Solo dal 25 al 29 aprile uscirà come film-evento nelle sale Bocche Inutili, il film diretto da Claudio Uberti con protagonista un cast tutto al femminile formato da: Margot Sikabonyi, Lorenza Indovina, Nina Torresi, Morena Gentile, Anna Gargano, Sara Zanier, Lavinia Cipriani e con la partecipazione di Patrizia Loreti. La storia, che prende spunto da testimonianze reali e documentate, di donne sopravvissute all’Olocausto è un racconto sugli anni più bui della nostra Storia, sulla femminilità negata e la resistenza delle donne.
Il film
Ester (Margot Sikabonyi), ebrea italiana di 40 anni che viene lasciata sola dopo che la sua famiglia è stata radunata e portata via. Inviata al campo di transito di Fossoli, stringe una forte amicizia con Ada (Patrizia Loreti), ma la mano crudele del destino interviene per rimuoverla da lì in breve tempo. Ester non si perde d’animo, nemmeno quando viene mandata in un altro campo, evitando il convoglio verso Auschwitz che l’avrebbe portata a morte. Con Ada hanno una missione: salvare il bambino che Ester ha scoperto che sta portando dentro di sé, ma cosa rimane della fiducia riposta l’una nell’altra? Ester verrà tradita? Lei e il suo bambino non ancora nato saranno salvati?
Claudio Uberti racconta…
“La peculiarità che attraversa il film e ne segna l’originalità è caratterizzata dal concetto dominante di femminilità negata. Concetto questo che, se per un verso fa luce, per la prima volta, su un non-detto circa la resa cinematografica della Shoah, per l’altro fa segno, sia pure indirettamente, alla piaga legata alla violenza sulle donne. Di qui la scelta di utilizzare la finestra come membrana di separazione, ma nello stesso tempo di condivisione, di due mondi: all’esterno la violenza gratuita perpetrata dagli aguzzìni nazisti, all’interno della baracca la messa in scena della specificità stessa del femminile: il senso dell’accoglienza, della protezione, della famiglia, del pudore, di colei-che-è-irraggiungibile in quanto tale“.
“Per questo la luce abbagliante della garitta ha la funzione di mostrare il pervicace tentativo di spogliare queste donne del loro stesso corpo, della loro più intima natura. Essa, che nella notte di Ravensbrück, pare costituire l’unico spiraglio di luce e, quindi di orientamento per le prigioniere, in realtà nella sua temibile ambivalenza, genera l’effetto contrario: non le salva, non le protegge, ma le fa sentire braccate. In quell’abbaglio la minaccia di morte può diventare realtà“.