C’è un progetto cinematografico pieno di grazia e di importanza che sta nascendo. Un documentario che parla di diversità e di gentilezza. Be Kind il suo titolo, un viaggio realizzato dall’attrice Sabrina Paravicini e da suo figlio Nino, un bambino con la sindrome di Asperger con il sogno di fare il regista. Madre e figlio, insieme, hanno deciso di porre uno sguardo gentile sul mondo della diversità per dimostrare che essere diversi è una rarità.
Be Kind racconta il viaggio di Nino, piccolo regista che intervista chi come lui vive una forma di diversità, sia essa fisica, psichica, di razza, di religione, di status sociale e di genere. Ogni persona si racconta andando a comporre un grande quadro: un insieme di micro viaggi, fatti di paure superate, di speranza, di cure che hanno funzionato, di sperimentazioni, di gentilezza e di felicità. Un percorso documentato da una videocamera dove la diversità viene indagata attraverso lo sguardo di un bambino speciale, attraverso le sue domande gentili e prive di sovrastrutture.
Il progetto Be Kind (qui tutte le info www.lets-be-kind.com) è un piccolo film auto prodotto, nato come esperienza di vita e familiare. Un viaggio di impegno sociale, cresciuto giorno dopo giorno, grazie anche al contributo di una rete di persone straordinarie che amano il futuro. Il documentario verrà presentato in vari festival cinematografici in Italia e all’estero e sarà proposto anche alla prossima Mostra del Cinema di Venezia.
Per la sua importanza, ho deciso di parlare di Be Kind con l’autrice e co-regista, l’attrice Sabrina Paravicini.
Be-Kind, un viaggio “gentile”. Perché avete scelto questa parola? Quanto la gentilezza, vera, non di facciata, sta venendo meno nel nostro vivere quotidiano?
Perché la chiave di tutto è nella gentilezza: ogni rapporto quotidiano – che sia con la famiglia, sul lavoro o a scuola – vissuto con gentilezza cambia completamente le dinamiche di relazione. Essere gentili è la cosa più semplice e al tempo stesso più difficile da fare. Noi stiamo trovando una rete di persone gentili enorme, impensabile. È stato un viaggio dentro e fuori dal film, nel senso che abbiamo viaggiato su due binari paralleli, quello delle riprese e quello tutto intorno al film delle persone che non saranno nel film ma che ci hanno sostenuti.
Sui social si condividono una marea di informazioni superflue, selfie compulsivi, status di dubbio gusto. Spesso e volentieri in nome di un crescente egoismo e narcisismo. Quanto invece un progetto come il vostro, che parla senza veli di vita vera, innalza il reale concetto di Condivisione?
Io credo di sì, credo che siamo riusciti a mettere anche la vita vera nei nostri social, ogni frase condivisa, come ogni immagine, è stata davvero accolta da chi ci stava seguendo. Anche il viaggio è stato un viaggio seguito e condiviso. Ora la parola naturalmente spetta alle immagini, al film.
Tra i diversi mezzi di espressione, avete scelto di realizzare un libro George & Lisa Kart & la Mitica e Dinamica Supergara e questo documentario. Iniziamo dal primo, com’è nato?
Nino ha sempre avuto un alto funzionamento della sua sindrome autistica nella creatività e nella fantasia, da anni ci raccontava ogni giorno storie incredibili che a distanza di mesi ricordava perfettamente a memoria. Abbiamo deciso di fargli fissare queste storie facendogliele scrivere al computer. Da qui è nato una sorta di romanzo, una storia molto bella, fatta di persone diverse che si sfidano in una gara in giro per il mondo. L’abbiamo stampato e gli abbiamo dato la forma del libro. Per lui è stato molto importante vedere che quel mondo interiore (che da piccolo lo teneva chiuso rispetto al resto del mondo) poteva diventare qualcosa di concreto, di visibile, di apprezzabile. Ne sta già scrivendo altri quattro!
Passando al documentario, quanto girare, fare interviste e accendere la macchina da presa è stato terapeutico per Nino?
Io amo il cinema da sempre, è il mio lavoro, la mia passione. Vado in sala ogni volta che posso. Il linguaggio del cinema è un’arte meravigliosa. Questo viaggio documentato dalla videocamera per Nino e per me è stato incredibilmente terapeutico, addirittura dal primo giorno all’ultimo, dopo sei mesi ci sono stati dei cambiamenti significativi nel suo modo di rapportarsi agli altri.
In che modo il cinema riesce ancora ad essere il mezzo più forte (e magico) per arrivare alla gente e lanciare un messaggio?
Sì, ritengo che un’opera cinematografica sia un modo di far arrivare un messaggio in modo più potente. Avrei potuto scrivere un libro, sarebbe stato più facile, meno impegnativo anche dal punto di vista di dispendio di energie di tempo e di denaro (questo film è autoprodotto) ma non sarebbe stata la stessa cosa. Nel film diamo voce e volto a persone straordinarie che meritano di arrivare direttamente al cuore degli spettatori.
Entro nel personale: che esperienza è stata per te stare accanto a tuo figlio durante questa esperienza?
È stato un viaggio umano, psicologico e fisico che ha cambiato totalmente il mio modo di lavorare. E Nino è stato un compagno di viaggio straordinario. La sua calma, il suo modo “dritto” di fare domande e di relazionarsi agli altri mi ha insegnato più di quanto abbia mai imparato nei miei vent’anni di esperienza.
Ti faccio una domanda da girare a lui. Gli chiedo i suoi: attore, regista e film preferito. (Se vuole può anche spiegare il perché!).
Jim Carrey e Robin Williams, Tim Burton, il film è La Fabbrica di Cioccolato perché ama molto Roal Dahl.
Avere dei sogni è il motore della vita. Quali sono i vostri?
Per Nino io sogno l’autonomia nella sua vita futura e che continui ad essere felice come è ora. Il mio sogno è la felicità. Nino sogna di diventare regista e di “volere sempre bene alla sua mamma”.
Intervista di Giacomo Aricò