Chiusura con il botto a Cannes: Quentin Tarantino, dopo essere intervenuto già ieri per festeggiare i vent’anni di Pulp Fiction (con cui vinse il Festival nel 1994), stasera presenterà infatti la versione restaurata di Per un Pugno di Dollari di Sergio Leone, girato esattamente mezzo secolo fa con una coproduzione tra Italia, Spagna e Germania dell’Ovest. Una perla del cinema impreziosita dalla memorabile colonna sonora di Ennio Morricone.
Eh sì, sono passati cinquanta anni dalla pellicola che iniziò la cosiddetta “Trilogia del Dollaro” che si completò con i successivi Per Qualche Dollaro in Più (1965) e Il Buono, il Brutto e il Cattivo (1966). Il leggendario scontro tra Joe (Clint Eastwood) e Ramon Rojo (Gian Maria Volonté) ha scritto un’importante pagina della storia del cinema. Caposaldo degli Spaghetti Western, questo film ottenne un successo clamoroso che riscrisse per sempre gli archetipi del genere Western che ormai era in netto declino in quegli anni.
Per Leone girare questo primo western fu un sogno realizzato: “Quando cominciai il mio primo western – spiegò il regista nel 1964 – dovetti trovare in me stesso una ragione psicologica, perché non avevo mai vissuto in quel tipo di ambiente. E un pensiero mi venne spontaneo: era come se fossi il burattinaio dei pupi siciliani, i loro spettacoli erano leggendari ma anche storici. Se l’abilità del burattinaio consisteva nel dare a ogni personaggio una connotazione ulteriore relativa al paese specifico che i “pupi” stavano visitando, io come cineasta dovevo creare una favola per adulti, una fiaba per ragazzi cresciuti; e il mio rapporto col cinema era quello di un burattinaio con i suoi burattini”.
Il sogno di Leone era quello di affidare il ruolo del protagonista a Henry Fonda che però fu “blindato” dal suo agente (disse: “una cosa del genere non la farebbe mai”). Così alla fine fu scelto Eastwood che fu pagato 15 mila dollari. Molto meno di lui prese l’eccezionale Volonté (2 milioni di lire) che durante le riprese così si espresse: “sto facendo un filmetto in fretta e furia per pagare i debiti del Vicario (pièce teatrale da lui prodotta e interpretata finita sul lastrico); figuratevi che è un western italiano, e si intitola Per un pugno di dollari. Lo faccio veramente per un pugno di dollari, ma certo non può nuocere alla mia carriera. Mi hanno conciato come un matto, sono irriconoscibile, e nei titoli di testa avrò persino uno pseudonimo americano, John Wells. Insomma, non corro alcun rischio. Chi volete che vada a vederlo?”.
Tornando a Tarantino, il regista ieri in conferenza ha affermato che “non siamo qui a festeggiare i 50 anni dalla nascita dello Spaghetti Western, ma la nascita del cinema d’azione come è stato da allora in poi concepito. Il film di Leone è stato il primo che, a parte pochissime eccezioni, è stato montato sulla musica e questo fa la differenza. L’influenza di Leone è arrivata fino a MTV. Ogni tanto proietto a casa mia, per la gioia dei miei amici e della mia troupe, Il buono, il brutto e il cattivo che io ho visto quando avevo tre o quattro anni. Nel pubblico ci sono anche dei bambini e amano il film proprio grazie all’uso che è fatto della musica”.
Oggi il western esiste ancora e porta con sé quella lezione italiana di cinquanta anni fa. Proprio durante questo Festival è stato presentato il western The Homesman di Tommy Lee Jones e lo stesso Tarantino è reduce dal fortunatissimo remake Django Unchained dello scorso anno (e con il materiale extra verrà girata una serie per la tv…). Per Quentin, Sergio è stato sicuramente un maestro. Riproponiamo qui sotto due domande che Maria Pia Fusco di Repubblica fece al regista nel luglio 2007, quando uscì Kill Bill:
Ha nostalgia per gli spaghetti western?
Sono stati d’importanza vitale. Senza gli spaghetti western non esisterebbero Franco Nero, Gemma, Bud Spencer, Terence Hill, non esisterebbe una buona parte del cinema italiano. E Hollywood non sarebbe la stessa senza Clint Eastwood, Lee Van Cleef, Charles Bronson, senza Morricone. Tra i registi degli ultimi quarant’anni Sergio Leone è stato colui che più ha influenzato il cinema delle giovani generazioni, più di John Ford o di Howard Hawks.
Ha influenzato anche il western americano?
Ha portato una rivoluzione. Leone e altri autori del genere come Sergio Corbucci hanno fatto una cosa straordinaria: hanno ucciso il vecchio western e nello stesso momento lo hanno riportato in vita. Ogni western uscito dopo gli “spaghetti” sembrò terribilmente fuori moda. Non bisogna dimenticare che i western italiani uscirono negli anni Sessanta, in pieno movimento giovanile e furono i giovani ad appropriarsi del nuovo modo di fare cinema e ad imporlo.