L’importanza della cura e la capacità di affrontare la perdita di una persona cara: di questo tratta Al Dio Ignoto, il nuovo film di Rodolfo Bisatti che (a seguito della sospensione dell’uscita nelle sale a causa della pandemia) dal 23 aprile è disponibile sulla piattaforma Chili, sia nella versione acquistabile, sia a noleggio.
Il film
Una madre, Lucia (Laura Pellicciari, foto copertina), vive sola con il figlio adolescente Gabriel (Francesco Cerutti). Nella loro casa aleggia un’assenza: la figlia primogenita di Lucia, Anna, morta di leucemia. Anche il marito, incapace di reggere questo evento, li ha lasciati soli. Lucia tenta di sopravvivere al lutto dedicandosi interamente alla cura di malati terminali dell’hospice nel quale lavora come infermiera. Sono loro che riescono a strapparle un sorriso e saranno per lei maestri inconsapevoli. In particolare, l’anziano professore Giulio (Paolo Bonacelli) che, narrando di sé e delle sue peripezie, le indicherà una strada possibile per la liberazione della sua angoscia. Il figlio Gabriel, metabolizza la scomparsa della sorella adottando uno stile di vita temerario, per provare a sé stesso, e alla madre, che vivere veramente comprende il rischio consapevole della morte.
Rodolfo Bisatti racconta…
“Una società che non pensa alla morte è destinata a morire. Prima di questa emergenza pandemica, la morte era del tutto rimossa dalla nostra società, un fantasma che colpiva senza lasciare traccia, il lutto nascosto, innominato. Ed è stata proprio la consapevolezza che una società che non pensa alla morte sia destinata a morire che mi ha spinto, nonostante le traversie, a realizzare questo film che, oggi, assume un significato intenso. La morte è un argomento inaffrontabile, un tabù, ed è del tutto comprensibile che si cerchi di scappare il più lontano possibile da lei, ma se una persona vive nella consapevolezza della morte e non nella sua rimozione, forse “può anche rischiare” di vivere intensamente“.
“Vivere nella consapevolezza della morte non significa esserne assoggettati ma, al contrario, gestire in modo migliore il proprio tempo, investire sugli aspetti essenziali della vita. Una visione che non è materialistica, ma che vede nelle cose di tutti i giorni lo splendore dell’Esserci; la Meraviglia. Un’essenzialità che implica la volontà di districarsi dalle preoccupazioni e dalle caducità quotidiane per cercare gli snodi, le tappe, fondamentali dell’esistenza. Uno di questi è senz’altro per me il modo di affrontare una malattia, la perdita di una persona cara, trovando l’energia necessaria per fronteggiare un passaggio complesso e doloroso della vita come la morte di qualcuno che si ama. Si tratta di una sfida enorme e complessa, ragione per cui ho deciso di realizzare questo film“.
“Anche nello stile, il film vuole rispecchiare questa ricerca dell’essenzialità: il linguaggio è scarno, procede per sottrazioni, ma è ricco di stupore e di emozione. Ho voluto girare in Hospice reali, a contatto con i pazienti, ed è stata un’esperienza molto intensa perché c’è una grande pace quando l’osservazione si concentra sulla sacralità del dono della Vita nel momento in cui si spoglia dell’accessorio. Con umiltà e riguardo, io e i miei collaboratori, ci siamo posti di fronte a chi è prossimo a quell’incredibile passaggio e abbiamo osservato le loro mani, i loro gesti, gli occhi, ascoltato le loro parole“.
“Il film è inoltre una testimonianza reale di come le cure palliative non debbano mai diventare un rigido protocollo clinico, ma restare sempre fedeli alle loro origini, capendo che i pazienti sono dei Maestri in grado di aiutare chi li assiste a cogliere quella luce e quel buio che sono il senso ultimo della nostra presenza qui. Chi si prende in carico questo ambito della Cura ha, a nostro avviso, una serenità contagiosa. Di questa consapevolezza c’è bisogno oggi, non di morte ma di preparazione alla morte attraverso una vita che valga la pena di essere vissuta. La nostra civiltà, così scassata, dove tutto è spettacolo e chiacchera, ha, in verità, tutti gli strumenti per farcela, basta solo fare spazio e ordine nel caos abituale, nel riporre la massima attenzione a gesti, parole, oggetti, che ci stanno attorno, come nelle opere di Giorgio Morandi, dove anche la polvere è espressione poetica della sacralità e del mistero del quotidiano“.