Da oltre 40 anni sulle scene con gli U2, domenica 10 maggio 2020 è il 60° compleanno di Paul David Hewson, in arte Bono, senza dubbio uno dei più grandi protagonisti del panorama musicale internazionale. Voce intrigante e performer di rara efficacia, ha sempre affiancato la propria passione musicale a una costante ricerca spirituale e ad un’attività di sensibilizzazione sociale in prima persona, mantenendo la sfacciata grinta da rockstar e non temendo di “mettere la faccia” nelle cause in cui crede. Alla sua vita ed alla sua figura è dedicato Bono – La Voce Degli U2 Tra Musica, Impegno e Spiritualità, una bellissima ed accurata biografia scritta da Loris Cantarelli ed edita da Hoepli che uscirà il prossimo venerdì 22 maggio. Dall’adolescenza inquieta nei “Disordini” irlandesi, fino alla fama mondiale e all’impegno concreto per la lotta alla povertà, all’AIDS e per un’economia più giusta e solidale, il libro di Cantarelli ripercorre tutti gli snodi nella vicenda umana e professionale di Bono raccontando in particolare le radici familiari e le esperienze di vita e di lavoro che hanno contribuito a creare e consolidare la sua visione del mondo. Dalle fatiche degli esordi ai fasti di The Joshua Tree e la reinvenzione con Achtung Baby, fino ai record nei concerti e gli incontri ormai ultraventennali con capi di stato per le campagne in favore dei più poveri: la storia di Bono rivela continui risvolti inediti, oltre a marcare una biografia che non ha uguali nella storia del rock e della cultura contemporanea.
Intervista a Loris Cantarelli
Per festeggiare questo grandissimo artista, abbiamo intervistato l’autore del libro, Loris Cantarelli.
Oggi è il 60° compleanno di Bono, non solo un artista di fama mondiale, ma anche un uomo che si è sempre battuto in prima persona per difendere i più deboli. Cosa rappresenta per te Bono? Cosa hai voluto far emergere della sua anima nel tuo libro?
Appartengo a quella che si potrebbe chiamare “generazione Live Aid”, cresciuta negli anni Ottanta con il ritorno in grande stile del rock “impegnato”, più consapevole rispetto ai grandi movimenti di protesta degli anni Sessanta e alle ribellioni anni Settanta… anche se nei famigerati 80’s magari quelli li conoscevamo in pochi. Per molti di noi, vedere e ascoltare certe canzoni di artisti come U2 e Bruce Springsteen (oltre che di solisti già rodati come Sting e Peter Gabriel) significò scoprire l’attivismo di associazioni come Amnesty International e Greenpeace, oltre a nuove campagne di contro-informazione in maniera più consapevole e personalizzata, cronologicamente a metà strada tra l’era del ciclostile e l’attuale di Internet. Nel concentrarmi sulla figura di Bono, ho cercato di raccontare – possibilmente senza annoiare, né tralasciare elementi importanti – tutte le istanze via via sviluppate nella sua vita e in una carriera che ha tuttora dell’incredibile, riportando fedelmente fatti e dichiarazioni cruciali. L’occasione è stata una volta di più propizia per smentire certi luoghi comuni e alcune discrepanze dalla realtà stratificatisi negli anni, forse connaturati al “circo mediatico” della comunicazione globale, ma credo anche viziati dall’italico circolo di simpatie e antipatie.
In oltre 40 anni di carriera artistica, Bono è sempre stato riconosciuto dai più come “il cantante degli U2”. Un’affermazione che mi ha sempre fatto pensare a come e a quanto spiccasse il suo essere, il suo pensiero, la sua carica, la sua forza, a discapito degli altri componenti del gruppo. Tu cosa ne pensi? La sua voce è sempre stata anche la voce del gruppo?
Ti confesso che a me ha sempre dato un po’ fastidio quando i media (soprattutto cartacei) riducono una band quasi esclusivamente al suo frontman, tanto più nel caso degli U2 che – oltre al fatto di essere l’unica band d’alto livello nella storia a non aver mai cambiato formazione – sono un caso particolarissimo d’interazione feconda tra di loro e più che mai superiore alla somma delle parti. Capisco ovviamente l’efficacia e l’impatto mediatico, a maggior ragione avendo a che fare con una presenza ingombrante come Bono, che ci mette sempre molto del suo… però credo non si renda un buon servizio giornalistico spostando così tanto l’interesse, per giunta ripetutamente. A me degli U2 hanno sempre più intrigato le dinamiche interne al gruppo, con The Edge in gran parte responsabile delle musiche, Larry Mullen a tenere il ritmo e Adam Clayton agli inserimenti strategici. Il paradosso è che in questo libro la sfida era invece scandagliare gli avvenimenti dal punto di vista di Bono: devo dire che, messi tutti in fila, mi ha sorpreso come spesso non siano stati molto raccontati ed è quindi sembrato anche a me di riscoprirli quasi come la prima volta… Per il resto c’è da dire che, nelle sue scelte più eclatanti, si contano davvero sulle dita di una mano le volte in cui il cantante ha incontrato forti pareri opposti tra i compagni: musicalmente per le prime registrazioni di Achtung Baby e Pop, ma anche politicamente per gli incontri di Bono nella campagna Jubilee 2000 con George W. Bush Jr. e Tony Blair che l’altro dublinese Larry considera praticamente criminali di guerra….
Timbro vocale caldo e potentissimo, pieno di sentimento. Penso alla morte del nonno e della madre, nel settembre 1974, che lo hanno segnato tantissimo. Quanta vita c’è nella sua bona vox?
Credo quasi tutto, anche se ovviamente perizia ed esperienza gli hanno insegnato a mischiare un po’ la carte. D’altra parte, in certi periodi Bono citava a ogni piè sospinto la frase del dublinese Oscar Wilde “Datemi una maschera e vi dirò la verità”… C’è anche da dire che, con il passare dei decenni, la riflessione su quanto “il bambino è padre dell’uomo” (per citare il poeta inglese William Wordsworth con cui ho scelto di aprire il primo capitolo) è avvenuto abbastanza “in tempo reale” nei testi di molte canzoni degli U2, quasi che Bono l’abbia sempre più capito ed espresso in diretta.
30 gennaio 1972, a Derry, nell’Irlanda del Nord, una pacifica manifestazione per i diritti civili si trasforma in quella che passerà alla storia come “Bloody Sunday”, Domenica di Sangue. Una vicenda raccontata di recente al cinema in Bogside Story, il documentario scritto e diretto da Rocco Forte, ma soprattutto evocata dalla Sunday Bloody Sunday degli U2. Non mi viene in mente un live più potente della loro esibizione filmata in bianco a nero per Rattle And Hum. Tu cosa pensi di questa canzone, della sua energia, del suo significato e della sua capacità di scuotere le anime di chi l’ascolta?
Anzitutto va detto che per un irlandese la circostanza richiama alla mente la famigerata strage di civili durante la partita di calcio nello stadio di Croke Park del 21 novembre 1920, rappresaglia per le azioni dell’IRA raccontata anche nel film Michael Collins: poi entrambe le suggestioni erano già confluite nell’omonima Sunday Bloody Sunday di John Lennon pubblicata nell’autunno 1972, oltretutto dopo Give Ireland Back To The Irish di Paul McCartney, singolo di debutto del suo nuovo gruppo Wings già a febbraio 1972. Ma certo è il brano degli U2 a essere rimasto nel tempo, per il suo essere comunque contro la guerra, quell’apertura da marchin’ band registrata da Larry sulle scale dei Windmill Lane Studios e anche per la presentazione fatta spesso da Bono con la semplice frase “This is not a rebel song!”. Come dicevo all’inizio, la musica ha sempre una fortissima componente generazionale: per me quel brano è e resterà associato proprio a quell’esibizione filmata a Denver nel 1987, vista su grande schermo nell’ormai scomparso Cinema Durini dietro San Babila qui a Milano, ormai facilmente recuperabile su YouTube. È difficile pensare a una versione più rabbiosa, dato l’attentato di poche ore prima in una parata nella cittadina nordirlandese di Enniskillen, con l’indignazione di Bono che lo porta a urlare “Ne ho abbastanza degli irlandesi americani che non tornano nel loro Paese da 20 o 30 anni e vengono da me a parlare di resistenza, della rivoluzione laggiù a casa, e della gloria della rivoluzione e della gloria di morire per la rivoluzione… Affanculo la rivoluzione!”, per poi argomentare e concludere che una rivoluzione così la maggioranza del suo popolo non la vuole. Come peraltro certificato dieci anni dopo dal referendum sul cosiddetto Accordo del Venerdì Santo.
A livello sociale e politico, Bono ci ha sempre “messo la faccia”, portando avanti con passione campagne e ideali in cui crede. Il Paul David Hewson filantropo (ricordo anche la sua collaborazione con Pavarotti) per te ha ancora più valore rispetto al Bono cantante?
Be’, il suo primo lavoro è quello di cantante e musicista, anche se lui dice che è anzitutto un performer (e il Live Aid lo dimostrò a tutti, lui compreso), che rimane la componente più intrigante. Però mi ha sempre stupito il modo e i tempi con cui negli anni – a volte perfino rallentando la carriera – ha messo la sua popolarità al servizio delle cause e le iniziative in cui crede… che per la prima volta il libro riesce a censire tutte, fino ai recentissimi aiuti sanitari all’Irlanda e il supporto ai lavoratori di Live Nation rimasti inattivi per il Coronavirus. Resto invece interdetto da chi mal sopporta questo aspetto della sua personalità, proprio perché è un fil rouge che percorre tutto il suo percorso umano e artistico: non m’interessa convincere nessuno né in un senso né in un altro, però basta scorrere il libro pagina dopo pagina per accorgersene…
Ulteriore testimonianza della sua umanità, è il brano inedito Let Your Love Be Known, che ha scritto per omaggiare il personale sanitario italiano durante l’emergenza della pandemia di CoViD-19. Cosa pensi di questo gesto in questo momento?
Confesso che all’inizio non ero propriamente un fan dei flashmob degli italiani che alla sera cantavano dai balconi, pur non contestandone ovviamente la legittimità. Però poi mi sono accorto che chi la pensava come me, al netto dei cliché, aveva sottovalutato quanto nell’immagine e nella percezione internazionale l’Italia sia associata al “bel canto” e quanto il nostro Paese richiami alla mente la bellezza dell’arte e sia empaticamente amato dalle persone di tutto il mondo. Considerando che il padre di Bono era un tenore (seppur dilettante) e l’amicizia con Pavarotti, in fondo non doveva stupirci troppo che un cantautore irlandese (come noto non troppo dissimile dal carattere italiano) il cui soprannome è “Bono Vox” per la festa di san Patrizio si mettesse a improvvisare un piccolo brano inedito, per comunicare la sua vicinanza a chi era bloccato in casa…
Gli U2 hanno girato videoclip indimenticabili (visto che il nostro sito si chiama Cameralook, penso a The Sweetest Thing, con i suoi sguardi in macchina), hanno regalato canzoni per diverse colonne sonore – mi sovviene All I Want Is You nel romantico finale di Giovani, carini e disoccupati di Ben Stiller – e sono stati raccontati da diversi documentari musicali (penso a Rattle And Hum nel 1988 e From The Sky Down nel 2011). Secondo te si meriterebbero un vero e proprio film biografico (alla Bohemian Rhapsody, per intenderci…)?
Un anno fa in un’intervista radiofonica inglese l’hanno proprio chiesto ad Adam, citando anche Rocketman su Elton John e i prossimi biopic su Alan McGee e Boy George: naturalmente il bassista ha chiosato sornione “Diciamo che siamo aperti a offerte…”. Al contrario delle biografie librarie, di cui sono un grande appassionato anche quando non mi convincono o sono mal riuscite, in un film è tutto più complicato. Personalmente non amo i film biografici totalizzanti “dalla culla alla bara” – soprattutto per le celebrità più eclatanti dove quindi c’è molto da raccontare – e preferisco quelli che si concentrano su alcuni periodi della vita e della carriera, però non si può mai dire… Credo che difficilmente gli U2 concederanno i diritti per le loro canzoni in un film troppo indulgente o troppo avverso nei loro confronti, quindi probabilmente finirà come nel prossimo Stardust che dovrà far a meno delle canzoni perché il figlio di David Bowie non ha dato il suo permesso! Sarà più facile che prima o poi vincano un Oscar per la Miglior Canzone Originale, l’unico premio che finora gli è sfuggito…
Chiudo con una domanda secca. Quale canzone di Bono ti piace di più e perché?
Ah, questa è la più difficile! Me la cavo dicendo che son d’accordo con lui quando, con il suo solito tono sbruffone ma genialmente sintetico, dice che gli U2 possono suonare la loro peggior serata di sempre, ma quando iniziano Where The Streets Have No Name è come se Dio entrasse nella stanza.
Intervista di Giacomo Aricò
L’autore
Redattore e consulente editoriale, dal 2002 Loris Cantarelli ha collaborato con riviste musicali come “JAM”, “Buscadero”, “Late For The Sky”, pubblicato libri su U2 (di cui ha curato per 11 anni una newsletter settimanale) ed Eric Clapton, partecipato ai volumi di Ezio Guaitamacchi sulle migliori canzoni e i più grandi concerti rock, scritto centinaia di articoli sugli argomenti più disparati (in particolare fumetti e musica). Ha curato la maggior parte degli interventi nel volume collettivo Carta canta. I fumetti nella musica, la musica dei fumetti.