Da giovedì 26 maggio nelle sale cinematografiche italiane arriverà Alcarràs, il film di Carla Simón che ha conquistato l’Orso d’oro all’ultimo Festival di Berlino.
Il film
Alcarràs, un piccolo villaggio della Catalogna. Da quando ne ha memoria, la famiglia Solé vive del frutto di una terra che non è la sua ma a cui dedica tutti i propri sforzi. Il raccolto di quest’anno, però, potrebbe essere l’ultimo: il proprietario del terreno ha nuovi piani per il frutteto, i peschi devono far posto ai pannelli fotovoltaici. L’imminente abbattimento degli alberi di cui si sono presi cura per tutta la vita provoca una profonda spaccatura all’interno della grande famiglia, che per la prima volta si trova ad affrontare un futuro incerto, rischiando di perdere qualcosa di persino più prezioso della propria casa.
Carla Simón
Lasciamo spazio all’intervista rilasciata dalla regista, Carla Simón.
Ci può raccontare in poche parole di cosa parla il film?
Questa è la cronaca di una morte annunciata. La famiglia Solé viene a sapere che alla fine dell’estate dovrà lasciare le terre che coltiva da tre generazioni, vicino alla cittadina catalana di Alcarràs. Il proprietario vuole sradicare i loro peschi per installare pannelli solari sui terreni. La famiglia si riunisce per raccogliere l’ultimo raccolto, ma le loro differenze su come affrontare il futuro incerto minacciano la loro unità. Si tratta di un’opera corale in cui ogni membro della famiglia Solé cerca di trovare il proprio posto in questa crisi, proprio nel momento in cui la loro identità condivisa è a rischio.
Quali sono i temi principali che attraversano la pellicola?
Da un lato, il film è una riflessione sull’agricoltura al giorno d’oggi. Molti credono che la terra debba appartenere a chi la lavora, e la famiglia Solé coltiva gli stessi campi da molti anni. Ma si erano accordati con il proprietario terriero solo in modo non ufficiale, durante la guerra civile spagnola. E dato che un contratto vale più di qualsiasi accordo verbale, il nuovo proprietario vuole che se ne vadano. Per quanto tempo possono coesistere tradizione e cambiamento in questo luogo? Gli esseri umani hanno coltivato la terra in piccoli gruppi familiari fin dal neolitico. È il lavoro più antico di tutti i tempi. Ma la storia dei Solé si svolge in un momento in cui questo modo di fare agricoltura non è più sostenibile. Le grandi aziende comprano la terra per coltivarla in modo estensivo, i prezzi bassi della frutta costringono a sostituire gli alberi per utilizzi dei terreni con più alti profitti, e i giovani agricoltori lasciano le loro case per cercare di trovare altri impieghi. I modelli stanno cambiando, un vecchio mondo sta finendo, e il nostro film vuole essere un omaggio nostalgico alle ultime famiglie di contadini che ancora resistono. Nonostante i cattivi auspici, spero che l’agricoltura ecologica possa diventare un futuro luminoso per coloro che vogliono continuare a coltivare la terra in piccoli gruppi. Allo stesso tempo, questo è anche un film sulle relazioni familiari, le tensioni generazionali, i ruoli di genere e l’importanza dell’unità nei momenti di crisi. È una riflessione sulla necessità dell’adattamento, mentre vengono rappresentati gli ultimi giorni di un universo che i suoi abitanti credevano eterno. È anche una riflessione sulla mancanza di comunicazione tra i membri di una famiglia, e su come a volte tutto sarebbe più facile se dicessimo ad alta voce quello che pensiamo e come ci sentiamo. Penso spesso al mio come ad un film d’azione. Non ci sono esplosioni, sparatorie o effetti speciali spettacolari, ma i personaggi vivono su una montagna russa emotiva che mette sottosopra tutte le loro relazioni.
Come ti è venuta l’idea del film inizialmente?
I miei zii coltivano pesche ad Alcarràs. Lo facevano insieme a mio nonno, che però è morto qualche anno fa. Passo tutte le mie vacanze di Natale e d’estate nella loro terra. Tutto quello che viene vissuto e condiviso in quel luogo ha un enorme valore affettivo per la mia famiglia. Il dolore per la morte di mio nonno mi ha portato a valorizzare la sua eredità e il loro lavoro agricolo. Per la prima volta nella mia vita ho immaginato gli alberi coltivati dalla mia famiglia come qualcosa che un giorno potrebbe scomparire. Improvvisamente, ho sentito il bisogno di ritrarre quel luogo, la sua luce, i suoi alberi e i suoi campi, la sua gente, i loro volti, la durezza del loro lavoro, il caldo d’estate… È un posto che ha un enorme valore cinematografico. L’ultimo raccolto della famiglia Solé in quelle terre era il giusto scenario per parlare di un mondo che sta per finire.
Il film racconta la storia di una grande famiglia di agricoltori. Perché questo argomento ti ispira tanto?
La mia principale fonte d’ispirazione è la mia grande famiglia; sono una fonte inesauribile di storie. Ci riuniamo molto spesso e io mi ritrovo circondata da nonni, genitori, zii, cugini, fratelli… La mia vita è sempre stata piena di gente. Questo film è stato concepito come un’opera corale proprio per il mio desiderio di raccontare cosa significhi far parte di una grande famiglia. Dialoghi che si intrecciano, energie opposte, caos, gesti piccoli ma significativi, reazioni a catena emotive… Ognuno ha il suo interesse personale, ma tutti quanti devono trovare un modo per vivere insieme.
Perché hai scelto di lavorare con attori non professionisti?
Cerco sempre il naturalismo negli attori. Penso che più gli attori sono vicini ai personaggi che interpretano, più sono realistici. Volevo che questo film venisse interpretato da contadini che la terra la lavorano, ci sono realmente legati e possono veramente capire cosa significhi perderla. La maggior parte degli abitanti della zona di Alcarràs sono agricoltori o provengono da famiglie di agricoltori. Ero certa che avremmo potuto trovare gli attori giusti tra loro. Poi, ci sono bambini e adolescenti nel cast; loro sarebbero stati comunque attori non professionisti. Inoltre, in quella regione della Spagna si parla un dialetto catalano molto particolare. Non ci sono molti attori originari della zona, e per rappresentare fedelmente quel luogo era importante rispettare il suo modo di parlare. Per trovare i nostri attori, siamo andati in tutte le fiere di paese (questo prima del COVID) per invitare alle audizioni tutti quelli che potevano rientrare nel cast. Abbiamo fatto provini a più di 7.000 persone. Speravo di poter ingaggiare alcuni membri della stessa famiglia, ma non è stato possibile e ogni membro della famiglia Solé viene da un paese diverso. Per cui abbiamo passato molto tempo insieme, improvvisando situazioni per costruire i rapporti tra loro. I legami che si sono creati sono diventati così stretti che ancora oggi si chiamano con i nomi dei personaggi nel film.
Il tuo film si svolge ad Alcarràs, un comune situato in Catalogna, in Spagna. Anche se l’ambientazione è molto specifica, cosa c’è di universale nella tua storia?
Tutti noi abbiamo una famiglia, tutti noi possiamo immedesimarci con le storie familiari. In fondo, non scegliamo la nostra famiglia: ci nasciamo. Ecco perché i rapporti familiari sono così complessi e profondi, così pieni di contraddizioni e allo stesso tempo così assoluti. Poi, l’agricoltura è qualcosa che riguarda tutti noi: è ciò che mangiamo ogni giorno. Pensare a chi ci fornisce il cibo e a come lo fa è qualcosa che dovremmo fare tutti. La soppressione dell’agricoltura tradizionale a favore dell’industria agricola è un fenomeno che interessa strutturalmente tutto il mondo.