Ripercorriamo sinteticamente i temi tradizionalmente utilizzati dal cinema horror per suscitare nello spettatore emozioni forti di angoscia, terrore, orrore, ribrezzo. Di solito ci troviamo in presenza di un ambiente ignoto e ostile popolato da creature malefiche o di origine soprannaturale che penetrano nella nostra nota e rassicurante realtà. Pensiamo a personaggi quali i fantasmi, i vampiri, i demoni o le creature possedute dal demonio, i lupi mannari, gli zombie, gli extraterrestri. A trame costruite su leggende o su casi veramente accaduti,su antiche maledizioni,su case infestate dal maligno. Esiste indiscutibilmente nello spettatore l’attrazione per il brivido, il piacere e l’eccitazione per la paura, l’oscuro godimento per la rappresentazione del male.
Secondo Carl Jung, il male esiste e non è soltanto l’assenza del bene, secondo una interpretazione di matrice cristiana. La natura umana è perciò capace di malvagità infinita. Questa concezione dualistica, che vede un Dio buono, ma non onnipotente in quanto limitato da un potere che gli si oppone, è presente anche in Sigmund Freud e si esprime nella contrapposizione tra pulsione di vita e pulsione di morte. Ancora Jung collega il problema del male alla coscienza senza la quale non ci sarebbero il bene e il male, ma solo una sequenza di eventi naturali. È la coscienza come conoscenza è consapevolezza della compresenza e della distinzione tra bene e male a caratterizzare i nostri sentimenti e le nostre azioni.
Nella cultura occidentale il Diavolo è diventato la metafora del male e in chiave psicoanalitica rappresenta le nostre parti scisse e rimosse in quanto inaccettabili per l’Io. La rimozione come si sa,è un meccanismo di difesa inconscio che oscura ma non annulla la carica pulsionale sulla quale agisce. Proprio per questo il rimosso è sempre sul punto di riemergere e di irrompere nella nostra vita. Il cinema horror utilizza la rappresentazione dell’irruzione terribile e spaventosa del male che riemerge dall’inconscio. Queste parte dissociate e distruttive ci spaventano proprio perché ci appartengono e perché sono,come nella nozione del “perturbante” freudiano a noi estranee e nello stesso tempo familiari.
Un tema ricorrente e sempre attuale nella recente produzione cinematografica di genere horror mi sembra possa essere il timore inconscio del morto che ritorna a regolare qualche conto in sospeso con la vita. Nel rituale funebre che prepara la sepoltura è ben evidente l’angoscia dei superstiti. La lamentazione, con la teatralità che l’accompagna, ancora presente nel nostro paese in alcune regioni del centro- sud, è un formulario magico per allontanare definitivamente il defunto. La veglia funebre non è mossa solo dalla pietà, ma inconsciamente dal controllo e dalla difesa.
La misura difensiva ci protegge dal contagio della morte e ci garantisce che il defunto compia veramente il suo viaggio verso l’aldilà. Alla forte carica di aggressività che sottende questi riti (mors tua vita mea) non può non conseguire il timore della rappresaglia, il morto nella sua alterità suscita il timore per la propria morte e assume un potere demoniaco, malefico e pericoloso. Il festino dopo il funerale quando parenti e amici del compianto si riuniscono per mangiare e bere insieme aiuta a fronteggiare l’angoscia della dissoluzione con elementi legati alla vita.
Ciò che sembra interessante osservare è che ora il morto che chiede vendetta o giustizia non è più il fantasma del castello ma l’amico, il padre, il vicino, il nostro prossimo. La riduzione della distanza di sicurezza, data anche dalla formula mockumentary (vedi il recente Le Origini del Male), e dalla ripresa soggettiva amatoriale, ci mettono più direttamente a contatto con l’orrore del nostro inconscio. I fatti descritti sono molto simili ai delitti efferati e spesso inspiegabili che la affollano la cronaca di tutti giorni, il femminicidio, le tragedie e i assassinii familiari,i suicidi degli adolescenti spesso soli con la tecnologia come unica compagna.
Proprio gli adolescenti sono i principali fruitori del genere horror per l’attrazione e l’identificazione con l’incontrollabilità degli impulsi e il senso di colpa legato alla trasgressione, tipici dell’età. C’è chi considera la visione di questi film una specie di rito iniziatico: sopportare l’orrore della visione significa diventare grandi e vincere le paure infantili che animano gli incubi notturni.
Nel film Paranormal Stories abbiamo però un bambino lasciato solo con il pc, una mamma che non lo guida e non lo protegge ma lo lascia scegliere quando non è in grado di scegliere e che gli fa fare l’adulto quando adulto ancora non è. La scelta giusta era di andare a teatro con la mamma e la saccente sorellina. C’è un tempo per tutto, basta aspettare.
Claudia Sacchi