In una sala cinematografica si ritrova il popolo di un’intera piazza, che piange e gioisce davanti a ombre sfuggenti, parole toccanti e baci appassionati. Sembra quasi un film corale Nuovo Cinema Paradiso (1988) di Giuseppe Tornatore (ne abbiamo parlato con Leo Gullotta).
Un film che vinse, tra i numerosi premi, anche l’Oscar alla miglior pellicola straniera; un film dove il primo protagonista è il cinema stesso, che diventa uno specchio di emozioni per gli abitanti di un paesino siciliano dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale.
Il piccolo Totò (il bravo Salvatore Cascio) e il paterno Alfredo (un toccante Philippe Noiret) altro non sono che i suoi fedelissimi servitori, ammaliati dalla magia di celluloide: custodi della memoria di una intera nazione avviata verso la ricostruzione dopo la catastrofe bellica.
La loro amicizia, che dura una vita, è la coprotagonista del film, iniziata al cinema del paese gestito da Don Adelfio, che censura le scene dei baci prima della proiezione. Totò cerca di assistere di nascosto alle “prime” per vedere i fotogrammi rubati dal parroco; è così che incontra Alfredo, proiezionista analfabeta che, raccontandogli del cinema muto, di quando la voce si poteva solo immaginare, lo incanta, mentre lui, giorno dopo giorno, aspetta invano il ritorno del padre dal fronte.
Da qui, il film segue la crescita di Totò; le sue vicende sono raccordate dalle pellicole che mano mano vengono proiettate al Cinema Paradiso e che lui fa passare per la visione, diventato proiezionista dopo che Alfredo ha perso la vista in un incendio. Anche quando lascerà Giancaldo (l’immaginario paesino siciliano) si porterà dietro la capacità di sorprendere tipica del cinema, insieme ad un amore perduto. Tornerà a casa soltanto per la morte di Alfredo, che in eredità gli ha lasciato un filmato composto dal montaggio dei numerosi baci censurati dal prete tanti anni prima.
Tornatore in questa sua seconda prova da regista non abbandona, ma anzi aumenta, il linguaggio popolare trovando una sintesi tra la realtà autobiografica e la finzione. I singolari personaggi che affollano Giancaldo, tra tutti Ignazino interpretato da un intenso Leo Gullotta, formano quel pubblico che ha trovato, e trova, nel cinema una dimensione preziosa e reale; e che in John Wayne, Jane Russel, Stanlio e Ollio, Chaplin e così via, intravede, più che una possibilità di fuga, una espressione dei propri sentimenti.
Emblematica la scena finale: rientrato a Giancaldo dopo alcuni decenni, Totò assiste ammutolito, insieme a tutto il paese, alla demolizione del Nuovo Cinema Paradiso, che era ormai abbandonato da anni. Mentre le fondamenta crollano, nei volti degli abitanti si legge la fine di un’epoca, quella in cui il cinema era il punto di non ritorno verso se stessi: quando i titoli di testa erano l’alba e la dissolvenza a nero il tramonto.
Tommaso Montagna