Abel-Ferrara-sonne-notre-derniere-heure

Abel Ferrara, un regista a passeggio tra i generi

Lunedì 19 luglio 2021 è il 70° compleanno di Abel Ferrara, uno dei registi più particolari della storia del cinema. Autore mai banale, oggi lo festeggiamo attraverso un’intervista che abbiamo realizzato con il critico cinematografico e scrittore Fabrizio Fogliato, autore del libro Abel Ferrara – Un filmaker a passeggio tra i generi per Sovera Edizioni.

Abel Ferrara (foto di Paolo Santambrogio)

Abel Ferrara (foto di Paolo Santambrogio)

Chi è Abel Ferrara?

Abel Ferrara è regista anomalo, onnivoro nei gusti, passionale e umorale nella realizzazione dei film. Aperto alle esperienze, privo di pregiudizio verso qualunque supporto mediatico. Abel Ferrara è un regista-artista, un menestrello della contemporaneità, un viveur appassionato ed eccessivo, un cineasta passionale e umorale, capace di alternare opere sublimi ad altre quantomeno discutibili. Mai banale, talvolta sgangherato nella forma ma rigoroso e moralmente ineccepibile nei contenuti. Un cantore della modernità metropolitana (ma non solo); un artista che usa il “genere” come contenitore di opere che si alimentano delle pagine più oscure e contraddittorie della contemporaneità. Spesso, semplicisticamente, identificato come artista maledetto, in realtà è regista che della riflessione sulla dicotomia Bene-Male e delle implicazioni e dei limiti del libero arbitrio ha fatto le colonne portanti di una filmografia morale e mai moralista. Nella sua lunga carriera ha realizzato anche videoclip, spettacoli teatrali, documentari; diretto serie tv, inventato format e abortito innumerevoli progetti per mancanza di denaro.

Che uomo è Abel Ferrara nella vita di tutti i giorni?

E’ un uomo che non fa distinzione tra vita reale e set; ma questo è fin troppo ovvio dato che è lui stesso a dichiararlo in continuazione. Per capire la quotidianità di Abel Ferrara basta vedere il suo documentario Mulberry St. Ne viene fuori il ritratto di un artista “all’antica” poco scaltro e persino ingenuo, talmente preso dalla sua arte e dalle sue suggestioni/visioni da non preoccuparsi né degli aspetti produttivi, né tanto meno di quelli economici (non a caso è perennemente alla ricerca di fondi per “girare”). Ferrara nel quotidiano è una di quelle persone con cui staresti delle ore seduto al tavolino di un bar consumando una cassa di birra, ascoltando le sue storie e cercando di decifrare il suo modo di parlare che è al contempo incomprensibile e ammaliante.

Sul set di "Welcome to New York"

Sul set di “Welcome to New York”

Perché lo ritiene, parole sue, un “regista anomalo”? Quanto ha cambiato il cinema e il modo di fare cinema?

Perché, forse, è l’unico regista a cui non si può (e non si deve) chiedere la perfezione. Il fascino delle sue opere (tutte) sta nell’irresolutezza, in quella capacità pressoché unica di far seguire a intuizioni geniali rovinose cadute di tono: segno inconfondibile della sua sincerità. Di per sé non ha cambiato il cinema (e chiedergli di fare questo sarebbe una delle cose che potrebbe farlo più arrabbiare), ma ha sicuramente plasmato la sua arte a sua immagine e somiglianza: pulsione, istinto, “disordine”, genio e dubbio.

Complessivamente, che società è quella che Ferrara ha rappresentato in tutti i suoi film? Com’è cambiata, con il passare degli anni, la modernità che ci ha mostrato?

Scorrendo la sua filmografia non si può che vedere come gli scenari delle sue vicende siano universali. Certo, di decennio in decennio, il suo cinema ha cambiato pelle ma non si è mai adattato. Ferrara continua a non ripetere se stesso e, soprattutto, a raccontare l’uomo e i suoi comportamenti e le sue relazioni. Pertanto, possono cambiare lo scenario, il contesto temporale, il budget a disposizione, ma la sua visione dell’umanità è sempre critica, dubbiosa, piena di domande, senza risposte. Non è caso, un elemento mai abbastanza sottolineato nella sua filmografia è quello parodistico: quello che lui utilizza per farsi beffe del conformismo, del perbenismo, del moralismo, del potere, dell’ipocrisia e degli atteggiamenti accademici.

Ferrara durante le riprese di "Fratelli! (1996)

Ferrara durante le riprese di “Fratelli! (1996)

La contrapposizione Bene-Male e il tema del libero arbitrio ricorre spesso nei suoi film, anche attraverso generi diversi. Qual è il messaggio che Abel vuole farci arrivare? Lei ha parlato di una filmografia morale e non moralista.

Se mi è concesso vorrei subito sgombrare il campo da un equivoco, e cioè dal fatto che il tema centrale del cinema ferrariano sia quello religioso (tema che nel libro è solo marginale). Ritengo, infatti, che il conflitto tra Bene-Male in Ferrara sia, solo, una sorta di chiave di lettura delle vicende umane (non a caso ritengo che Mary sia il suo film più “furbo”). Pertanto la sua “visione morale” è un qualcosa che pone interrogativi, che vuole lasciare allo spettatore il peso e la responsabilità della risposta. Nel suo cinema non c’è mai moralismo, perché il primo a non giudicare è proprio lo stesso Ferrara. I personaggi dei suoi film sono naufraghi, uomini e donne alla deriva alla ricerca di se stessi, così come di una ragione per vivere (e, forse, una per morire).

Una mente creativa e un artista a tutto tondo che ha realizzato anche spettacoli teatrali, documentari, serie Tv, format, videoclip…

L’importante è agitarsi” come dice lui. Nel libro ho, infatti, voluto dare ampio spazio oltre ai suoi lavori inediti a tutto ciò che egli ha realizzato senza fare distinzioni né di forma né di approfondimento tra cinema e altri media. Ecco perché il lettore, in questo caso, più che di fronte ad una monografia può avere la sensazione di trovarsi davanti la biografia del regista raccontata attraverso le sue opere. Con il mio lavoro spero di essere riuscito a trasmettere questa sensazione, perché ritengo che solo così si possa raccontare la grandezza di quest’artista: sollevando dubbi, critiche e contrarietà, perché il cinema di Abel Ferrara non può trovare tutti d’accordo.

Un cameralook di Zoë Lund in "Ms 45 - L'angelo della vendetta" (1981)

Un cameralook di Zoë Lund in “Ms 45 – L’angelo della vendetta” (1981)

Secondo lei quali sono i tre film chiave di questo regista? Personalmente qual è il suo preferito? 

Così, in modo secco: Ms. 45 (L’angelo della vendetta), The Addiction – Vampiri a New YorkThe Blackout. Il mio preferito, invece è The Driller Killer.

Intervista di Giacomo Aricò

Leave a Comment