Considerato uno dei più grandi e influenti attori di tutti i tempi, oggi Al Pacino compie 75 anni. Fu la recitazione a salvarlo dalla strada e farlo diventare una stella incontrastata della settima arte. Interprete e protagonista di film cult che rimarranno nella storia del cinema e soprattutto nei ricordi di un pubblico che ha saputo conquistare totalmente. Se il cinema lo ha salvato, lui ha contraccambiato dando tutto se stesso.
Nato a New York il 25 aprile del 1940 e proveniente da una famiglia di origine siciliana, Alfredo James Pacino trascorre una giovinezza travagliata, segnata dall’abbandono del padre e da condizioni di vita molto difficili. Al cominciò a fumare all’età di nove anni e già a tredici aveva avuto esperienze con l’alcool e la marijuana. Soprannominato “Sonny” ma anche “l’attore” per via del suo temperamento, sognava di diventare un giocatore di baseball e non era attratto dagli studi: cresciuto nel Bronx, fu coinvolto in qualche rissa da strada e a scuola era considerato un piantagrane.
Il giovane Pacino presenta numerose lacune scolastiche e viene bocciato più volte finché, all’età di diciassette anni, decide di interrompere definitivamente gli studi. Gli anni a seguire lo porteranno a svolgere numerosi lavori tra cui il facchino, il lustrascarpe e l’operaio. Lasciati gli studi a 17 anni, Pacino svolge diversi lavori prima di dedicarsi a quella che sarebbe diventata la passione della sua vita, la recitazione. Sono gli anni Sessanta e, affascinato dal buon nome della scuola e incuriosito dal metodo di Stanislavskji, Pacino comincia a frequentare l’Actor’s Studio, istituzione resa celebre in passato da icone quali Marlon Brando, James Dean e Marylin Monroe.
Qui, verso la fine del decennio, avviene l’incontro che indirizza definitivamente il suo destino: quello con Lee Strasberg, maestro dell’Actor’s Studio e futuro mentore della sua carriera. “Siamo nella stessa delicata situazione, lavoriamo insieme, quando tu mi trasmetti una cosa io la prendo e poi te la do indietro. C’è un processo comunitario che avviene, e avviene recitando con gli attori, in una piece teatrale o in film, in un qualche modo c’è un vero e proprio bisogno di relazionarsi. Ha molto a che vedere con la fiducia tutto ciò.”
È lo stesso Al Pacino a raccontare il suo approccio con la recitazione in un’intervista tratta dagli archivi della NBC. Appassionato di teatro, autentico animale da palcoscenico, Pacino si cimenta all’inizio degli anni Settanta in piece che vengono rappresentate nei teatri indipendenti di New York. Qui viene notato da Francis Ford Coppola, alla ricerca di un protagonista per il suo nuovo film.
E’ così che nel 1972 lo sconosciuto Pacino diventa in poche settimane il boss Michael Corleone, vera e propria anima de Il Padrino, una delle saghe cinematografiche destinate a segnare la storia del cinema, che lo proietta nel firmamento dei nuovi divi di Hollywood. Il giovane Pacino, ottiene perfino una candidatura all’Oscar come non protagonista, la prima di una lunga serie. Di lì a poco Sidney Lumet lo invita a esplorare nuovamente l’universo della comunità italoamericana offrendogli un personaggio di segno opposto rispetto a quello di Michael Corleone. In Serpico infatti, Pacino racconta uno spaccato della New York turbolenta degli anni Settanta, filtrato attraverso gli occhi di un poliziotto tanto integerrimo quanto anticonvenzionale.
Cruciale nella riuscita del film è il rapporto che Pacino riesce ad instaurare con Lumet, regista di talento e sopraffino conoscitore della psicologia degli attori. Sidney Lumet lo considera come “un’artista appassionato. Sa quello che sta facendo e possiede una tecnica eccezionale, è totalmente coinvolto nella scena”. Serpico vale a Pacino una nuova nomination agli Oscar, questa volta nella categoria di miglior attore, e il primo riconoscimento della sua carriera, la vittoria del Golden Globe come miglior interprete drammatico. Gli anni Settanta costituiscono il vero momento d’oro per Pacino. Ritorna a calarsi nei panni di Michael Corleone per il secondo episodio del Padrino. Un enorme successo e una nuova candidatura all’Oscar segnano il ritorno del boss Italoamericano.
Subito dopo, Pacino torna a far coppia con Lumet per una storia tanto singolare quanto intrigante: quella narrata in Quel Pomeriggio di un Giorno da Cani. “Marty Bergman che aveva prodotto Serpico, mi chiamò e dato che avevamo lavorato così bene in Serpico, Al e io, fu tutto molto naturale.” Lumet parla così dell’inizio delle riprese del film che racconta un fatto di cronaca realmente accaduto e assolutamente sui generis. E’ il colpo ad una banca di Brooklyn tentato dal duo improvvisato di rapinatori Sonny e Sal, e architettato dal primo per pagare al suo compagno di vita il cambio di sesso.
Accanto a Pacino, nella parte di Sal c’è l’amico di una vita, John Cazale, attore dall’enorme talento e dalla vita sfortunata, scomparso tre anni più tardi dopo aver interpretato 5 capolavori. Il film, come spesso è accaduto nella carriera di Pacino, gli ha lasciato ampi spazi per esprimere la sua capacità unica di recitare improvvisando. Anche per questo film Pacino ottiene una candidatura all’Oscar. I film successivi, come Scarface di Brian De Palma e Dick Tracy di Warren Beatty , imprimono nell’immaginario degli spettatori di tutto il mondo nuove performance indimenticabili.
Pacino deve però aspettare il 1993 per ottenere un Oscar, riconoscimento ottenuto per Scent of a Woman – Profumo di Donna. E’ la toccante interpretazione di un non vedente, il tenente colonnello Frank Slade, a valergli la conquista della preziosa statuetta. Un riconoscimento dal retrogusto italiano, essendo il film un remake di Profumo di donna di Dino Risi, interpretato all’epoca dal grande Vittorio Gassman.
Nello stesso anno torna a lavorare per Brian De Palma nel cult Carlito’s Way mentre due anni dopo lo troviamo in Heat – La Sfida un simbolico film in cui si scontra con un altro mostro sacro di Hollywood, Robert De Niro. Una pellicola diretta da Michael Mann che lo chiamerà nel 2000 anche per il bellissimo Insider, al fianco di Russel Crowe.
Nel 1997 ritorna nell’universo del crimine italoamericano di New York con Donnie Brasco. E’ attraverso il personaggio di Lefty Ruggiero, malavitoso della famiglia Bonanno, che Pacino riesce a instaurare un rapporto paterno, dove la realtà filmica si mescola con quella attoriale, con l’agente infiltrato Donnie Brasco, interpretato dal giovane ‘erede’ Johnny Depp.
E’ poi nel successivo Ogni Maledetta Domenica (1999) che Al Pacino, sotto la guida vigorosa di Oliver Stone, regala una delle performance più riuscite nella storia dei film sportivi. Perfettamente calato nella parte del manager Tony D’Amato, si cimenta in un monologo motivazionale che viene ancora oggi utilizzato dagli allenatori di vari sport per spronare i propri giocatori. Minori e di scarso successo i suoi successivi lavori degli anni Duemila. Ricordiamo S1mone, Il Mercante di Venezia: ed è proprio nel Lido che lo scorso settembre è tornato con due film, Manglehorn e The Humbling.
Padre di tre figli, due dei quali avuti a sessanta anni, Pacino ha sempre concentrato le sue energie nel lavoro, alternandosi tra cinema, teatro, televisione e interessanti esperimenti registici. L’eterna giovinezza di un artista sempre alla ricerca di nuove sfide per alimentare la sua arte sopraffina.
“Cerchi sempre di fare film che possano piacere alle persone, è parte di quello che facciamo ed è sempre meraviglioso far parte di film che sono in testa al box office…alla fine, però, avrai successo solo in base a come tu riuscirai a lavorare sul personaggio…”
Al Pacino