Esce nelle sale giovedì 27 giugno, distribuito da EXIT media, Carmen y Lola, film d’esordio di Arantxa Echevarría che si è già aggiudicato il Premio Goya come Miglior opera prima e come Miglior attrice non protagonista (Carolina Yuste), è una potente favola gitana, applauditissima al Festival di Cannes 2018 (Quinzaine des Réalisateurs). Il film è stato già presentato all’ultima edizione del Festival del Cinema Spagnolo di Roma e ha vinto l’ultima edizione del Lovers Film Festival (la rassegna cinematografica torinese dedicata ai temi Lgbtqi) nella categoria dei lungometraggi.
Il film
Carmen (Rosy Rodriguez) è una giovane gitana di 16 anni che vive con la sua famiglia nei sobborghi di Madrid. Come tutte le ragazze della comunità gitana – un’etnia culturale fortemente radicata nella capitale spagnola – anche lei è destinata a soccombere ad un destino già scritto. L’emancipazione e l’ambizione sono due sogni proibiti a una gipsy. La massima aspirazione è quella di condurre e ripetere gli stessi modelli di vita che si susseguono di generazione in generazione: trovare un marito da accudire e crescere il maggior numero di figli possibile. Una sorte che sembra toccare inevitabilmente anche Carmen, data in sposa a un altro giovane gitano, dal fare autoritario e maschilista, della sua comunità.
Un incontro inaspettato, però, cambierà per sempre la sua vita. In una giornata qualunque, infatti, Carmen conosce per caso Lola (Zaira Morales), gitana anche lei ma molto diversa dalle altre ragazze della sua età. Lola ama studiare, sogna di andare all’università, diventare un’insegnante e costruirsi una vita migliore. Rifiuta di sposarsi e detesta quei limiti culturali che le impongono di vivere in gabbia. Tra le due nasce da subito una profonda sintonia, e instaurano un rapporto di tenerezza e complicità. Una relazione che difficilmente può essere accettata dalle loro famiglie, da cui l’allontanamento sembra forse inevitabile.
Un esordio pregevole
Carmen Y Lola è un’opera prima coraggiosa che mostra già un’ottima padronanza dello strumento filmico. La Echevarría, infatti, edifica un impianto estetico raffinato e delicato che alterna i tratti tipici del cosiddetto “cinema del reale” a un cinema più intimista, in cui le luci e l’elemento cromatico acquistano un ruolo cruciale nella definizione stilistica dell’opera. L’incedere narrativo segue i dettami della scrittura classica e accompagna con delicatezza le due giovani protagoniste – entrambe attrici non professioniste e al loro esordio davanti alla macchina da presa – all’interno di una dimensione sociale e umana estremamente peculiare.
La comunità gitana
La comunità gitana – molto radicata in Spagna, specie a Madrid – infatti, vive spesso ai margini della società, a volte relegata nei sobborghi cittadini. È un’etnia che vive di regole proprie, in cui il patriarcato è ancora oggi un “valore” fondante. Una condizione che finisce per ripetere meccanismi profondamente maschilisti che impongono il “ruolo di cura” alla donna, riducendo la figura femminile al cosiddetto “focolare materno”. Un destino già scritto, insomma, a cui sembra impossibile ribellarsi se non ci si vuole condannare ad una vita di solitudine. Stessa sorte toccata ad una giovane coppia di donne gitane che, dopo aver trovato il coraggio di esporsi, hanno deciso finalmente di sposarsi, ritrovandosi a celebrare quello che si suppone essere “il più bel giorno della propria vita” in totale solitudine.
Una storia d’amore quasi fiabesca
Una storia vera che ha colpito molto la sensibilità di Arantxa Echevarría, tanto da portarla a scegliere di realizzare un film capace di raccontare le difficoltà delle donne gipsy. Da qui man mano è nato Carmen y Lola. L’esordio alla regia della Echevarría, però, oltre all’enorme valenza sociale che assume, ha anche il grande merito di immergere lo spettatore in una bellissima storia d’amore fra due adolescenti, raccontando il tutto con tratti quasi fiabeschi. “Sono una regista e una donna, non necessariamente in quest’ordine, e questo mi segna – ha dichiarato la regista – diciamo che ho sentito l’esigenza di raccontare questa storia perché ho avvertito dentro di me l’obbligo morale di dar voce a chi non ne ha. Il cinema è diventato una sorta di altoparlante, uno strumento per rappresentare qualcosa che credo sia giusto conoscere e far conoscere“.