Dopo il biomovie Jimi: All Is By My Side su Jimi Hendrix, il cinema abbraccia ancora la musica con Get On Up, il film su James Brown, al cinema a partire da domani. Un personaggio fortemente incidente sulla società americana, non solo come artista musicale ma anche come Uomo simbolo per la pace e l’uguaglianza tra uomini al di là del colore della pelle.
Come si conviene al Padrino del Soul, la prima parrocchia in cui è cresciuto James Brown era una casa piena di gospel. Ma in poco tempo, il gruppo gospel, a cui si era unito da adolescente, è stato trasformato dalle note jazz e blues suonate nei clubs del Chitlin’ Circuit, la rete di locali sparsa negli Stati Uniti in cui i musicisti si esprimevano liberamente: così sono nati The Famous Flames. Il primo singolo di successo del gruppo, Please, Please, Please, è stato pubblicato nel 1956, ma è attribuito a “James Brown with His Famous Flames”. Si è poi scoperto che nessuno aveva consultato i componenti del gruppo sulla nuova formula, cosicché tutti lasciarono immediatamente.
James Brown non si è fermato, continuando a ipnotizzare le folle con un approccio inconfondibile, fatto di musica, mosse ed energia sensuale. Interprete trascinante, coinvolgente, capace di raggiungere vette altissime, senza pagare alcun dazio nel passaggio da una ballata – come Try Me e Lost Someone— a tormentoni che hanno fatto ballare e scatenare generazioni come con Out of Sight e Night Train. La sua voce ha toccato toni profondi e acuti inarrivabili, senza rinunciare a urla e strepitii, come montagne russe che prima si muovono dolcemente e in un baleno si trasformano in pura adrenalina.
Nel tempo ha continuato a lavorare con un quartetto composto dagli originari Famous Flames come coristi (Bobby Byrd ritornò nel 1959), mentre nel frattempo ha tirato su una nutrita band di supporto, con numerosi fiati, battezzata la James Brown Orchestra.
Brown si è distinto anche come uomo di pace al Boston Garden, dopo l’assassinio del predicatore Martin Luther King Jr., nell’aprile 1968, e ha dato forza alle battaglie civili con un brano divenuto un grido di battaglia come Say It Loud—I’m Black and I’m Proud, sempre nello stesso anno. Nel febbraio 1969, la rivista Look lo ha celebrato con una copertina che accompagnava la sua fotografia con la frase: “È lui l’uomo di colore più importante in America?” Parliamo anche di un uomo di affari, capace di gestirli e tenerli sotto controllo.
Quando ha iniziato ad affinare le sonorità, curandole nel dettaglio e stravolgendole dalla testa ai piedi, è arrivato il funk e con lui una nuova stagione musicale. Dal 1970, i Famous Flames avevano fatto il loro tempo, solo Byrd era rimasto in sella, e si erano aggiunti al gruppo, il bassista William “Bootsy” Collins e suo fratello, il chitarrista Phelps “Catfish” Collins: così Brown ha dato vita alla nuova band, The J.B.’s.
Quando per il funk è arrivato il momento di cedere il trono all’hip-hop, Brown ha continuato a ricoprire una posizione di rilievo. Il suo ritmo unico si è rivelato fondamentale per gli artisti della scena hip-hop, che per anni lo hanno campionato per i propri brani. Il riff della batteria al termine della sua canzone Funky Drummer è semplicemente uno dei passaggi più riutilizzati di tutti i tempi.
Il 23 dicembre 2006, James Brown si è inaspettatamente ammalato ed è morto in due giorni, all’età di 73 anni. La sua morte è stata omaggiata con una processione funebre che ha attraversato Harlem per arrivare all’Apollo Theater, dove nel 1962 aveva scritto la storia della musica registrando l’album, da lui stesso finanziato, Live at the Apollo.