Già accolto con entusiasmo ai festival di Toronto, Rotterdam, Roma e Londra (e distribuito in tutto il mondo, Stati Uniti compresi), il 6 maggio uscirà al cinema Due, l’esordio sorprendente di Filippo Meneghetti con protagoniste due attrici leggendarie come Barbara Sukowa e Martine Chevallier.
Il film
Due donne mature, Nina (Barbara Sukowa) e Madeleine (Martine Chevallier), si amano in segreto da decenni. Tutti, compresi i parenti di Madeleine, pensano che siano solo vicine di casa, vivendo entrambe all’ultimo piano dello stesso palazzo. Quando la routine di ogni giorno viene sconvolta da un evento imprevisto, la famiglia di Madeleine finisce per scoprire la verità e l’amore tra le due è messo a dura prova. Tenendo insieme sentimento e ironia, dramma e suspense, Due sa raccontare la forza inarrestabile dell’amore in modo mai scontato e con un’empatia che avvince e commuove.
Filippo Meneghetti racconta…
“Il film racconta la storia di una sfida e di una passione insieme dolce e caparbia. Ma questa sfida è anche un modo di esplorare alcuni temi che mi affascinano: quanto influisce sulle nostre azioni lo sguardo degli altri? Quale conflitto interiore si accende nel confronto con questo tipo di censura? Gli ostacoli che incontrano sul loro cammino spingono spesso Nina e Madeleine a comportamenti estremi, ma non dobbiamo dispiacerci per loro: sono eroine che combattono per il loro amore“.
“L’ispirazione per il soggetto e per le due protagoniste proviene da varie persone che ho conosciuto, le cui storie mi hanno lasciato una profonda impressione. Per tanto tempo ho voluto scriverne, ma non ero sicuro dell’angolazione migliore per farlo. Poi un giorno, mentre stavo per suonare alla porta di un amico, ho sentito delle voci arrivare dall’ultimo piano del palazzo: sono andato di sopra a dare un’occhiata e ho scoperto che le porte dei due appartamenti confinanti erano aperte e le voci erano quelle di due donne che si parlavano dalle rispettive abitazioni. Più tardi, il mio amico mi ha spiegato che si trattava di due vedove, che scacciavano la solitudine tenendo costantemente aperte le loro porte e vivendo di fatto in una specie di grande casa comune che si estendeva per tutto l’ultimo piano. Questa immagine ha innescato qualcosa nella mia testa, al punto che questo spazio che lega i due appartamenti è diventato un aspetto centrale del film, anche per la sua capacità metaforica. Mi ha permesso peraltro di giocare con i codici del cinema di suspense, girando questa storia d’amore come se fosse un thriller: un occhio che guarda dallo spioncino, un intruso nella notte…“.