È da oggi nelle sale italiane Vulcano (Ixcanul), l’opera prima di Jayro Bustamante salutata come uno dei film-rivelazione dell’ultima Berlinale, dove ha vinto l’Orso d’Argento – Alfred Bauer Prize. Ambientato in Guatemala, nel cuore di comunità di etnia maya, Vulcano racconta un mondo sospeso tra credenze ancestrali ed echi lontani di modernità.
Maria (Maria Mercedes Coroy), una ragazza maya di 17 anni, vive e lavora con i suoi genitori in una piantagione di caffè alle pendici di un vulcano attivo, in Guatemala. Nonostante sogni di andare nella “grande città”, la sua condizione non le permette di cambiare il proprio destino: a breve la aspetta un matrimonio combinato con Ignacio (Justo Lorenzo), il supervisore della piantagione.
L’unica via d’uscita si chiama Pepe (Marvin Coroy), un giovane raccoglitore di caffè che vorrebbe andare negli Stati Uniti: Maria lo seduce per poter fuggire insieme a lui, ma dopo promesse e incontri clandestini, Pepe se ne va e la abbandona incinta. Più tardi, il morso di un serpente la costringerà a raggiungere quel “mondo moderno” che ha sognato così tanto, e che le salverà la vita. Ma a che prezzo?
Jayro Bustamante, che ha scritto, diretto e prodotto il film, ha trascorso l’infanzia sugli altipiani del Guatemala, la terra dei Maya, circondata di vulcani e permeata di antiche tradizioni indigene: “da piccolo – racconta Bustamante – attraversavo le montagne insieme a mia madre, accompagnandola nelle sue campagne sanitarie, che consistevano nel convincere la donne maya a vaccinare i loro bambini. Cercare di instaurare dei rapporti amichevoli tra le comunità maya e mestizo (meticcie) era un’impresa davvero ardua. In molti casi, i maya non parlavano spagnolo e le montagne erano una regione pericolosa a causa del conflitto armato che in quel periodo insanguinava il Paese”.
Quando anni dopo, insieme a sua madre, scoprì che alcuni funzionari sanitari pubblici erano coinvolti nel sequestro di bambini maya, contribuendo così a spezzare legami costruiti con grande difficoltà e sacrifici nel corso degli anni, Bustamante decise di farne un film.
Le comunità che abitano gli altipiani guatemaltechi dove il regista è cresciuto sono sempre stati afflitti da un elevato tasso di discriminazione e hanno subito il violento impatto del traffico di minori nel corso del conflitto armato che ha flagellato il Paese e anche oltre (1960-1996).
Del resto il rapimento di bambini in Guatemala non è un segreto, come spiega il regista: “con soli 14 milioni di abitanti, è diventato il principale paese esportatore di bambini nel mondo. L’ONU riferisce di 400 sequestri di minori ogni anno, portati a termine in condizioni di assoluta impunità. È una problematica molto vasta e oscura che implica la responsabilità di numerosi soggetti, tra cui funzionari pubblici come notai e giudici, oltre a medici, direttori di orfanotrofi e molti altri”.
L’interesse di Jayro Bustamante, malgrado la capillarità e la risonanza del problema, si è focalizzato sulle madri, vittime di questa aberrazione: “ho parlato delle donne indigene in generale, della loro vita, della loro comunità e della loro posizione nel contesto di una cultura occidentalizzata che sarà sempre dominante e all’interno della quale saranno sempre vittime di abusi e ingiustizie. Maria è un personaggio giovane che appartiene a questa stessa cultura e lotta per forgiare con le sue mani il proprio destino, malgrado le sia vietato farlo”.
Il lavoro del regista è iniziato nel cuore delle comunità maya, dove ha organizzato dei laboratori per permettere alle persone di confrontarsi sui problemi sociali che le riguardano: “ho costruito la struttura narrativa del mio film attingendo alle loro storie vere, a questi incontri e a una testimonianza in particolare. Durante questa fase, ho anche insegnato ai membri della comunità a diventare attori per recitare nel mio film. Per quanto mi riguarda è stata un’esperienza illuminante”.
L’autore di Vulcano voleva che il racconto “si costruisse lentamente, partendo da un universo naturalistico, dal nucleo di una famiglia maya, scoprendo i loro gesti quotidiani, la loro lingua, le loro tradizioni e i loro riti, svelando la loro profonda comunione con il vulcano locale, Ixcanul, che assume il ruolo di un ulteriore protagonista della storia. Esseri umani e natura che vivono in perfetta simbiosi”.
“Volevo arrivare al momento in cui questa visione della vita e del mondo diventano terreno fertile per gli avvoltoi che si precipitano ad abbeverarsi alla sorgente, traendo profitto dall’abisso che separa due concezioni antitetiche, lasciando come unica risposta possibile il senso di impotenza”
Jayro Bustamante