Esattamente un secolo fa, il 21 aprile del 1915, a Chihuahua in Messico nasceva un autentico colosso del cinema mondiale: Antonio Rodolfo Quinn-Oaxaca, in arte Anthony Quinn. Naturalizzato statunitense, Quinn è stato per oltre sessant’anni un attore un gigante del grande schermo, grazie al suo fisico imponente. Rude, bestiale, virile e affascinante: Quinn era così nella vita e nel cinema. Capace, nella vita privata, di avere ben tredici figli da diverse donne e capace, sul set, di vincere anche due Oscar come Miglior Attore Non Protagonista, riuscendo a lasciare un segno indelebile sia a Hollywood che a Cinecittà.
Anthony Quinn nasce nel bel mezzo della Rivoluzione Messicana dalla madre Manuela “Nellie” Oaxaca, di origine azteche, e da Francisco Quinn, il suo papà che era per metà irlandese e per metà maya. Il giovane Quinn cresce nei pressi di Los Angeles, a Boyle Heights. La scuola non gli piace, non lo appassiona, e per questo decide di abbandonarla presto per dedicarsi alle sue passioni: la boxe e la pittura. Sport e Arte, fisico ed emozione. Due caratteristiche che lo contraddistinguono e che lui vorrebbe comunicare attraverso la recitazione.
Così, dopo un’iniziale esperienza in Teatro, comincia la sua avventura nel cinema nel 1936 con Parole, interpretando un personaggio marginale alla storia. Anche nelle pellicole successive, tra cui La Via Lattea, resta in secondo piano. La Paramount lo nota e, nel corso degli anni Quaranta, lo relega a diversi ruoli etnici, grazie ai suoi lineamenti particolari.
La provenienza “mista” dei suoi genitori lo ha infatti portato a girare, oltre 50 film già nel 1947, in poco più di un decennio di cinema. Seppur non ancora famoso, era diventato un veterano, capace di diventare attraverso i suoi personaggi: un indiano, un mafioso, un hawaiiano, un indipendentista filippino, un guerrigliero cinese, uno sceicco arabo. È in teatro che comincia ad arrivare un po’ di notorietà. Soprattutto grazie al discreto successo dell’opera Un Tram Che si Chiama Desiderio, andata in scena per tre anni a Broadway. Lui interpreta Stanley Kowalski, lo stesso personaggio che darà la fama a Marlon Brando.
Agli inizi degli anni Cinquanta torna al cinema, sempre in film minori, come La Maschera del Vendicatore (1951). Ma la svolta è dietro l’angolo: l’anno successivo riesce infatti a partecipare al film Viva Zapata! di Elia Kazan, recitando accanto a Marlon Brando: la sua interpretazione come fratello di Emiliano Zapata gli frutta il suo primo premio Oscar e una considerazione diversa delle sue capacità artistiche. Da quel momento i ruoli che gli verranno assegnati diventano ben più significativi.
Nel 1953 si trasferisce in Italia e recita in molti film prodotti a Cinecittà, tra cui Ulisse (1954) di Mario Camerini, nel ruolo di Antinoo. Nello stesso anno regala un’interpretazione magistrale ne La Strada di Federico Fellini, film premiato con l’Oscar come Miglior Film Straniero. Sullo schermo vediamo un indimenticabile Anthony Quinn nel ruolo del rozzo e forzuto Zampanò, un saltimbanco che girovaga tra i paesi più poveri di dell’Italia ancora contadina e ingenua degli anni Cinquanta.
Come un fenomeno da baraccone lo vediamo esibirsi in improbabili prove di forza. A seguirlo, quasi come un cane, c’è Gelsomina (una poetica e commovente Giulietta Masina). Quest’ultima cerca di intenerire il suo animo burbero e ‘bestiale’, senza successo. Quando Zampanò ucciderà un acrobata sotto i suoi occhi, Gelsomina rimarrà traumatizzata. Dopo essersi preso cura della ragazza per un breve periodo, Zampanò deciderà di abbandonarla lungo una strada deserta e continuerà, da solo, a vagabondare per l’Italia. Quando qualche anno dopo verrà a sapere della morte di Gelsomina, Zampanò scoppierà a piangere, solo e sconsolato, in riva al mare. Un memorabile finale struggente.
Tornato in patria, nel 1956 vince il suo secondo premio Oscar, sempre come non protagonista, interpretando il pittore Paul Gauguin in Brama di Vivere (1956) di Vincente Minnelli, al fianco di Kirk Douglas. L’anno successivo riesce anche ad ottenere una candidatura per l’Oscar al miglior attore grazie al ruolo di protagonista in Selvaggio è il Vento (1957) di George Cukor. Del 1958 è la sua unica regia, I Bucanieri. Alla fine degli anni cinquanta il suo fisico però non è più scolpito come quello di una volta. Sempre più lontano dal “macho” e con i capelli ingrigiti, Anthony Quinn deve reinventarsi in nuovi ruoli.
Uno di questi è l’ex-colonnello e combattente per la libertà greca Andrea Stavrou ne I Cannoni di Navarone (1961), l’ex-boxeur Louis ‘Mountain’ Rivera in Requiem per un Peso Massimo (1962) e il beduino Awda Abū Tayy in Lawrence d’Arabia (1962). Nel 1964, il successo di Zorba il Greco diventa il punto più alto della sua carriera durante gli anni sessanta e gli frutta un’altra nomination all’Oscar. Col finire del decennio la sua forza interpretativa perse però vigore, i successi diminuirono e apparve solo in alcune serie televisive e in pochi film.
Nel 1980 partecipa al discusso film Il Leone del Deserto (censurato per quasi trent’anni in Italia), nei panni del capo beduino Omar al Mukhtar, mentre nel 1983 rivisita il suo personaggio più famoso recitando in una versione musical di Zorba, che a Broadway rimase in cartellone per 362 spettacoli. Nel 1994 interpretò Zeus nella serie tv Hercules; la sua carriera cinematografica era ormai a una stasi, ma continuò a lavorare in film come Jungle Fever (1991) di Spike Lee, Last Action Hero (1993) di John McTiernan, e Il Profumo del Mosto Selvatico (1995) di Alfonso Arau.
Poco dopo la sua ultima interpretazione in Avenging Angelo (uscita postuma nel 2002), Anthony Quinn morì all’età di 86 anni a Bristol (Rhode Island), dove aveva trascorso l’ultima parte della sua vita e dove è oggi sepolto in una cripta di famiglia.
Attore e amante della pittura, nella sua vita Anthony Quinn si è dedicato anche alla scultura, diventano un artista apprezzato. Scrisse, da solo e in collaborazione, due memorie: Il Peccato Originale (1972) e One Man Tango (1997), in cui Quinn ha raccontato con estrema sincerità alcuni dei momenti più bui del suo passato.
Non solo bruto, non solo rude. Oltre al fisico, un cuore grande, da artista.