Esattamente trent’anni fa se ne andava François Truffaut, uno dei Maestri del cinema francese o, più semplicemente, uno dei Maestri del cinema. Sull’onda del Neorealismo Italiano, Truffaut fu tra gli artefici della Nouvelle Vague degli anni ’60 e ’70, occhio poetico e inquieto che filma la realtà e cattura la vita. Tra i suoi capolavori (già da noi ricordati lo scorso agosto), che mescolano dramma e commedia, ecco I 400 Colpi (1959), Jules et Jim (1961), Baci Rubati (1968), Il Ragazzo Selvaggio (1969). Impossibile poi non citare anche la sua dichiarazione verso il cinema in Effetto Notte (1973), in cui lo stesso Truffaut veste i panni del regista Ferrant e mostra allo spettatore come la realizzazione di un film sia una vera avventura. Una pellicola che vinse l’Oscar come Miglior Film Straniero.
Ma quello che vogliamo ricordare oggi, in questa ricorrenza, è un suo altro grandissimo film che ha a che fare con la memoria e la società: Fahrenheit 451, il film che Truffaut portò sul grande schermo nel 1966 basandosi sull’omonimo romanzo di Bradbury, datato 1953. Una storia in cui l’autore di fantascienza statunitense ci prospetta una società dispotica e autoritaria che rispecchia le dittature che tutti conosciamo.
Vige una severa legge nel futuro di Bradbury: i libri sono da bruciare, come la legna per il fuoco nelle sere di inverno. Quello che accumuna la società presente sia nel libro che nel film omonimo, collocata in un imprecisato futuro dopo il 1960, e un qualsiasi regime dittatoriale (non importa se di destra o di sinistra) è la totale assenza della possibilità di acquisire informazioni diverse da quelle fornite dall’autorità.
I libri, forieri di pensiero autonomo, vengono dati alle fiamme, perché leggerli è reato. E’ così anche per il pompiere Montag (Oskar Werner) che, almeno all’inizio, sempre convinto della sua missione distruttiva; solo dopo aver conosciuto una ragazza, Clarisse (Julie Christie), decide di infrangere le regole e trafugare libri per leggerli, combattendo indirettamente anche la noiosa vita con la moglie Mildred, assuefatta dal mezzo televisivo come la maggior parte dei cittadini. Andando contro quelle regole che lui stesso aveva giurato di far rispettare, Montag scopre il fascino della cultura e della memoria.
Le storie che legge diventano improvvisamente più importanti della realtà che lo circonda e più appassionanti della sua missione. Comincia allora a nascondere libri, a salvarli, finché, smascherato, è costretto a fuggire, approdando, in questo modo, a una comunità i cui membri conoscono a memoria numerosi testi letterari ormai perduti.
Quella di Bradbury è una società senza memoria che segue le orme del nazionalsocialismo nella Germania di Hitler e del maccartismo targato USA degli anni Cinquanta: una caccia alle streghe che porterà tanti artisti ad abiurare per non essere compromessi.
Truffaut, il maestro Truffaut, scelse di rendere con colori iperrealistici le vicende: il rosso acido e acceso dei camion dei pompieri contrasta col grigiore tutt’attorno, con gli alberi spogli e i vestiti marroni dei protagonisti, simboli di una società anonima come può essere quella che vive del riflesso di chi la comanda e che fa della censura il suo archetipo.
Fahrenheit 451 è un’opera sulla memoria e sulla conoscenza; ma soprattutto è un’opera sulla Storia, sul peso che essa possiede nelle nostre vite e sull’importanza di conservarla intatta, lucida e oggettiva. Leggere ci permette di informarci, cosa che porta l’essere umano a formulare pensieri in maniera autonoma (cioè liberamente) e quindi ci permette di svincolarci da chi ci ha preceduto e di differenziarci gli uni dagli altri.
Perché la storia è storia, e non ha colore politico. E poi, come suggerisce Bradbury nell’epilogo post-apocalittico del romanzo, si possono bruciare milioni di libri, ma la sete di conoscenza rinasce continuamente, come la fenice, nell’animo che cerca la verità.
Tommaso Montagna