Esattamente un secolo fa, oggi nasceva Anthony Burgess, uno scrittore geniale e autore di uno dei libri più controversi e illuminanti del secolo scorso, Arancia Meccanica. Un testo che portò al celeberrimo capolavoro cinematografico diretto da Stanley Kubrick con protagonista Malcolm McDowell. Il film, uscito nel 1971, fece gridare allo scandalo, per via della sua rappresentazione della violenza e per i terribili effetti di imitazione (stupri e omicidi) manifestatesi nella società inglese. In Italia fu accusato di oscenità e incitazione alla violenza. Ancora oggi il pubblico lo guarda con occhi particolarmente vivi.
Il film muove dal romanzo Una Arancia a Orologeria di Anthony Burgess, scritto nel 1963, che quando fu pubblicato non ottenne critiche favorevoli, né vendette molto. La storia presenta la parabolica vicenda del giovane Alex, leader di una gang che pratica il “gioco” dell’ultraviolenza all’interno della società inglese, presentata in un contesto futuro (e in qualche modo oggi attuale). Alex e i suoi drughi, vestiti di bianco con anfibi neri stuprano, picchiano e rubano. A seguito di un omicidio da lui commesso, Alex, tradito dai suoi compagni, finisce in carcere, condannato a 14 anni di reclusione.
Pur di essere rimesso in libertà si sottopone all’innovativa “cura Ludovico”, un autentico “lavaggio del cervello” che lo costringerà a rifiutare ogni forma di violenza per il resto della sua vita. La cura lo rimette in libertà, ma lo porterà a tentare il suicidio dopo che diverse sue vittime del passato si saranno vendicate di lui. Sopravvissuto, Alex “guarisce” e torna come all’inizio della storia.
Stanley Kubrick lesse il libro nel 1969, subito dopo aver concluso 2001: Odissea nello Spazio, rimanendone fortemente colpito:
“ero entusiasta di ogni cosa del libro, dalla trama alle idee, dai personaggi fino ovviamente al linguaggio. Inoltre, la storia aveva una dimensione maneggevole in prospettiva di un adattamento cinematografico”.
Il linguaggio a cui fa riferimento Kubrick è il Nadsat, genialmente creato da Burgess:
“era una lingua palesemente artificiale, inventata per l’occasione, fatta di riferimenti di lingue straniere e di uno slang giovanilistico, che pretende di inventare un linguaggio corrispondente alle esigenze innovative delle giovani generazioni, sempre tese ad appropriarsi del mondo”.
Per la prima volta nella sua carriera, Kubrick scrisse la sceneggiatura da solo (oltre a curare anche la fotografia, il montaggio, la colonna sonora, la scelta degli attori e anche i doppiatori negli altri paesi), ritenendo di poter “rendere realistiche le scene o scrivere i dialoghi meglio di chiunque altro”. Lo stesso Anthony Burgess ebbe un ruolo pressoché assente nella scrittura della sceneggiatura, perché come affermò Kubrick: “tutto quello che Burgess aveva da dire sulla storia è detta nel libro” .
Per il regista fu un semplice lavoro di selezione e ricomposizione, e le modifiche introdotte (a parte l’assenza del ventunesimo capitolo), rispettano la generale struttura del testo di Burgess. Le modifiche maggiori riguardano singole scene, espunte o trasformate, condensate o amplificate in altri dettagli di ambientazione. Oltre l’inevitabile sintesi dei dialoghi e della narrazione, anche l’eliminazione o dilatazione di alcuni personaggi e delle loro caratteristiche fanno parte dei cambiamenti apportati. Tutte strategie che rendono la pellicola un’opera autonoma dal testo di partenza.
Problema principale per Kubrick fu quella di dover presentare la storia e il trattamento della violenza senza l’aiuto della stilizzazione verbale, centrale nel romanzo, che pur rimane nel voice-over di varie sequenze. Il linguaggio “rutilante e fantasmagorico” del narratore interessava meno della capacità del romanzo di ‘far vedere’.
Stanley Kubrick sottolineò così la sua scelta di tradurre la stilizzazione linguistica della violenza, che si trova nel romanzo, in stilizzazione coreografica nel film:
“In A Clockwork Orange volevo essere il più fedele possibile al romanzo e cercare di vedere la violenza dal punto di vista di Alex, mostrare come la violenza gli dia gioia e rappresenti il momento più felice della sua vita; e come tutto questo sia come l’azione di un balletto. Era necessario trovare il modo di stilizzare la violenza, proprio come Burgess aveva fatto con lo stile della sua scrittura. Il contrappunto ironico fornito dalla musica era certamente uno dei modi di ottenere questa stilizzazione. Tutte le scene di violenza erano molto diverse senza la musica”.
Alla fine il risultato fu un film che con il passare degli anni diventa più geniale, che aveva visto lungo. Un capolavoro nato da un capolavoro. Kubrick e Burgess, due menti giganti.
Giacomo Aricò