poema di Pablo Neruda, intitolato El Castillo Maldito; ma così anche nella clinica dei Sette Piani di Dino Buzzati (speculari alle sette dimore di Teresa), un racconto che si presta ad analisi antropologiche e spirituali simili a quelle de Il castello di Kafka e del brano intitolato La Stanza Segreta che P. Valéry ha lasciato nei suoi Diari. Ma Teresa d’Avila ha interessato in profondità anche il mondo dell’arte, come nell’opera di artisti del calibro di G. Bernini (con la sua celeberrima “Estasi”), P.P. Rubens, B. Guidobono, M. Unterberger, F. Torelli, Salvador Dalì e M. De Unamuno, il quale, con fierezza tutta spagnola, non ha avuto timore di affermare: «Altri popoli ci hanno lasciato soprattutto istituzioni, libri: noi abbiamo lasciato anime. Santa Teresa vale per qualsiasi istituzione, per qualsiasi “Critica della ragion pura”».
Michele Di Martino è rimasto colpito da due aspetti cruciali della santa di Avila. È lui stesso a spiegarli: “il primo si riferisce agli episodi della sua esistenza narrati soprattutto nella “Vita”, e ci dà l’immagine di una donna forte, affabile, concreta, la cui grande simpatia e “buon umore”, hanno contribuito alla diffusione popolare, sotto forma di aneddoti, di momenti genuini e quotidiani di vita vissuta. Il secondo aspetto è quello dell’esperienza mistica dell’anima, della sua ricerca e della fusione con Dio, descritta in quell’ultimo frutto della sua maturità umana, letteraria e spirituale che è il “Castello interiore”: l’ “inabitazione” di Dio nel centro del castello, che è pure centro dell’anima, è, infatti, la verità sperimentata da Teresa e costituisce la chiave della sua spiritualità, della sua fede”.
L’impianto drammaturgico che ha elaborato, con il sostegno di padre Sicari e padre Silvestri, mantiene questi due aspetti che si richiamano continuamente l’un l’altro, si intrecciano indissolubilmente, attraversando il cammino esistenziale e spirituale di Teresa. La struttura simbolica del Castello, costituita da sette stanze, è il cardine della tessitura drammatica dell’opera e da essa si dipana sia la storia dell’incontro tra l’anima e Dio, sia la narrazione di momenti cruciali dell’esistenza di Teresa. Per la scrittura Di Martino spiega: “ho scelto un linguaggio dai toni colloquiali e lievemente musicali, composto in versi liberi, a volte più ricercato nelle soluzioni e nelle forme stilistiche. Nel testo sono inserite alcune espressioni e parole in spagnolo per un contatto più diretto con la scrittura dei testi originali”.
Pamela Villoresi, fin dal primo giorno in cui capitò ad Avila, nel 1980, è rimasta colpita dalla sua figura: “vidi Teresa, volto al cielo, all’ ingresso del borgo e delle sue chiese, col marmo bianco che spiccava vivo e luminoso sullo sfondo di rocce rosse, capii che era avvenuto un incontro, che da lì iniziava, per me, un cammino. Non mi sentivo pronta ad afferrarne la vastità, ma ne rimanevo irrimediabilmente attratta. Riprovavo dopo qualche anno e ogni volta scoprivo qualcosa in più, ma altro si celava”.
Per la Villoresi, “l’opera di questa donna piena di fede, amore, forza, umiltà e coraggio, mi metteva davanti alla mia inadeguatezza. Mi sentivo ancora fuori dal castello interiore, dal diamante; ne intravedevo solo la luce e la complessità: la via era nebulosa ma non aveva ritorno”. Dal punto di vista attoriale, riguardo allo spettacolo afferma: “abbiamo scoperto l’arte dell’attesa, più spesso che parlare ascoltiamo. La nostra professionalità è chiamata a rendersi disponibile senza intervenire. E quando ci sembra di aver trovato una soluzione scenica giusta, non dobbiamo far altro che pulirla di qualsiasi orpello. Tutto dev’essere semplice, sincero, assoluto. Ricerco un po’ della sua luce per riuscire a interpretarla viva, forte, umile… insomma per renderla al meglio della sua straordinaria Grazia e Potenza”.
Quello di S. Teresa è dunque un viaggio affascinante anche per l’uomo contemporaneo, alla ricerca del “sacro” e dell’incontro con Dio nel quotidiano che lo circonda. Un incontro che per Maurizio Panici è “spesso oscuro, ed illuminato solo da piccole epifanie fulminanti e rari momenti di grazia. Una ricerca ancora più sentita e attuale in un tempo “liquido” come il nostro, che sembra negare continuamente una visione di futuro, costringendoci ad un eterno presente, spesso svuotato, superficiale ed opprimente”.
“Il nostro è uno spettacolo che parla della bellezza e della Grazia, ma anche del lavoro e delle fatiche che portano alla consapevolezza di come il cuore umano sia abitato dal mistero stesso di Dio”
Maurizio Panici